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"Liviu Rebreanu" School,Mioveni town, Arges county, Romania (Romania)
        ISTITUTO COMPRENSIVO "MARIA GRAZIA CUTULI" (Italia)
             "Demetrion" B Primary School of Pafos (Cipro)
                   School Apoldu de Jos (Romania)
Allora Almitra di nuovo parlò e disse:
                                                Che cos'è il Matrimonio, maestro?
                                                       E lui rispose dicendo:
                                       Voi siete nati insieme e insieme starete per sempre.
                           Sarete insieme quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri
                                                                giorni.
  E                                         insieme nella silenziosa memoria di Dio.
                                 Ma vi sia spazio nella vostra unione,
                                   E tra voi danzino i venti dei cieli.
                      Amatevi l'un l'altro, ma non fatene una prigione d'amore:
                  Piuttosto vi sia un moto di mare tra le sponde delle vostre anime.
                  Riempitevi l'un l'altro le coppe, ma non bevete da un'unica coppa.
                 Datevi sostentamento reciproco, ma non mangiate dello stesso pane.
                 Cantate e danzate insieme e state allegri, ma ognuno di voi sia solo,
                 Come sole sono le corde del liuto, benché vibrino di musica uguale.
                        Donatevi il cuore, ma l'uno non sia di rifugio all'altro,
                     Poiché solo la mano della vita può contenere i vostri cuori.
                                  E siate uniti, ma non troppo vicini;
                               Le colonne del tempio si ergono distanti,
                   E la quercia e il cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro.




LA STORIA DEL MATRIMONIO




Il matrimonio esiste fin dall'antichità in diverse forme, riflettendo i costumi e i valori di una società.
La parola "matrimonio" deriva dal latino matrimonium e ha per radice " mater-tris " che significa
appunto madre.
In passato il matrimonio serviva al marito per prendere possesso della moglie, quasi a
schiavizzarla…solo con il diritto Romano si ebbe un concetto diverso del matrimonio e diventò un
accordo libero fra due persone.
L’unica civiltà antica che permetteva la parità fra uomini e donne dopo il matrimonio era quella
egiziana.
In passato gli elementi degni di considerazione per unirsi in matrimonio erano l’appartenenza a una
stessa religione, a una stessa razza, a una stessa classe sociale e naturalmente la posizione
economica dei contraenti, non vi era spazio alcuno per l'amore.
Solo con il Cristianesimo il matrimonio assunse il valore di sacramento, e come tale era sacro e
indissolubile, con l'unico fine della procreazione.
Il matrimonio nei secoli
antichità
Presso gli Antichi Egizi donne e uomini godevano di una relativa parità nel matrimonio; è stata
l'unica civiltà a favorire e permettere i rapporti tra consanguinei. La sposa egizia indossava una
"tunica" di sottile strato di lino finissimo, trasparente, con acconciature o parrucche dai vari
ornamenti con bende dorate, fermagli, cerchi d'oro, fiori.
Nell'antichità si riteneva che il matrimonio servisse ad assoggettare la moglie al controllo del
marito, il quale la considerava di sua proprietà. Il diritto romano fu il primo ordinamento a
introdurre invece l'idea che il matrimonio fosse un libero accordo tra due persone che decidono di
vivere insieme.
Nell'antica Roma il matrimonio è visto come una sorta di promozione sociale per passare da una
casta all'altra, valido anche per l'uomo. I matrimoni vengono combinati quando gli sposi sono
ancora bambini. L'abito della sposa é di colore bianco, simbolo della sua verginità, chiusa da un
nodo di Ercole che doveva essere sciolto soltanto dallo sposo.
Altro accessorio molto importante era il "velo", che veniva tolto il giorno dopo la consumazione del
matrimonio ed era di colore giallo zafferano, a simboleggiare il fuoco di Vesta, la dea che
proteggeva il focolare domestico. Sui capelli, pettinati con sei trecce in onore delle vergini vestali,
si posava una corona formata da gigli, grano, rosmarino e mirto (simboli di purezza, fertilità, virilità
maschile e lunga vita).
La situazione cambiò radicalmente con l'avvento del cristianesimo: al matrimonio fu attribuito
infatti il valore di sacramento e suo scopo primario divenne la procreazione dei figli; la sacralità
dell'unione tra marito e moglie determinò inoltre l'indissolubilità del legame tra i coniugi e
l'inammissibilità di ogni forma di scioglimento volontario

medio Evo e rinascimento
Il Medioevo fu un periodo molto cupo, il matrimonio si scisse dall'amore, infatti l'amore ebbe una
natura esclusivamente spirituale, mentre il matrimonio ebbe solo un puro legame di interesse
Il matrimonio nel medioevo aveva un forte valore economico e politico più che
sentimentale, i potenti ed i ricchi si sposavano più per interesse o per accordi politici che per amore
o sentimento, anche perché la legge del tempo era studiata appositamente perché le unioni
producessero scambi di potere e denaro.




Guglielmo il Maresciallo sposando Isabella di Clare, una ricca ereditiera, da militare nullatenente
divenne uno degli uomini più ricchi d’Inghilterra: un matrimonio sofferto ma
fortemente voluto dalla di lui famiglia (egli rimase in attesa per ben 45 anni). I figli dei regnanti
spesso erano già promessi sposi prima di essere concepiti: tutte le grandi famiglie europee del
tempo erano imparentate (e per questo motivo lo sono ancora oggi).
La cerimonia del matrimonio
La cerimonia del matrimonio era simile a quella del fidanzamento ma, ovviamente più solenne: era
celebrata di norma nell’atrio della chiesa, gli sposi vestivano di rosso e la sposa doveva avere i
capelli lunghi sciolti e coperti da un velo (entrambi gli sposi poi erano coperti da un unico velo).
L’anello nuziale era scambiato e infilato al dito anulare, che "è il dito con la vena che porta
direttamente al cuore".
Nei matrimoni dei nobili, soprattutto dei regnanti, l’anello portava anche delle scritte, o i nomi degli
sposi, o alcune cose importanti per l’uno e per l’altra.
Nel momento dello scambio degli anelli c’era l’usanza tra gli invitati di prendersi a spintoni
e a volte anche a schiaffoni, per non perdere la memoria di tale evento (nella maggior parte dei casi
non esistevano documenti scritti). Veniva spezzata un’unica ostia e divisa tra i due sposi, che
bevevano dallo stesso calice e poi accendevano un cero alla Santa Vergine.
Alla fine della cerimonia, dopo essere usciti dalla chiesa accompagnati per mano dal prete, gli sposi,
insieme ai parenti, entravano nel cimitero e andavano a pregare i propri morti.
Sulla strada per casa parenti e amici tiravano grano agli sposi, auspicio di fertilità ed abbondanza
(usanza di probabile derivazione pagana, rimasta in uso anche nelle cerimonie religiose di oggi). Poi
cominciava la festa: canti, balli e ricche mangiate per giorni e giorni.
Al calar del sole della prima sera, il prete benediva la stanza e il letto dove i due giovani sposi
avrebbero consumato il matrimonio, anche se molte volte succedeva che dormissero separati.

Il popolo ed il matrimonio




Per il popolo però, il matrimonio aveva sempre quel senso di familiarità ed intimità che
caratterizza l’unione d’amore di due persone: la solidarietà all’interno delle famiglie era assai forte,
si condividevano con i familiari tutti i sentimenti, dall’amore all’odio.
Nella maggior parte dei casi non nasceva una vera e propria famiglia perché gli sposi andavano
a vivere con i genitori (normalmente dello sposo, della sposa se lei non aveva fratelli), per
condividere con loro la gestione familiare e, ovviamente, la terra.
C’erano delle regole ben precise da rispettare: le ragazze dovevano avere più di 12 anni e i
ragazzi almeno 14, non dovevano essere parenti fino al settimo grado (anche se questa era una
regola abbastanza elastica) e dovevano aver ricevuto i principali sacramenti della Chiesa.
A partire dal X-XI secolo, riconoscendo nel matrimonio l'alto significato, la Chiesa lo trasforma in
una cerimonia religiosa, consolidando la sua autorità su questa istituzione, e bandisce le cerimonie
civili. Nonostante ciò, il matrimonio avviene solo per motivi di denaro e di interesse, un modo per
unire patrimoni e terreni. L'abito nuziale non segue regole precise: la sposa indossa il più bello che
la famiglia può permettersi. L'uso dello strascico, o "coda", appare solo nel XVI secolo ed é rimasto
uno degli elementi essenziali e classici per la gran parte degli abiti nuziali oggi. Dal modello di
abito nuziale che la sposa porta si può desumere a quale classe sociale appartiene: quanto più lo
strascico è lungo e decorato tanto più è sintomo di ricchezza e di prestigio sociale. Le maniche,
solitamente molto attillate, costituiscono un vero e proprio tesoro per via dei suntuosi ricami e delle
pietre preziose incastonate.
Il primo abito da sposa documentato é quello della principessa Filippa, figlia di Enrico IV
d'Inghilterra, che nel matrimonio con Erik di Danimarca nel 1406, indossò una tunica e un mantello
di seta bianca bordati di pelliccia di vaio e di ermellino.
Nel Rinascimento è sempre l'uomo ad essere predominante, la donna è sempre messa da parte, e i
matrimoni sono sempre più un espediente per unire terreni e ricchezze. Molto diffusi gli incontri
omosessuali fra uomini facoltosi e letterati, o l’abitudine di avere un’amante piuttosto che essere
fedeli alla moglie.

Galeazzo II e il pranzo di nozze alla corte di Milano




Galeazzo II Visconti (ca. 1320-1378)




Dame




Nobiluomini
Nel 1368, in occasione del matrimonio tra la giovane e bella milanese Violante, figlia di Galeazzo II
Visconti Signore di Milano, e Lionello d’Inghilterra duca di Clarence, ebbe luogo un banchetto
principesco, che fece epoca per la inusitata profusione dei cibi e la ricchezza dei doni offerti.
Secondo il resoconto degli storici dell’avvenimento, le mense in realtà furono non una, bensì due.
Nella prima sedeva lo sposo seduto accanto a cavalieri e nobili, fra i quali c’era anche un
personaggio assai illustre, il poeta messer Francesco Petrarca .
All’altra mensa, presieduta da Regina della Scala, sedevano le donne, le quali portavano in tavola i
piatti alla prima mensa, cioè 50 per ciascuna portata. Le portate furono ben 18, ciascuno era inoltre
duplicata, in quanto composta di due vivande, una a base di carne e un’altra a base di pesce. Ogni
singola portata era corredata da un dono personale per ciascun convitato.
La prima imbandigione, era costituita da due porcellini dorati che mandavano fuoco dalla bocca e
da una varietà di pesce chiamato “porchetta dorata”. La seconda presentava lepri dorate con lucci.
La quarta era composta di quaglie e pernici, ovviamente dorate, accompagnate da trote arrostite.
La nona imbandigione invece offriva, gelatine di carne e di pesce.
Poi, via via, per finire con le ultime portate di giuncate, formaggi e frutta.
Violante recava in dote al marito terre e denari. Ma, invero, il principe inglese godette poco di tanto
ben di Dio, giacché appena tre mesi dopo il sontuoso matrimonio, lo sventurato si ammalò e nel
giro di pochi giorni morì.

Invito alle nozze di Lorenzo il Magnifico




Lorenzo Dé Medici (1449-1492)
A soli venti anni Lorenzo Dé Medici illuminò con la sua stella Firenze, dove governò con grande
fermezza e larghezza di vedute guadagnandosi l'epiteto di Magnifico . Nello stesso anno furono
celebrate le sue nozze con Clarice Orsini, giovane dell'aristocrazia romana. L'avvenimento fu
celebrato con molti, fastosi festeggiamenti. Per l'occasione molti furono i regali offerti dal contado
fiorentino e dalle città toscane. Questi avvenimenti sono narrati con ricchezza di particolari da Piero
di Marco Parenti, uno degli invitati che li descrisse allo zio materno Filippo Strozzi, esule a Napoli.
“Arrivarono al Palazzo di Via Larga centocinquanta vitelle, quattromila fra galline e papere, pesci,
cacciagione e moltissime botti di vini "nostrali e forestieri" che Lorenzo generosamente distribuì al
popolo anche prima di imbandire i veri e propri banchetti che si svolsero dalla domenica al martedì.
Questi festeggiamenti fastosi sono richiesti dall'importanza della stirpe Orsini cui appartiene la
sposa Clarice che fa il suo ingresso al palazzo a cavallo, accompagnata da un corteo di cavalieri. Le
finestre della camera di Lorenzo sono ornate di rami d'olivo, simbolo di pace. Vengono allestiti
cinque banchetti nel portico, nella loggia e nel cortile del palazzo; le tavole delle dame e quelle dei
cavalieri - come vuole la regola del tempo - sono rigorosamente separate. Il tavolo della sposa si
trova nella loggia e ad esso sono sedute cinquanta giovani nobildonne, mentre quelle anziane
siedono all'interno del palazzo presiedute dalla madre dello sposo, Lucrezia Tornabuoni;
nell'androne sono i giovani con Lorenzo e Giuliano e in altro tavolo gli anziani della città. Ma altre
mense imbandite di vivande sono sistemate sia all'interno del palazzo sia sulla strada onde tutta la
città - anche quella dei popolani - possa godere di questi festeggiamenti. Tutte le portate sono
precedute da squilli di tromba; i portatori si fermano ai piedi dello scalone e solo a un cenno
stabilito dello scalco si dirigono parte al piano superiore e parte nelle logge in modo che le vivande
a un tratto si posavano in ogni luogo.
Anche l'apparecchiatura della tavola è accuratissima. Circondavano il David, la famosa statua
bronzea di Donatello, alte tavole ricoperte da tovaglie; agli angoli enormi bacili d'ottone con i
bicchieri; così anche è apparecchiato nell'orto attorno alla fontana. Sulle tavole una grande tazza
d'argento colma d'acqua per rinfrescare bicchieri e bibite. Poi eravi le saliere d'ariento, forchette e
coltellerie, nappi e morselletti e mandorle confette: confettiere pe' pinocchiati. Ogni tavolo era
inoltre rallegrato da danze, musiche e piccoli spettacoli. L'abbondanza e la generosità dei
festeggiamenti per le nozze di Lorenzo de' Medici e Clarice Orsini sancirono in qualche modo la
politica di relazione fra la città e la Signoria che la governava basata sulla magnificenza.
Zuppa Regina di La Varenne




Casa Reale Valois
Questa la versione della zuppa regina di La Varenne.
Prepara mezzo pollo arrosto e separa la carne dalle ossa.
Poi piglia delle mandorle, pestale e cuocile in un brodo buono con un rametto di rosmarino, un
ciuffo di prezzemolo, un poco di limone, briciole di pane e un poco di sale. Mescola bene acciocché
le mandorle non si brucino, e poi filtra tutto.
Per un altro brodo, prendi le ossa del pollo arrosto, pestale in un mortaio e falle bollire con un paio
di funghi.
Filtrato che avrai il brodo con un telo di lino, aggiungi il pane e fai bollire ancora. Poi versa il brodo
di mandorle, il sugo dell’arrosto e la carne ben battuta del pollo. Servire la zuppa regina nel piatto di
portata ben calda.




Petto di vitello ripieno




Se vuoi fare petto di vitello ripieno, piglia il petto di un vitello, battilo e mettici una poppa di vitella
e ogni sorta di buoni odori. Poi prendi quattro uova, pepe e un poco di zafferano. Mescola tutto
insieme e riempi il petto con questa composizione. Mettila poi in un buon brodo di carne, copri la
casseruola e fai cuocere.


Maria de’ Medici e la cerimonia nuziale senza re




Maria de' Medici (1573-1642)
Dopo un'infanzia e un'adolescenza normali, offuscate però prima dalla morte della madre e poi da
quella improvvisa e misteriosa del padre, il granduca di Toscana Francesco I, alla "tarda" età di
ventisette anni Maria divenne sposa del re di Francia Enrico IV.
Il matrimonio per il sovrano francese, un incallito dongiovanni che aveva ottenuto l'annullamento
della sua precedente unione con Margherita di Valois, fu più un affare di stato che di cuore.
Maria descritta fisicamente non male, un poco paffutella, ma con occhi vivaci e un incarnato latteo,
considerata la "grosse banquiére" (grossa banchiera) seconda la definizione coniata da una delle
amanti del re, non ebbe un matrimonio felice anche se allietato dalla nascita di sei figli. Nel 1610, a
seguito dell'assassinio del marito, Maria assunse la reggenza per conto del primogenito futuro Luigi
XIII, ma quegli anni vengono ricordati come un periodo non esaltante della storia di Francia. Così
già nel 1617 Luigi (neppure sedicenne) prese i pieni poteri relegando la madre in uno stato di dorata
reclusione.
Ritornando al matrimonio fra Maria ed Enrico, vogliamo ricordare che fu uno dei pranzi nuziali fra
i più strani e scenografici della storia. Come raccontano le cronache del tempo, la cerimonia in
pompa magna si tenne il 5 ottobre 1600 a Firenze in Palazzo Vecchio, ma senza il protagonista
maschile che se ne stava in Francia a sdraiare ragazze sul talamo. L'organizzazione del ricevimento
e del convito fu affidata a Giovanni del Maestro, maggiordomo del Granduca. Nella "Descrizione
dele felicissime nozze della Cristianissima Maestà Maria", il Buonarroti tenne nota di tutti i
particolari dell'apparecchiatura delle tavole, delle vivande e delle confezioni di zucchero, nonché
dell'addobbo della sala. Fecero epoca soprattutto le meraviglie teatrali escogitate dal
Buontalenti, e le statue di zucchero modellate dal Giambologna. "L'apparecchio supremo" delle
tavole presentava un'incredibile quantità di animali in più gruppi, e la regina fu felice di vedere
posta dinanzi a lei una statua sopra un cavallo raffigurante il suo sposo. Dopo la frutta calarono dal
soffitto nubi rigonfie con Giunone e Minerva, e al loro dileguarsi le tavole erano cambiate a vista
con altre di specchi e di cristalli, che a loro volta si trasformarono in boschetti con viali, siepi e
fontane, statuette di ninfe e pastorella ornate di fiori e frutta. Il maggiordomo insieme al capo cuoco
avevano preparato il lauto e ricco menù che, approntato definitivamente dopo un lungo e laborioso
periodo di gestazione, prevedeva fra l'altro anche queste portate.
24 piatti di freddo: "Insalate lavorate in bacini... Fragole... Castelli fatti di salame...
Primo servito freddo: ...Fagiani a lanterna... Bianco magnare in fette, Torta verde alla milanese...
Secondo servito caldo: ...Pasticcio a triangoli di carne battuta... Porchette ripiene... Crostata di
vitella...
Di cucina per dare credenza con il freddo: ...Torta di bocca di dama... Ciambellette... Latte mele
in bacini...
Formaggi e frutta: ...Marzolino, Ravaggiuoli, Cialdoni, Pesche in vino, Pere, Uve... Carciofi,
Sedani...".

età moderna
Nel 600 c'e' il trionfo dell'assolutismo monarchico, l'amore e la fedeltà sono concetti molto astratti
vi è molto libertinaggio, al punto che i re sostenevano che fosse sciocco essere fedeli alla moglie,
meglio avere un'amante. Chi è fedele alla propria moglie viene considerato uno stupido. Ma durante
il secolo, la nuova borghesia nascente comincia a rendersi conto che questo tipo di idee e di costumi
è figlia soprattutto della corruzione dei ricchi. In questo secolo, segnato da profonde lacerazioni
religiose, le feste diventano più intime. Si investono soldi per il corredo e la dote, e l'abito il più
bello, quasi sempre usato, viene utilizzato anche dopo il matrimonio.
Nel 700 finalmente il matrimonio comincia ad avere un significato diverso, con le rivoluzioni
americana e francese, i popoli cercano di porre fine in modo definitivo all'arroganza dell'aristocrazia
e ci si comincia a sposare per amore.
Il Settecento vede nelle Rivoluzioni americana e francese il primo tentativo delle masse e dei nuovi
ceti di mettere da parte definitivamente l'arroganza e i valori dell'aristocrazia. L'amore diventa
importante per il matrimonio, ed entra tra i fondamentali diritti dell'uomo stabiliti dalle due
rivoluzioni. In questo secolo si indossano splendide vesti dai motivi floreali; è in questo periodo che
nasce il cosiddetto "stile impero" di origine francese, tagliato sotto il seno per evidenziare meno i
fianchi larghi e l'addome pronunciato, realizzato con tinte pastello.
Ottocento
L'800 con il romanticismo, il matrimonio cambiò volto, da adesso ci si sposa solo per amore. Non
sposarsi significava andare incontro a dispiaceri e lutti. E' proprio nell'800 che nasce una buona
parte delle tradizioni che ancor oggi conserviamo, quali l'abito bianco e lungo, i guanti, la torta
nuziale il ricevimento.
Il periodo del romanticismo interpreta il matrimonio come naturale destinazione dell'amore, e al
tempo stesso condanna ogni forma di unione determinata da altri intenti che porterebbe a sofferenze
e lutti. Tutto il secolo si dibatte tra esaltare e glorificare gli amori impossibili ed indicare una buona
strada per il matrimonio d'amore.
Nell'Ottocento nascono anche una buona parte delle tradizioni, come l'abito lungo e bianco, il dolce,
il ricevimento, i guanti.
Il                           bianco diventa il colore prediletto, come simbolo di purezza. Trasparente,
a volte                      inumidito, audace, il vestito viene indossato senza corsetti né altro. Nel
rito                         civile, invece, l'aristocrazia preferisce il nero luccicante di paillettes,
oppure i                     colori vivi fitti di perle e lustrini.


età                       contemporanea
Oggi in                   Italia come nell'800 esistono ancora molte di queste usanze, come l'abito
bianco,                   i guanti ecc… e ci si sposa per amore anche se alcuni fattori come le
                          condizioni socio-economiche, le differenze sociali, religiose o politiche
presenti, influenzano ancora le scelte delle persone.
Si preferisce sposarsi più maturi spesso dopo un periodo di convivenza, si fanno meno figli, sia per
un fattore economico che per una mancanza di tempo, infatti le donne sono più indipendenti
lavorano fuori casa, ed hanno molto meno tempo da dedicare ai figli. Tali compiti adesso sono
divisi con il marito. Nonostante molte coppie decidano di non sposarsi e di convivere, il matrimonio
rimane per la maggior parte delle persone il giorno più bello della propria vita.

Il Novecento è funestato da due tragiche guerre mondiali, che cambiano definitivamente, nel bene e
nel male, i rapporti con gli altri e il modo di vivere. Il matrimonio diventa sempre di più qualcosa
che si fa per amore e non per dovere o per interesse, anche se i matrimoni per aumentare il proprio
patrimonio non spariscono del tutto.
Negli anni Venti il vestito nuziale si fa più corto e si allunga il velo; interprete del nuovo stile
femminile è senza dubbio Coco Chanel. A metà degli anni Trenta, il famoso matrimonio della
principessa Marina di Grecia con il Duca di Kent (1934) lancia un nuovo look. La sposa indossa un
abito a guaina di lamé bianco e argento, con lunghe maniche aderenti, e strascico fino a terra, in
testa una tiara di diamanti con un velo di tulle lungo oltre tre metri.
Con la seconda guerra mondiale si sente il dovere di rinunciare al matrimonio tradizionale. L'abito
da sposa si noleggia, o si presta di famiglia in famiglia.
Dopo la guerra, negli anni Cinquanta, Cristian Dior impone un'immagine femminile a vita sottile,
seno alto e rotondo, gonna larga, con sottogonna, bustino aderente e ampia scollatura.
Nel 1956 Grace Kelly sposa il principe Ranieri di Monaco: l'abito dell'attrice è confezionato con 25
metri di raso di seta, 25 di taffetas, cento metri di tulle e trecento metri di pizzo antico.
Fino alla fine degli anni Sessanta i matrimoni rimangono cerimonie formali all'insegna della
tradizione, poi con l'avvento del femminismo e con la rivoluzione sessuale l'abito non ha più uno
stile preciso. Certo, la tradizione dell'abito bianco è ancora vivissima, ma ci sono spose che
preferiscono legarsi all'uomo della propria vita in altri colori o con altri stili di abiti. Addirittura,
vengono organizzati matrimoni particolari tematici, in costume medievale e rinascimentale
La religione cattolica, quella ortodossa e quella induista considerano il matrimonio come un vincolo
indissolubile e ne concedono lo scioglimento soltanto in alcuni casi eccezionali. La Chiesa cattolica,
ad esempio, concede lo scioglimento del vincolo matrimoniale solo in particolari casi e dopo
l'intervento del tribunale della Sacra Rota.
Intorno alla metà del ' 700 nelle classi inferiori le femmine si sposavano in media sui 23 anni,
mentre i maschi intorno ai 26. Sullo scarto dell'età matrimoniale delle classi sociali, incidevano
diversi fattori: la maggiore durata dell'istruzione e la necessità, per i cadetti, di crearsi, attraverso
l'esercizio di professioni liberali, un certo reddito onde potersi permettere un matrimonio consone al
proprio ceto sociale e la conduzione di una vita agiata. Nelle famiglie borghesi, l'accesso al
matrimonio era severamente controllato, riservato in genere ai primogeniti ed ad età tardiva, nel
tentativo di conservare intatto il patrimonio familiare vietandone la alienazione ed indirizzando i
cadetti verso la carriera ecclesiastica. Nella civiltà meridionale, tale legame era confermato dalla
preoccupazione costante di assicurare la continuità della famiglia e del patrimonio.
Dall'interdipendenza tra l'età del matrimonio e l'età della morte si hanno diversi comportamenti
demografici in vari paesi. Ad esempio, la dove l'invecchiamento era meno rilevante, al matrimonio
si accedeva in età giovanile, la dove invece si viveva più a lungo, i matrimoni si celebravano in età
più avanzata. L'età del matrimonio delle donne, era un fattore importante per stabilire il ciclo della
loro fertilità e quindi della loro capacità riproduttiva. In genere il periodo riproduttivo è di
trentacinque anni. Questa fertilità lungo l'intero periodo riproduttivo descrive una parabola che ha
una fase di rapida ascesa durante la pubertà, ed ha il suo punto massimo durante il decennio tra i 20
ed i 30 anni, dopo di che declina, prima lentamente poi sempre più rapidamente finché viene
raggiunta la sterilità. Le donne, quindi, sposandosi intorno ai 23 anni, si può dire che riducessero il
periodo riproduttivo in media a 15 anni, tenendo anche presente che la nascita dell'ultimo figlio
avveniva intorno ai 38 anni. Un altro fattore importante è l'intervallo di tempo che intercorreva tra
una nascita e l'altra. Andava dai 24 ai 30 mesi e spesso dipendeva da aborti, spontanei o procurati, e
dai nati morti. Bisogna anche tener presente che l'allattamento durava di norma 18 mesi, procurando
amenorrea in gran parte dei casi: per circa 6 mesi nella donne ben nutrite e per 18 in quelle mal
nutrite. L'allattamento costituiva, quindi, un vero e proprio contraccettivo. Infine gli intervalli tra le
nascite si allungavano con il declinare della fecondità e della virilità. Si rileva, inoltre, che i ricchi
avevano più figli rispetto ai poveri, certamente perchè i ricchi sposavano donne più giovani e quindi
più fertili, perchè i figli venivano affidati alle balie e quindi le madri non dovevano allattare, ed
infine perchè le madri erano meglio nutrite ed alloggiate. E' certo che l'alta mortalità infantile tra i
poveri era causata da una scarsa alimentazione e da una cattiva igiene. Infatti una porzione più alta
dei figli dei ricchi sopravviveva sino all'età adulta proprio perchè più sana. Alcune circostanze nello
svolgimento del tempo non sono cambiate, la storia si ripete quasi ciclicamente. Il filo conduttore ?
Quel filo é dentro di noi , dentro tutte quelle persone che nel corso della storia si sono amate e
hanno saputo assumersi i propri obblighi superando le avversità della loro era.


Il rito nuziale in Grecia
La cerimonia nuziale in Grecia durava tre giorni: il primo era chiamato protéleia, progàmia o
proaulìa eméra il secondo gàmos o télos ed il terzo epaulìa eméra
I riti prenuziali
Nel giorno prima della festa di nozze si svolgeva un preciso rituale che comprendeva in primo
luogo il sacrificio per le divinità protettrici delle nozze,
Questo poteva essere in onore di Era, di Artemide delle Moire, delle Grazie gamelie, di Afrodite e,
ad Atene, anche delle Divinità della stirpe,. Il momento più importante del rituale era comunque il
bagno purificatore che facevano sia la
sposa che lo sposo, a casa loro, con l'acqua di un fiume o di una fonte sacra . Per questo rito esisteva
un vaso particolare chiamato loutrophòros , che era di forma ovoidale con il collo affilato e due anse




sui                    fianchi.
L'importanza attribuita al bagno purificatore è testimoniata anche dal fatto che c'era l'usanza di
porre un loutrophòros sulla tomba di chi moriva adulto senza essersi sposato Infine a
completamento di questo articolato rituale la giovane sposa dedicava ad una divinità legata alla
sfera della verginità, come Artemide o Ippolito, le sue chiome la retina dei capelli, i giochi: i
timpani, la palla, le bambole .

Il secondo giorno della cerimonia, chiamato appunto gàmos o télos era il giorno più importante
perché in esso si compiva l'ekdosis cioè la consegna della sposa, e aveva inizio la coabitazione Le
fasi principali erano tre: la thòine gamikè cioè il banchetto di nozze a casa della sposa, la pompè
cioè il trasferimento della sposa a casa dello sposo, i katachýsmata e gli altri riti di accoglienza nella
nuova casa. Naturalmente i preparativi nella casa della sposa fervevano fin dal primo mattino:
venivano infatti appese corone di ulivo e alloro alle porte e accese fiaccole profumate di incenso. È
probabile, comunque, che tutti i preparativi fossero diretti dalla madre della sposa in prima persona,.
Intanto una schiera di donne, perlopiù parenti e amiche, guidate dalla nymphéutria si occupava della
vestizione della sposa per il banchetto nuziale.
Il banchetto nuziale
Protagonista di questo momento importante della cerimonia è il padre della sposa che supervisiona
ogni fase della sua preparazione. Sembra, inoltre, che fosse sempre lui a fare un sacrificio subito
prima, secondo il rito sacro prescritto.
Durante il banchetto uomini e donne erano seduti di fronte su tavole o divani separati e la sposa
sedeva tra le donne velata
Dalle fonti conosciamo anche il menù delle nozze che poteva comprendere pesce, vitello, maiale,
porcellini, lepre, involtini, formaggio, focacce, uova, ecc. Elemento ricorrente nei diversi menù
ricordati dalle fonti è la lepre, che pare fosse sacra ad Afrodite ed esaltata per la sue prestazioni
sessuali e per la sua fecondità. Naturalmente non poteva mancare la torta nuziale, la plakoûs
gamikòs un dolce profumato al sesamo, che, secondo la tradizione, propiziava la fecondità, poiché
aveva molti germogli.
Il sesamo, mescolato alla torta nuziale, era, in effetti, un elemento simbolico essenziale del rito
matrimoniale nelle società elleniche. Una volta impastata e profumata la focaccia con olio mischiato
a sesamo, quando tutto era pronto per la cerimonia, veniva tagliata e distribuita da una donna
incinta, di buon augurio per la giovane coppia
Secondo il cerimoniale bisognava, inoltre, indossare anche una corona di mirto, in onore di
Afrodite.

Durante il banchetto c'era probabilmente della musica e ad Atene un bambino, con entrambi i
genitori in vita, andava in giro per la sala coronato di spine e frutti di quercia con in mano un cesto
di pani pronunciando la formula rituale: "Ho fuggito il male, ho trovato il meglio". Le parole che
accompagnavano il fanciullo sembrano esprimere la stretta relazione tra vita civilizzata e
matrimonio. Il pane offerto, come prodotto della natura che appartiene soltanto all'uomo, in effetti,
è segno e garanzia della vita civile. Simboleggia, inoltre, chiaramente i valori connessi alla
condizione riproduttrice e domestica della donna sposata, in contrapposizione ai connotati culturali
della corona di foglie di quercia, che ricorda la vicinanza della vita selvaggia. Il banchetto si
concludeva con il brindisi e gli auguri agli sposi, ancora una volta da parte del padre della sposa. A
questo punto della cerimonia alcuni studiosi collocano il rito dell'anakalyptèria cioè il momento in
cui la sposa si toglieva il velo e riceveva i doni nuziali dallo sposo.. A seconda della condizione
sociale la festa di nozze poteva essere più o meno sfarzosa, tuttavia è probabile che ad un certo
punto si cominciò ad eccedere nelle spese, se Platone nelle Leggi (VI 775a-b) sente la necessità di
stabilire un limite al numero degli invitati per ciascuna famiglia ed un tetto per le spese. Ateneo (VI
245a-c), invece, ci parla degli Ispettori delle donne, i gynaikonòmoi che contavano gli invitati alle
feste nuziali e potevano all'occorrenza anche decidere di mandarne via qualcuno. A fare gli inviti
erano i genitori degli sposi, che potevano invitare di persona parenti ed amici oppure, come risulta
da alcuni papiri, inviare dei veri e propri biglietti di invito , in cui, come nelle odierne
"partecipazioni" erano indicati il luogo, la data e l'ora della festa.
Il corteo nuziale
A notte fonda c'era la pompè , il trasferimento solenne della sposa dalla casa paterna a quella dello
sposo.
Essa forse nei tempi più antichi aveva la forma di un rapimento e quest'usanza si conservava
ancora a Sparta.
Il corteo si muoveva a piedi o su un carro, dove la sposa era collocata dallo sposo o dal
paraninfo, colui che la conduceva allo sposo e la proteggeva durante questo importante
momento di passaggio.
Ora un ruolo importante era ricoperto dalla madre dello sposo che per prima innalzava le
fiaccole accese e guidava la processione Il momento doveva essere molto suggestivo, perché
il corteo illuminato dalle fiaccole, al suono di flauti e cetre danzava e cantava l'imeneo.
In Beozia, poi, il corteo si concludeva con un rito particolare: c'era, infatti, l'usanza di bruciare
gli assi del carro per simboleggiare che la sposa non poteva più andare via




I riti nella casa nuova
Il terzo momento della cerimonia si svolgeva nella casa dello sposo: qui la coppia era ricevuta dai
genitori dello sposo, che per prima cosa versavano sul capo della sposa fichi secchi, datteri, noci e
alcune monete e le offrivano i doni di benvenuto, secondo il rito dei katachysmata. Poi la sposa
mangiava una mela cotogna, come prescritto da Solone per rendere più dolce il primo abbraccio e
finalmente saliva nel thàlamos, la camera nuziale.
Questa era stata già precedentemente preparata, forse proprio dalla madre dello sposo, che
probabilmente aveva steso anche il letto coniugale.
Una volta entrati gli sposi nella camera nuziale, la porta veniva sprangata e fuori un amico dello
sposo faceva la guardia, mentre le amiche della sposa battevano con le mani sulla porta e cantavano
l'epitalamio Nella casa e per le strade la festa continuava per tutta la notte con canti e danze.
Il terzo giorno, l'epaulìa emèra (, al mattino gli sposi ricevevano dei doni dal padre della sposa
portati da una processione di parenti e amici, che era guidata da un bambino con un mantello bianco
e una torcia accesa in mano. Poi, non sappiamo se in questo giorno o successivamente, lo sposo
offriva un banchetto ai membri della sua fratrìa, e gli sposi facevano un sacrificio per pregare gli dei
di assisterli e guidarli nella nuova vita insieme. Nel corso del cerimoniale
erano presenti generalmente alcuni oggetti che segnavano l'esperienza del matrimonio come evento
fondamentale della vita individuale e della comunità cittadina: la padella per tostare l'orzo, usata
durante il banchetto e la pompé pubblica che accompagnava gli sposi alla nuova casa; il setaccio,
che un bambino teneva al fianco della donna nei riti d'integrazione al nuovo focolare; il pestello da
mortaio, che veniva attaccato davanti alla camera nuziale.
Ogni dettaglio, in realtà, sembrerebbe implicare il riferimento a Demetra, la dea dagli splendidi
frutti e dei cereali che, donando agli uomini la conoscenza della tecnica agricola, aveva inaugurato
un'età nuova, che consisteva non solo nell'applicazione delle nuove tecniche e nella conoscenza
delle nuove piante, ma anche in un'organizzazione della società che poneva fine all'età arcaica

Il corteo nuziale

Dopo il banchetto la sposa (nymphe) deve essere condotta nella sua nuova casa. Il trasferimento
della giovane dalla sua casa natale, la casa del padre, a quella del marito era anzi il momento
culminante del rituale matrimoniale e quello al quale era chiamata a partecipare l’intera comunità
cittadina.




Giunta l’ora, ormai a sera inoltrata, la sposa viene presa per il polso dal marito ( fig. 1 ) e issata sul
carro che la condurrà alla nuova dimora ( fig. 2 ). Accanto a lei sul carro sedevano il marito e il
pàrochos
, specie di accompagnatore della coppia scelto fra i coetanei (parenti o amici stretti) dello sposo. Il
tipo di mezzo di trasporto variava a seconda delle disponibilità economiche della famiglia: si
andava dal modello di lusso, un calessino di foggia arcaica trainato da pregiati cavalli, al più
frequente modello di tipo “giardiniera” (carro con sedili laterali) tirato da muli o da buoi.
Numerose raffigurazioni vascolari rappresentano il corteo nuziale che scortava i due sposi: giovani
ragazze e ragazzi che portano doni, danzano e cantano canti di buon augurio; parenti; portatori di
torce o di elementi del corredo. Torce e fiaccole sono essenziali perché questa parte del rito avviene
quando ormai fuori è buio: quanta più luce si riusciva a produrre, tanto più sfarzoso e ricco risultava
il matrimonio agli occhi dei concittadini. Gli strumenti suonati erano prevalentemente l’aulòs
(strumento ad ancia simile al clarinetto, spesso a canna doppia), la syrinx (flauto di Pan), la kithàra
(cetra), la phòrminx (lira), i cembali e i tamburelli. I canti intonati in questa occasione si
chiamavano “imenei” (hyménaioi) ed erano caratterizzati da accenti maliziosi e un po’ sboccati.
La descrizione più antica di un corteo nuziale si trova nell’Iliade di Omero




(canto XVIII, 491-496):
(…) si celebravano nozze e banchetti:
alla luce di fiaccole splendenti portavano le spose dalle loro stanze
su alla rocca cittadina e dappertutto si alzava il canto imeneo;
giovani danzatori volteggiavano e in mezzo a loro
clarini e lire diffondevano il loro suono; le donne,
ciascuna in piedi davanti alla porta di casa, ammiravano lo spettacolo
Il corteo passa per le vie più frequentate e per l’agorà, la piazza del mercato: l’intera comunità
dev’essere testimone dell’evento, grazie al quale due famiglie della città stabiliscono un solenne
legame di alleanza. Le fanciulle del corteo “accompagnano la sposa con le torce, a un’ora avanzata
della sera, per mostrarla a tutti” (Dione Crisostomo, Patrol. Grec. 61 pag. 104): e dalle case le donne
si affacciano sulla via per veder passare la rumorosa parata. Il tumulto di musica e danze del corteo
doveva creare un effetto di forte contrasto con l’atteggiamento dei protagonisti principali della
cerimonia, che, come mostrano le immagini antiche, mantenevano invece pose composte e solenni.
Specialmente la giovane moglie: muta, con gli occhi bassi e l’atteggiamento dimesso, essa sembra
passivamente eseguire solo i movimenti che le vengono richiesti dal marito e dalla nymphéutria
(una specie di damigella che la accompagna durante l’intera giornata). Sulla soglia della nuova
dimora, la ragazza trova il padre e la madre dello sposo ad accoglierla. Ma la festa, a questo punto,
non era ancora terminata: per i partecipanti al corteo, infatti, essa proseguiva fino a notte fonda,
anche dopo che marito e moglie si erano ritirati nella camera nuziale; anzi, era consuetudine che le
compagne della sposa iniziassero a battere con insistenza sulla porta che si richiudeva dietro alla
coppia avviata a trascorrere la prima notte insieme. Al rumore dei colpi si aggiungeva il suono di un
altro canto rituale, questa volta di tono solenne, l’epitalamio, che celebrava la bellezza della sposa,
invitava i due giovani a godere dei piaceri dell’amore e pregava gli dèi protettori delle nozze di
donare alla coppia felicità, prosperità e la nascita di figli legittimi.

Uno degli elementi più importanti in questa simbologia del corteo nuziale è il fatto che in tutte le
fasi del trasferimento la sposa, pur costituendo il centro dell’attenzione, riccamente vestita e
agghindata per essere ammirata, non compie mai un movimento autonomo. Presa per il polso e
trascinata, issata di peso sul carro, spinta dalla nymphéutria o sollevata dal pàrochos, la ragazza non
è mai soggetto attivo del rito, ma oggetto passivo di tutto ciò che si compie intorno a lei. Per
comprendere questo, dobbiamo ricordare che nella mentalità degli antichi Greci, la donna non era
un soggetto autonomo, ma piuttosto un bene di cui i membri maschi della famiglia avevano il diritto
di disporre. La ragazza da marito, per esempio, non poteva in alcun modo scegliere il proprio
compagno di vita: era il padre che disponeva completamente della figlia e stava a lui decidere se e a
chi darla in matrimonio. Dal momento in cui veniva concessa in sposa, essa passava dalla tutela del
padre a quella del marito, al quale era tenuta a dimostrare (lo volesse o no) completa subordinazione
e obbedienza. In nessun modo essa avrebbe potuto allontanarsi dalla sua nuova casa: ferma e
inamovibile come il focolare (hestìa) che essa rappresentava, inavvicinabile da uomini estranei alla
famiglia, i suoi movimenti erano confinati allo spazio circoscritto dalle mura domestiche, dalle
quali poteva uscire solo per alcune occasioni rituali stabilite (alcune feste e i funerali). Andare in
giro per la città non era cosa da donne per bene: schiave e prostitute, invece, non avevano
un’onorabilità da preservare e si muovevano perciò senza restrizioni. Per quanto ne sappiamo, solo
a Sparta la condizione della donna sposata era differente e contemplava maggiore libertà di azione e
di movimento: e, infatti, il comportamento delle donne spartane destava scandalo nel resto della
Grecia.




Non è allora un caso che nel rito matrimoniale del trasferimento dalla casa paterna a quella del
marito la donna risultasse sempre ‘spostata’ o trascinata come un oggetto inerte: in questo modo si
intendeva sottolineare simbolicamente che, pur essendo destinata a muoversi per cambiare casa di
appartenenza, in questo movimento la sposa non aveva parte attiva; ma che, anzi, la sua funzione
era quella di farsi spostare e restare dove il padre e il marito avessero deciso di installarla. Ecco, per
esempio, che cosa succedeva nel rituale della Beozia, una regione della Grecia confinante con
l’Attica, dopo che la sposa era stata trasportata alla casa del marito (Plutarco, Questioni romane,
29):
“bruciano l’assale del carro, mostrando così che la sposa non se ne può più andare, dal momento
che il mezzo di locomozione è stato distrutto”.
La donna era chiamata ad incarnare la stabilità della famiglia, l’idea della permanenza e
dell’isolamento che tiene la casa al riparo dalle minacce esterne. La dea che meglio rappresentava
questa funzione femminile era Hestìa, il cui nome significa “focolare”: centro simbolico dello
spazio domestico chiuso e protetto, la hestìa era il punto in cui la casa aveva, per così dire, le sue
radici. La soglia di casa era il confine oltre il quale la donna per bene non osava andare. Al polo
opposto stava il dio Hermès, dio delle transizioni, della comunicazione e del commercio, il cui moto
non conosce barriere di confini né di soglie, che rappresentava invece la mobilità maschile e
sovrintendeva agli scambi fra l’interno e l’esterno della casa. Il libero entrare e uscire, l’autonomia
del movimento erano, nella coppia, prerogative del marito; e solo ai padri e ai mariti spettava inoltre
il compito di regolare i rapporti della famiglia con l’esterno, di decidere acquisizioni o cessioni di
beni, di regolare il passaggio di ospiti, di personale, di schiavi, di mogli... Si spiega così perché in
alcune antiche raffigurazioni di trasferimento della sposa sia proprio il dio Hermès ad aprire la
strada al corteo nuziale




L'abbigliamento della sposa


Non sappiamo se ci fosse un abito nuziale ben preciso prescritto dalla tradizione: le fonti, infatti,
presentano diverse combinazioni di abiti e colori, il che fa pensare ad una certa libertà. Esiodo, ad
esempio, quando ne La Teogonia descrive la vestizione di Pandora, che va sposa ad Epimeteo, ce la
presenta con una veste bianca fermata alla vita da una cintura, un velo ed una corona d'oro, ed
Euripide nell' Alcesti (vv. 922 ss.) fa dire all'eroina pronta alla morte che invece degli imenei e del
peplo bianco la attendono lamenti e vesti nere. Entrambi i poeti insistono, dunque, sul particolare
delle vesti bianche; tuttavia il tragediografo propone anche altrove (cfr. Eur., Hel. 1087s., 1186s.) i
pepli bianchi in contrapposizione a quelli neri, simboli di lutto, per le eroine che si apprestano ad
affrontare una morte prematura. Inoltre Esiodo parla genericamente di esthès (eèsqh@v) "veste",
mentre Euripide usa il termine pèplos (pe@plov), che designava la tunica semplice che le donne
greche usavano sotto l'himation. Del tutto opposta è la testimonianza di Aristofane che nel Pluto
(vv. 529 s.) allude ad un abito nuziale arricchito da un himation finemente ricamato, variopinto e
forse di porpora. Il colore rosso, inoltre, torna anche in una testimonianza tarda: il romanziere
Achille Tazio (Clit. II 11, 2), infatti, ci descrive la toletta di una sposa accennando ad una veste tutta
rossa, con fasce dorate e ad una collana di pietre variopinte. Infine un altro romanziere, Caritone,
parla di una veste milesia, un tipo di stoffa di lana molto sottile, e della corona nuziale. Se invece
diamo uno sguardo ai vasi, che spesso rappresentano la preparazione della sposa, troviamo che la
ragazza è di solito ricoperta da un himation riccamente ricamato, che spesso le fa anche da velo, ed
ha una corona perlopiù di fiori e non dorata, come invece è attestato nelle fonti letterarie. È
evidente, per concludere, che la sposa greca poteva scegliere come meglio le piaceva il suo abito
nuziale; poteva infatti indossare una semplice tunica bianca o un ampio mantello variamente
ricamato e colorato, una corona dorata o una intrecciata di fiori, ma nel suo abito nuziale non
doveva mancare il velo, che aveva una precisa funzione rituale e che dopo le nozze veniva dedicato
ad Era. Esso poteva essere corto e ricamato o poteva essere costituito dallo stesso himation
drappeggiato intorno alla testa.

Il velo nuziale nell’antica Grecia


Le donne greche, di ogni età, quelle rare volte in cui escono di casa, hanno il capo velato. Oltre a
proteggere dalla polvere, il velo salvaguarda la reputazione di chi lo indossa; esso é, cioè, segno di
riservatezza, virtù che ogni donna perbene non può non possedere. O che, quantomeno, deve
pubblicamente mostrare di possedere. Il velo, dunque, non è prerogativa esclusiva
dell’abbigliamento della sposa, eppure gioca un ruolo di una certa rilevanza all’interno del rituale di
nozze. Uno dei momenti del rito, infatti, ha il nome di anakalyptérion, lo svelamento.
Racconta Ferecide di Siro, poeta vissuto nel IV sec. avanti Cristo, che, all’inizio dei tempi, il dio
supremo Zeus si unì in matrimonio con Chthonia, la terra profonda. La festa di nozze durò tre
giorni, al termine dei quali il dio, di fronte alla sua sposa, le sollevò il velo, sottile tessuto ricamato
che egli stesso le aveva donato, e le rivolse queste parole: «Salute a te, vieni con me!». Per questo,
aggiunge il poeta, «gli dei e gli uomini della terra conservano l’uso dell’anakalyptérion». E in
effetti, lo svelamento fa parte del rituale diffuso in tutto il territorio greco, mentre non viene
confermato da altre fonti che lo sposo pronunci contemporaneamente proprio la formula riportata da
Ferecide.
La sposa (nymphe) viene velata nella casa paterna dalla nymphéutria, una donna dell’entourage
della famiglia d’origine, preposta ad affiancare la giovane nel corso dell’intera cerimonia. Le
rappresentazioni vascolari relative al corteo nuziale mostrano la sposa velata in vario modo: ora ha
il viso completamente nascosto, ora solo il capo, molto spesso è ritratta nel gesto di stringere il velo
a coprire solo una metà del viso. Tale diversità ci testimonia come, a secondo della regione o del
periodo storico, alcuni particolari del rituale possano variare. In questa fase del rito, il velo sembra
avere, come accade in altre culture, un valore apotropaico, proprio perché è il momento in cui la
sposa si trova maggiormente esposta.
O subito prima del corteo nuziale, oppure già nella casa del marito - non sappiamo con certezza –
ha luogo l’anakalyptérion. A svelare la giovane é, comunque, lo sposo, davanti a testimoni. Dell’
anakalyptérion non abbiamo, purtroppo, documenti iconografici. Le fonti letterarie antiche
suggeriscono che il suo significato sia quello di accogliere e insieme prendere possesso. In
particolare, l’atto di sollevare il velo sancirebbe il possesso sul corpo della donna, attraverso la
rappresentazione rituale, e perciò pubblica, di quanto poco più tardi avverrà nell'intimità del talamo.


A Roma
Gli Sponsalia

A Roma le nozze erano solitamente precedute dagli sponsalia, cerimonia solenne con la quale
si compiva la promessa di matrimonio. Come rivela lo stesso nome almeno in età arcaica gli
sponsalia si effettuavano attraverso la sponsio, un impegno formale per mezzo del quale il
pater familias prometteva al fidanzato la propria figlia in moglie. Questa cerimonia era,
dunque, un atto solenne, fondato sulla tradizione patriarcale e caratterizzato da un preciso
apparato giuridico che lo rendeva impegnativo quasi quanto il matrimonio. Gli sponsalia si
svolgevano alla presenza degli aruspici e di tutti gli amici delle due famiglie che svolgevano la
funzione di testimoni dell'impegno matrimoniale. Quest'ultimo era preso secondo le forme della
stipulatio, in base alla quale sia il pater della donna sia il fidanzato s'impegnavano a garantire il
compimento delle nozze. Presi gli accordi giuridici, c'era la consuetudine - ma non era un atto
necessario - che i due fidanzati si scambiassero un bacio casto, che non offendeva le antiche
tradizioni. In tal caso la cerimonia degli sponsalia era definita osculo interveniente.
Seguiva, quindi, lo scambio dei doni - solitamente arredi ed abbigliamento - che costituivano il
"pegno" delle future nozze, dopodiché l'uomo regalava alla fidanzata un anello, l'anulus
pronubus sul quale vi sono diverse testimonianze. Quest' anello, infatti, non era un semplice
regalo, bensì svolgeva una funzione simbolica ben precisa: esso era una sorta di "catena"
simbolica attraverso cui lo sposo legava a sé la sposa, rivendicandone il pieno possesso. Di
conseguenza, una volta infilato l'anulus al dito, la ragazza manifestava concretamente il suo
impegno a rispettare il patto di fedeltà nei confronti del fidanzato. Non è un caso, infatti, che
l'anulus fosse infilato al penultimo dito della mano sinistra, detto appunto anularius, da cui si
credeva partisse una vena che giungeva dritta al cuore. Inizialmente, come ricorda anche
Plinio il Vecchio, l'anulus doveva essere un semplicissimo cerchietto di ferro e solo in seguito fu
realizzato in oro. Dopo aver firmato il contratto nuziale, nel quale erano stabiliti la natura e
l'ammontare della dote della sposa e dopo aver fissato la data delle nozze, la cerimonia degli
sponsalia giungeva al suo termine. Seguiva, quindi, un banchetto al quale partecipavano tutti i presenti.

Il rito nuziale

I matrimoni a Roma erano solitamente celebrati in estate. Estremamente superstiziosi, i Romani
avevano fissato una serie di giorni e periodi dell’anno in cui era assolutamente vietato sposarsi. Più
precisamente era proibito celebrare matrimoni nei giorni festivi, quando ci si doveva occupare di
cose divine nei templi, nelle Calende e nelle Idi, durante i Parentalia, la festività di febbraio in onore
dei parenti defunti e soprattutto nel mese di maggio, come ricorda Plutarco, che spiega anche che il
periodo migliore era, invece, subito dopo le Idi di giugno, nel mese consacrato a Giunone, una delle
più importanti divinità protettrici del matrimonio. Il giorno prima delle nozze la sposa era
protagonista di un rito che segnava il passaggio dall’infanzia all’età adulta, durante il quale
consacrava sull’altare domestico i giochi da bambina.
Il mattino successivo, assistita dalla pronuba, una matrona anziana e univira (l’aver avuto un solo
marito era segno di buon augurio), la giovane si abbigliava secondo i dettami della tradizione e
attendeva lo sposo e i suoi parenti nella casa paterna che, per l’occasione, era addobbata a festa:
dalla porta e dagli stipiti pendevano corone di fiori, rami di piante sempreverdi come il mirto e
l’alloro e bende colorate; nell’ingresso erano sistemati tappeti mentre, soprattutto presso le più
importanti famiglie patrizie, si era soliti aprire gli armadi dove erano conservate le imagines, le
maschere di cera degli antenati. A Roma si praticavano tre differenti forme di matrimonio. Il
matrimonio per confarreatio era il più antico e solenne, istituito secondo la leggenda da Romolo e
per questo ritenuto sacro ed inscindibile. Praticato inizialmente dai patrizi, fu poi riservato alla sola
classe sacerdotale dei Flamines, ma cadde presto in disuso.
Il matrimonio per coemptio era basato su una sorta di "vendita" della donna da parte del pater allo
sposo che, alla presenza di cinque testimoni, pagava la simbolica cifra di un nummus. L' usus,
infine, si basava sull'ininterrotta convivenza di un uomo e una donna non coniugati per un anno. Al
termine di questo periodo si poteva ritenere costituito il vincolo matrimoniale. Il rito nuziale
iniziava con un sacrificio augurale fatto alla presenza degli aruspici e di dieci testimoni che forse
rappresentavano le dieci curie. Nel caso del matrimonio per confarreatio presenziavano anche la
massima autorità religiosa della Roma pagana, il Pontifex Maximus ed il flamine di Giove, il
Flamen Dialis.
Risultano ancora incerti la divinità alla quale si sacrificava (Giunone o Giove Capitolino) ed il tipo
di animale che veniva sacrificato, forse una pecora o un bue, meno probabilmente un maiale. Nel
caso della confarreatio, l’animale era cosparso sulla fronte da una pappina di farro, con la quale si
ricoprivano anche i coltelli; il farro era poi, gettato nel fuoco. Durante il sacrificio una funzione
molto importante era svolta dagli aruspici che esaminavano le viscere dell’animale per trarne
responsi: la cerimonia nuziale, infatti, proseguiva solo nel caso in cui gli auspici fossero favorevoli.
Sempre nel matrimonio per confarreatio, a questo punto della cerimonia, gli sposi mangiavano
insieme, seduti uno affianco all’altra su due sgabelli ricoperti di pelle di pecora (pellis lanata), una
focaccia sempre di farro, il panis farreus. La consumazione insieme del pane era, infatti, simbolo
della vita coniugale: l’alimento mangiato in comune favoriva la concordia e l’unità degli affetti.
Dopo questo rito gli sposi facevano il giro dell’altare preceduti da un inserviente che portava il
cumerus, il cestello con gli arredi sacri. Al sacrificio seguivano la sottoscrizione delle tabulae
nuptiales, contenenti il contratto matrimoniale, e il rito della dextrarum iunctio, durante il quale la
pronuba, congiungeva le destre dei due sposi. La dextrarum iunctio costituiva il momento
culminante del rito nuziale: in quel momento, infatti, tra i due sposi veniva sancito il patto
coniugale. i cui avanzi bruciacchiati erano poi distribuiti agli ospiti in segno di buon augurio. Al
Conclusasi la cerimonia, si svolgeva il banchetto di nozze, la cosiddetta cena nuptialis, termine
della cena, in serata, allo spuntare di Venere avveniva la cosiddetta deductio, il trasferimento della
sposa dalla casa paterna a quella maritale. Lo sposo, forse in ricordo dell’antico matrimonio per
ratto, fingeva di rapire la moglie, riluttante e spaventata, strappandola dalle braccia della madre ,
dopodiché si formava il corteo nuziale, illuminato da fiaccole ed accompagnato da suonatori di
flauto. La sposa era accompagnata da tre fanciulli tutti patrimi e matrimi, poiché ciò era ritenuto di
buon auspicio: due la tenevano per mano, mentre un terzo la precedeva recando la spina alba, una
fiaccola di biancospino, simbolo di fecondità, accesa presso il focolare della casa della sposa. Il
corteo era composto anche da un giovane di nascita libera e nobile, denominato camillus, che
recava un vaso coperto con dentro gli arnesi del lavoro

femminile e da due serve che reggevano in mano il fuso e la conocchia, strumenti dell’arte della
filatura. Lo sposo, nel frattempo, faceva distribuire ai fanciulli noci, simbolo di fecondità.




Durante il corteo s’invocavano tutte le numerose divinità protettrici del matrimonio: oltre alle
maggiori come Giove e Giunone, ai quali era attribuita l’istituzione del matrimonio, Venere,
protettrice degli amori, Diana protettrice dei feti, Fides, personificazione di una delle virtutes
fondamentali richieste alla matrona romana, erano, infatti, invocate anche divinità minori che
dovevano favorire l’unione sessuale degli sposi. Alle preghiere si alternavano le invocazioni
festose, come il grido rituale « Talasio » , sulla cui origine vi sono varie ipotesi: Livio lo ricollega
ad un episodio del ratto delle Sabine, mentre Festo ne dà una spiegazione etimologica rapportandolo
all'arte della filatura.
Né potevano mancare i fescennini versi mordaci e spesso osceni che, accompagnati dal suono della
doppia tibia, svolgevano probabilmente una funzione apotropaica, tenendo lontano il fascinus, il
malocchio. Giunta sulla soglia della casa maritale la sposa ornava l'architrave della porta d'ingresso
con bende di lana e la spalmava con grasso di maiale, come ricorda Servio, e rispondeva al marito
che sulla soglia le domandava chi fosse, con la celebre espressione formulare "Ubi tu Gaius ego
Gaia".
Terminato questo rituale, due amici del marito la portavano finalmente dentro sollevandola da terra
sia per evitare che inciampasse sulla soglia della sua nuova casa, poiché ciò sarebbe stato di cattivo
augurio, sia, forse, per ricordare il ratto delle Sabine. In casa il marito la riceveva recando un'urna
d'acqua purissima e un tizzone di fuoco (aqua et igni accipere), due elementi che probabilmente
simboleggiavano la vita coniugale e, secondo Varrone, erano legati alla procreazione. Dopo questa
cerimonia, si compivano le preghiere di rito e s'invocavano il Genio familiare del marito e le varie
divinità. Infine, mentre il corteo si scioglieva, la pronuba accompagnava la sposa nella camera
nuziale, in cui si trovava il talamo che era ornato di porpora e coperto dalla toga forse come augurio
di figli maschi o come segno del dominio maritale. Qui lo sposo le scioglieva la cintura virginale. Il
giorno seguente la sposa, che vestiva per la prima volta abiti matronali, sacrificava ai Lari ed ai
Penati e riceveva doni dal marito. Seguiva, quindi, un banchetto (repotia) riservato ai parenti degli
sposi.

Abbigliamento della sposa

Il giorno delle nozze, lo sposo indossava la toga, limitandosi a sostituire, qualora non lo avesse già
fatto durante il fidanzamento, la toga praetexta con quella virilis; invece, l'abbigliamento della sposa
presentava delle caratteristiche ben precise per quanto riguarda sia la pettinatura che l'abito.
Smesso, infatti, definitivamente il vestito da fanciulla, ella indossava l'abito nuziale già la sera
prima delle nozze e dopo aver raccolto i capelli in una reticella rossa, così abbigliata si coricava. Il
giorno successivo, i suoi capelli venivano pettinati secondo una speciale acconciatura, denominata
sex crines. Essa consisteva nel dividere i capelli in sei trecce composte attorno alla fronte e tenute
insieme da bende, le vittae, che la donna indossava per la prima volta proprio il giorno del
matrimonio e che costituivano uno dei segni distintivi del suo nuovo status di matrona. Queste
bende erano tessute secondo un preciso rituale , in base ad una tecnologia arcaica che prevedeva
l'utilizzo di un telaio verticale su cui un ordito grosso, ad andamento rettilineo, prevalesse sulla
trama. Completava l'acconciatura nuziale una sorta di spillone dall'impugnatura corta e dalla punta
molto aguzza, simile ad una punta di lancia, denominato hasta caelibaris, il cui valore simbolico
non risulta del tutto chiaro. L'abito nuziale era costituito da una semplice tunica bianca, lunga fino
ai piedi, denominata tunica recta o regilla che ricordava nel taglio la stola matronale. Come per le
vittae, anche la cucitura della tunica seguiva un rituale particolare poiché questa veste era ricavata
da un unico pezzo di stoffa e non doveva presentare nessun tipo di orlo e di rifinitura. A questa
tunica era poi applicata, in modo da renderla aderente in vita, una cintura di lana, il cingulum, che,
consacrato a Giunone, una delle divinità protettrici del matrimonio, non poteva essere sciolto che
dallo sposo. I capi del cingulum erano tenuti insieme da un doppio nodo denominato, come augurio
di fecondità, nodus Herculeus: secondo la tradizione mitologica, infatti, l'eroe era stato padre di
settanta figli. La sposa indossava, quindi, una palla color giallo zafferano che drappeggiava sulla
tunica e dei calzari, i socci, dello stesso colore. L'elemento fondamentale dell'abbigliamento nuziale
era, però, il flammeum, un velo che scendeva dal capo della sposa per coprirne la parte alta del
volto e che, nel corso della cerimonia, veniva sollevato e teso anche sul capo dello sposo. Come si
deduce dallo stesso nome, il flammeum era colore del fuoco: il rosso, infatti, da un lato,
simboleggiava il pudore virginale della sposa, dall'altro, era il colore apotropaico per eccellenza.
Sul flammeum era poggiata una corona intrecciata di maggiorana e verbena poi sostituita, in
età imperiale, da una di mirto e fiori d'arancio.
Il flammeum


Nel matrimonio romano è attestato l'uso del flammeum, un velo di colore arancione o giallo o rosso,
in ogni caso di un colore che richiamasse la fiamma o il fuoco.

La sposa completava il suo abito e la acconciatura dei capelli con questo velo che da simbolo
iniziatico diverrà simbolo di pudicizia e castità. Questo vocabolo è associato al termine greco
flo@ginov "fiammeggiante", derivato da flo@x "fuoco", e di cui è un calco semantico. Secondo la
testimonianza di Paolo Festo la presenza del flammeum nell'abbigliamento tradizionale della sposa
romana deve la sua origine alla flaminica Dialis, la moglie del flamen Dialis, sacerdote di Giove.

La flaminica era solita indossare un abito e un velo color fiamma con il quale durante i sacrifici si
copriva il capo. Il flammeum era considerato un segno di buon auspicio, dal momento che alla
flaminica non era lecito divorziare.

La valenza di questo capo di abbigliamento per la sposa romana era tale che l'atto di 'sposarsi' per la
donna era detto nubere, ossia in senso proprio "velarsi, prendere il velo".

Piccola storia dell’abito nuziale
L' abito da sposa da sempre simboleggia il candore, la purezza.
Nell' antica Grecia le spose indossavano tuniche bianche, avvolte da veli gialli e arancioni.




                          In Cina, il colore del matrimonio è rosso, come lo è per le spose indiane. Il
rosso è un colore che si dice propiziasse le nascite, già duemila anni fà la sposa si copriva con un
velo rosso.
Con l'avvento del Cristianesimo, il velo diventò simbolo di sottomissione a Dio e al marito. Le
famiglie nobili si tramandavano veli preziosi, quasi fosse un tesoro di famiglia. Bisogna dire che a
volte il velo serviva a coprire il volto della sposa che veniva data in matrimonio per motivi politici,
quindi lo sposo non era tenuto a conoscerne l' identità.
Il riso che veniva gettato sulla testa degli sposi già in epoca pagana simboleggiava una pioggia di
fertilità.
I fiori d' arancio simboleggiano purezza e verginità, la tradizione vuole che lo sposo ne regali un
mazzetto alla sposa legato da un nastro bianco. Lo scambio degli anelli è molto importante perchè
simboleggiava la fedeltà al giuramento e venivano infilati all'anulare sinistro che è il dito collegato
con la via del cuore. In alcune regioni italiane l' anello viene chiamato " vera " ossia 'fedeltà'.
La tradizione vuole che sia lo sposo a conservarle fino al matrimonio per poi farle portare dai paggi
sull'altare per la benedizione.
Nel Medioevo, in Europa, il vestito aveva soprattutto lo scopo di preservare il corpo dal freddo,




senza particolari attenzioni all'eleganza.                              Comparirono però a poco a poco
alcuni capi che diventarono tradizionali: la lunga camisa di origine araba, le prime brache
(indossate dagli uomini sotto la gonna o la cotta), i berretti delle più varie forme.
Nel tardo Medioevo e nel primo Rinascimento si stabilizzarono alcune forme tipiche: per gli uomini
il farsetto, i calzoni di maglia attillati, i vari copricapi; per le donne un abito lungo, dalla scollatura
rotonda, una sopraveste senza maniche, variamente ornata e di diversi colori.
Il primo abito bianco da sposa che si documenta è quello della principessa Filippa di Inghilterra
nel 1406.




La moda rinascimentale era molto fastosa:                                   tipiche tra gli uomini le
brache larghe e la giubba con le maniche tagliate per far intravedere la fodera; per le donne una
gonna larga, il corpetto sul busto a stecche, la camicia ricamata e la ricca zimarra.
In Italia, le severe disposizioni della Controriforma ispirarono costumi più severi e più semplici:
tipico del '600 è il severo abito nero ravvivato solo dalla gorgiera, un enorme colletto bianco a
pieghe.
Il secolo XVIII rappresentò il culmine dell'eleganza: paniers, redingote, gilet e culottes di seta o




raso abbondantemente ornate.
Dopo la Rivoluzione Francese, Giuseppina Bonaparte lanciò la linea definita Impero con il
bustino a vita alta da cui scende la gonna.
Da allora l'abito da sposa divenne sempre più importante, grazie anche alla Regina Vittoria che
lanciò uno stile che prende il suo nome, Vittoriano: vita stretta con corpetto aderente e gonna ampia
con strascico.
Per tutto l'800 e i primi anni del '900 la sposa seguì la moda da sera.
Intorno agli anni Trenta del XX secolo si affermò l'abito come lo intendiamo oggi: bianco, lungo,




con il velo e un bouquet di fiori.




Il matrimonio civile
Il matrimonio civile è, per definizione, la celebrazione che garantisce automaticamente tutti gli
effetti legali ed amministrativi. È la modalità di celebrazione del matrimonio scelta da coloro che
non desiderano la celebrazione religiosa. Il matrimonio civile richiede una serie di formalità
preliminari che hanno il fine di accertare l’effettivo stato di libertà da vincoli di precedenti
matrimoni e la consapevolezza, da parte di entrambi gli interessati, di voler contrarre il matrimonio
senza alcun tipo di costrizione o ricatti.
La prassi per il matrimonio civile prevede che entrambi i fidanzati si rechino, almeno due/tre mesi
prima del giuramento, presso l'Ufficio di stato Civile del Comune di residenza di uno dei due per
firmare una formale richiesta di "pubblicazioni". Occorre portare con se l’atto di nascita, il
certificato di residenza, stato libero e cittadinanza.
Se uno dei due contraenti è divorziato, occorre aggiungere alla lista anche la sentenza di divorzio,
mentre se si è vedovi è necessario presentare la copia integrale dell'atto di morte del coniuge. In
caso di matrimonio civile tra minorenni, occorre una copia autentica del decreto di ammissione al
matrimonio emesso dal Tribunale per i minorenni, mentre per uno straniero occorre il certificato di
capacità matrimoniale rilasciato dal Consolato o Ambasciata competente. Se tale certificato non
risulta completo in tutte le sue parti, occorre anche l'atto di nascita in modello plurilingue o tradotto
dallo stesso consolato.
In seguito a tale richiesta, gli incaricati comunali elaborano tutto il materiale ricevuto per poi
contattare personalmente i futuri sposi al fine di fissare la data del matrimonio civile. Vengono così
esposte, per otto giorni,le pubblicazioni con le complete generalità dei futuri sposi e il luogo di
celebrazione del matrimonio civile. Obiettivo della pubblicazione è quello di rendere nota a tutti
l'intenzione dei fidanzati di contrarre matrimonio affinché chiunque abbia motivo possa opporsi,
qualora sussistano impedimenti di cui costoro siano a conoscenza o altre gravi ragioni previste dalla
legge.

Trascorsi quattro giorni dopo il termine delle pubblicazioni, l'Ufficiale di Stato Civile, se non ha
ricevuto nessuna opposizione in merito a quella coppia, rilascia il "nulla osta" al matrimonio, in cui
dichiara che la celebrazione non ha impedimenti agli effetti civili. I due fidanzati, a questo punto,
possono celebrare il proprio matrimonio civile entro 180 giorni dalla scadenza della pubblicazione,
pena la decadenza di validità dei documenti.

Il matrimonio civile in municipio, di norma viene celebrato in orario d'ufficio del comune, dal
lunedì al sabato mattina.
Il matrimonio civile è apparentemente meno formale di quello religioso, ma impone comunque
alcune regole di forma e di buon gusto che è opportuno rispettare. Eleganza, sobrietà e semplicità
dovrebbero connotare lo svolgimento del matrimonio civile che non ammette nessun ritardo da
parte degli sposi, poiché nello stesso giorno vengono celebrati numerosi matrimoni.

Come per il rito religioso, la sposa entra al braccio del padre, poi gli invitati si accomodano secondo
la tradizione: genitori, amici e parenti dello sposo a destra, a sinistra quelli della sposa.
Il rito del matrimonio civile è piuttosto breve. Dura dai quindici ai venti minuti e prevede la lettura
di alcuni articoli del codice civile da parte dell’Ufficiale di Stato Civile. Questi, in dettaglio, sono:

Articolo 143, Diritti e doveri reciproci dei coniugi Con il matrimonio il marito e la moglie
acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l'obbligo
reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della
famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie
sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della
famiglia.

Articolo 144, Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia I coniugi concordano tra loro
l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e
quelle preminenti della famiglia stessa. A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l'indirizzo
concordato.

Articolo 147, Doveri verso i figli Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di
mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e
delle aspirazioni dei figli.
Tali articoli vengono letti anche al termine della classica cerimonia religiosa, con la sola differenza
che, a declamarli, è il sacerdote officiante.

Dopo aver ricevuto dagli sposi la dichiarazione di volersi prendere rispettivamente come marito e
moglie, avviene lo scambio degli anelli, la firma dei registri e, in conclusione, un breve discorso
augurale da parte di chi ha officiato la cerimonia.
E’ prassi che il rito civile venga celebrato presso la sede di uno due Comuni in cui risiedono i
promessi sposi. Alcuni Comuni mettono a disposizione, per la celebrazione dei matrimoni civili,
anche ambienti suggestivi, come stanze di palazzi storici della città.
Nel caso in cui le nozze vengano celebrate in un Comune diverso rispetto a quello di appartenenza,
occorre inviare al comune di residenza una richiesta scritta, in cui vengono spiegate le motivazioni
della scelta di celebrare il matrimonio civile in un'altra località. L'ufficio del comune consegnerà
agli sposi una lettera di delega, che dovrà essere presentata nel comune scelto per la celebrazione
del matrimonio.


Il Matrimonio - Costituzione
Art.29
1.La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio.
2.Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti
dalla legge a garanzia dell'unità familiare.
Art.30
1.E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal
matrimonio.
2.Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.
3.La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale,
compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.
Art.31
La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la
formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con
particolare riguardo alle famiglie numerose.
Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti
necessari a tale scopo.

Il Matrimonio - Requisiti

Il codice civile prevede alcuni requisiti per contrarre matrimonio la cui mancanza comporta
la impossibilità di contrarre matrimonio indipendentemente dalla persona dell'altro coniuge.
In particolare:
Maggiore età: non può contrarre matrimonio chi non abbia compiuto 18 anni. Peraltro,
anche il minore di 18 anni che abbia già compiuto 16 anni, può essere ammesso a contrarre
matrimonio ai sensi dell'art. 84 del codice civile qualora il Tribunale conceda l'autorizzazione
previa verifica dei gravi motivi e l'accertamento della maturità psico-fisica del minorenne.
Capacità di intendere e di volere: non può validamente contrarre matrimonio
l'interdetto per infermità di mente. Quanto al matrimonio contratto dall'incapace naturale
cioè il soggetto che sia al momento di contrarre matrimonio incapace di intendere e di volere)
esso può essere impugnato a meno che vi sia stata coabitazione tra i coniugi della durata di un
anno.
Libertà di stato: non può contrare matrimonio chi sia già legato ad altra persona da
matrimonio civile o con effetti civili. Colui che contrae un secondo matrimonio, in costanza di
precedente matrimonio, incorre nel reato di bigamia (diritto)
Il codice civile prevede alcune situazioni che costituiscono impedimenti a contrarre
matrimonio. Essi si dintinguono in impedimenti dirimenti, la cui presenza da luogo alla
nullità, e impedimenti impedienti, la cui presenza obbliga a pagare un'ammenda.
Sono impedimenti dirimenti:
Rapporto di parentela, affinità, adozione e affiliazione tra i nubendi.
Omicidio tentato o consumato di un coniuge a danno dell'altro.
Sono impedimenti impedienti:
Lutto vedovile
Mancanza di pubblicazione

La dichiarazione di nullità è meglio nota come annullamento del matrimonio.
L'espressione non deve essere fraintesa, perché il matrimonio viene dichiarato nullo, cioè mai
esistito e non "annullato" da un certo momento in poi, come avviene con il divrzio: ha quindi
efficacia retroattiva.
Le cause che possono portare all'annullamento di un matrimonio sono indicate nel Codice
Civile e possono essere, tra le altre, la mancata consumazione, la scoperta di anomalie o un
gravi difetti di uno degli sposi (purché esse esistessero prima dell'atto di matrimonio e fossero
state celate), la mancanza dei requisiti per il matrimonio di uno dei coniugi (esempio si scopre
che uno dei due era già vincolato in un altro matrimonio, oppure si scopre che i coniugi sono
parenti sanguini), eccetera...




 IL RITO RELIGIOSO
La cerimonia si svolge generalmente durante una messa nuziale, non priva di momenti emozionanti
e suggestivi, tra i quali, è possibile indicare senz’altro le fasi essenziali:
Prima di concedere l'autorizzazione alla celebrazione del matrimonio religioso, la Chiesa esige di
verificare la preparazione, la professione di fede dei due sposi e le basi della loro scelta, ai fini di
una vita matrimoniale secondo i dettami della religione.
A tale scopo vengono organizzati corsi detti appunto "di preparazione al matrimonio" tenuti
da sacerdoti ed esperti di settori specifici, la cui frequenza è obbligatoria e gratuita.
La loro durata e le modalità di svolgimento possono variare a seconda delle singole parrocchie per
cui conviene attivarsi con un certo preavviso per pianificarne la partecipazione.
I fidanzati possono decidere di seguire il corso in una delle parrocchie di provenienza oppure in una
terza a scelta.

Alla loro conclusione viene rilasciato l'attestato di frequenza che rientra tra i documenti necessari
per la celebrazione religiosa.
LO SVOLGIMENTO DELLA CERIMONIA
Le formule predominanti, entrando in chiesa, sono tre:
- lo sposo attende all'altare con i testimoni. Gli invitati: a destra quelli dello sposo, a sinistra quelli
della sposa. La sposa al braccio destro del padre (o del parente più prossimo) raggiunge l'altare dove
formalmente “viene concessa” al futuro sposo.
- la sposa al braccio del padre raggiunge l'altare e lì aspetta lo sposo che arrivo al braccio della
madre.
- la sposa al braccio del padre è immediatamente seguita dallo sposo al braccio della madre.
La prima formula è quella più adottata. Anche dai principi attuali. Questo non esclude una
formula diversa, ad esempio gli sposi possono entrare in Chiesa insieme. Certo decade la
simbologia del "passaggio" dalla famiglia originaria. E la cerimonia si costruisce di fatto attorno a
simbologie.
Per creare un’atmosfera suggestiva, sarebbe opportuno che ci fosse un sottofondo musicale già
all’arrivo dei primi invitati. Sono quattro i momenti salienti del rito che la musica dovrebbe
sottolineare: l’ingresso della sposa, l’offertorio, lo scambio degli anelli e il corteo in uscita.
Saranno gli sposi a scegliere i brani, possibilmente brevi per non interrompere la celebrazione,
d’accordo con gli strumentisti o i cantanti contattati.

GIUNTI ALL’ALTARE,    il padre affiderà idealmente la figlia al futuro genero, stringendogli la mano, e
prenderà posto nel primo banco a sinistra.

HA INIZIO    la cerimonia vera e propria, che si svolge all’interno di una messa nuziale, con molti
momenti ricchi di emozione per gli sposi e gli invitati. La recita della formula e alcuni altri momenti
del rito saranno già stati "vissuti" dalla coppia durante le prove in chiesa.
IL RITO

Viene officiato, salvo casi particolari, all’interno della celebrazione della messa, con quattro
momenti chiave:

- Rinnovo delle promesse battesimali,

- Liturgia del matrimonio,

- Benedizione e consegna degli anelli,

- Benedizione degli sposi.

AL MOMENTO     dello scambio degli anelli, posato il bouquet sull’inginocchiatoio, sarà la sposa a
porgere la mano per prima. Nel caso non ci fossero i paggetti nel corteo nuziale, le fedi saranno
custodite dallo sposo che vi avrà fatto incidere i nomi e la data delle nozze.
SIA al momento dello scambio delle fedi che a quello del bacio, l’applauso degli invitati sarà
assolutamente da evitare, per rispettare la sacralità dell’atto e del luogo.

DURANTE la    firma dei registri da parte di sposi e testimoni, gli invitati potranno uscire dalla chiesa
o formare il corteo nuziale d’uscita. Il neo - marito porgerà alla sposa il braccio sinistro per
percorrere la navata. Il corteo seguirà lo stesso ordine dell’entrata, ma la madre di lei sarà
                                 accompagnata dal padre di lui.

                                • Rinnovo delle promesse battesimali: gli sposi rispondono ad
                                alcune domande loro poste dal sacerdote, quesiti che riprendono
                                quelli già posti durante i sacramenti del battesimo, della comunione e
                                della cresima;

                                • Liturgia del matrimonio: il sacerdote chiede il solenne consenso
                                agli sposi; gli sposi, quindi, recitano a turno (prima Lui, poi Lei), la
                                nuova formula: “Io colgo te come mia/o sposa/o…”;

                                • Benedizione e scambio degli anelli nuziali: il sacerdote benedice
                                le fedi nuziali e gli sposi se le scambiano pronunciando la formula
                                tradizionale: “Ricevi questo anello come segno del mio amore e della
                                mia fedeltà…”. A questo punto, lo sposo, infila per primo la fede
                                all’anulare sinistro della sposa, quindi tocca a lei ripetere il medesimo
                                gesto (…);

                                • Benedizione degli sposi e applauso: il sacerdote intona una
                                preghiera per la nuova famiglia appena formata e, secondo
                                un’abitudine importata dagli Stati Uniti e consolidatasi ormai anche
                                nel nostro paese, invita generalmente i presenti a dedicare un
                                applauso (Bonton) in segno di gioia e di gaudio per l’unione
avvenuta, che ha il significato recondito di buon augurio e prosperità per la nuova coppia unita e
consacrata per sempre nel nome del Signore;

• Le Sacre Letture: Altro momento molto significativo della celebrazione nuziale è quello dedicato
alle Sacre Letture liturgiche, da concordare preventivamente con il celebrante scegliendo tra i brani
della Bibbia e del Vangelo. Tra le più suggestive, ricordiamo innanzitutto la bellissima preghiera
dedicata dal San Francesco d’Assisi all’amore per la vita e per la natura che nasce e che,
amorevolmente ci circonda, rendendo tutti gli esseri viventi ugualmente degni di amore e di
rispetto, in quanto essenziali nella realizzazione del perfetto equilibrio naturale dell’universo: il
“Cantico dei Cantici”, bellissimo cantico che gli sposi possono leggere a due voci, per renderlo
ancor più suggestivo; o ancora, la Prima lettera di San Giovanni apostolo, dal titolo emblematico:
“Dio è amore”; bellissima anche la scelta che cada sua latra lettura del brano del Vangelo secondo
Matteo, dal titolo: “Quel che Dio ha congiunto l’uomo non (osi) separare..”.



L’uscita dalla Chiesa:

Al termine della cerimonia di nozze, i novelli sposi, accompagnati dai rispettivi testimoni, si
ritirano con il sacerdote per la firma del registro. Nel frattempo gli invitati possono avviarsi verso
l’uscita per raggiungere, in modo ordinato e soprattutto discreto, il sagrato ove potranno attendere la
coppia oppure, possono aspettare gli sposi e formare il corteo nuziale in uscita; in quest’ultimo
caso, naturalmente, l’ordine da seguire sarà lo stesso dell’ingresso in chiesa, ma questa volta, la
madre di lui, sarà accompagnata dal padre di lei.

Prima di salutare gli sposi, talvolta accade che il sacerdote consegni loro un libretto con la data ed il
luogo della celebrazione e tante pagine bianche che la neo coppia potrà riempire indicando, magari,
i nomi dei figli che verranno e, ricordando così alla nuova famiglia che, scopo principale
dell’unione religiosa, rimane innanzitutto quello della “procreazione”.

In seguito, a prescindere dall’ordine scelto dagli invitati per l’uscita, il neomarito porge alla sposa il
suo braccio destro e, insieme, si avviano lentamente verso l’uscita. Sul sagrato della Chiesa, al
momento dell’uscita degli sposi, parenti e amici provvederanno al classico e benaugurale lancio del
riso, dopodichè, seguiranno le foto di gruppo in stile neo-classico.
Infine, gli sposi saluteranno gli invitati che si avvicineranno desiderosi di porger loro le consuete
felicitazioni ringraziando, quindi, quelli che non parteciperanno personalmente al ricevimento di
nozze.


Il “valore Civile” del rito religioso: il Rito celebrato secondo i “Patti Lateranensi” (vale a dire, in
base alle leggi concordatarie che regolano i rapporti tra Stato e Chiesa )

Il Rito celebrato in base alle norme giuridiche -ecclesiastiche che disciplinano i rapporti tra lo Stato
italiano e la Chiesa Cattolica sembrerebbe, a nostro avviso, senza dubbio la soluzione più comune
tra quelle prescelte dalla maggior parte degli sposi e, tutto sommato, anche la meno “articolata”
racchiudendo in sé, tutti i presupposti cristiani dell’unione spirituale dei coniugi e siglandone,
contemporaneamente, anche i reciproci diritti e doveri giuridici scanditi dalla lettura degli articoli
del Codice civile da parte del parroco, al momento dell’apposizione delle firme sul Registro dello
Stato civile, a conclusione della cerimonia religiosa. Il parroco stesso, successivamente, si
preoccuperà di trasmettere la trascrizione dell’Atto civile (entro 5 giorni dalla data del matrimonio)
con tutte le annotazioni che gli sposi vorranno aggiungere come la separazione dei beni, il
riconoscimento di figli o altro ancora (..). Soltanto in casi motivati da particolari ragioni, il
matrimonio religioso potrà essere celebrato senza la messa solenne o alla presenza dei soli
testimoni.




Abito da sposa
L'abito da sposa rappresenta da sempre uno degli elementi più importanti della cerimonia.
Affascinante è la sua storia nelle diverse culture, nei diversi Paesi. Nell'antica Grecia le spose
indossavano tuniche candide. A quel tempo il bianco simboleggiava la gioia e non verginità e
purezza. Le spose romane erano invece avvolte invece da veli gialli e arancioni, mentre quelle
cinesi vestivano in rosso. Il colore rosso è ancora oggi il colore nuziale delle spose indiane.
Le spose longobarde vestivano solo una tunica nera, mentre le fanciulle bizantine, provenienti dalle
famiglie più ricche, indossavano abiti da sposa di seta rossa impreziositi da pietre e ricami in oro.
Nel Medio Evo e nel Rinascimento si era soliti scegliere abiti da sposa colorati da indossare anche
in seguito, durante le feste. Il colore più usato comunque era il rosso, perché si riteneva che
propiziasse le nascite.
La tradizione dell'abito bianco per la sposa risale all'Ottocento. Quando, nel 1854, la Chiesa
riconobbe il dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, ovvero che la Vergine era nata senza
peccato originale, le giovani spose iniziarono a indossare abiti bianchi per onorare e invocare la
protezione della Madonna. E il velo diventò così anche simbolo della sottomissione a Dio e al
marito.
Oggi comunque sono ben accetti abiti da sposa dalle tinte pastello o dalle nuance oro e rosa, a
seconda della propria personalità, del colore della pelle e dei capelli. In alcuni modelli, le tinte
chiare degli abiti vengono contrastate da finiture e nastri di colore intenso.
I tessuti dell’abito da sposa, con le proprie caratteristiche, determinano soprattutto la riuscita di un
modello e suggeriscono molte idee nella fase di creazione dell'abito. Con la loro consistenza più o
meno corposa, infatti, riescono a modellare la silhouette della sposa.

Tulle, organza e chiffon si addicono solo a linee perfette, a corpi longilinei.. Raso, mikado, cady,
duchesse e velluti di seta vanno bene per le spose più in carne.
In ogni modo, il tessuto va scelto in funzione del periodo, del modello scelto ma anche in base
all'orario e luogo del matrimonio.
Per una cerimonia che si svolge in cattedrale e di mattina, si deve indossare un abito di una certa
importanza, con tessuti anche sfarzosi, in raso pesante, mikado o duchesse. Per un rito pomeridiano
che si svolge in città, sono consigliabili abiti dalle linee fluide e tessuti leggeri, come il crepe de
Chine, la georgette, il cady o il raso leggero. Per una messa nella chiesetta di campagna, di
pomeriggio, è perfetto l’abito romantico e vaporoso, in voile, chiffon o faille. E per il matrimonio
civile in municipio, l’ideale è un abito corto o un tailleur anche pantalone, nei toni del bianco, del
crema, dell’avorio, dell’écru o pastello.

Tanti i modelli di abiti da sposa verso cui rivolgere la propria attenzione:

- Bustier: Corsetto steccato che si stringe sulla schiena con chiusura stringata, accompagnato da una
gonna ampia, stile '700.

- Impero: Vita alta, piccole maniche e gonne leggermente arricciate o svasate. Ideale per donne in
gravidanza o per le spose che desiderano uno stile semplice.

- A palloncino: Gonna stile anni '50, ampia, arricciata e gonfia, dall'orlo rimborsato o stretto da una
fascia sul fondo.

- Redingote: Abito con punto vita stretto e più alto rispetto al normale, gonna a teli che stringe sulla
parte alta del busto, per poi allargarsi sulla pancia e fianchi. - Scivolato: Modello realizzato con
tessuti morbidi che segue e addolcisce i contorni del corpo.

- A sirena: Modello molto sexy che sottolinea i fianchi per poi allargarsi e terminare con un piccolo
strascico.

- A sottoveste: Ampio décolleté e spalline sottili, di tessuto leggero. Va completato con una stola o
con una giacca leggera.

- Tubino: Modello che segue le linee del corpo, con gonna dritta che cade senza stringere, in stile
tailleur.

- Peplo: Simile alla tunica delle donne dell'antica Grecia, è un abito lineare, arricchito da drappeggi
che lo rendono particolarmente elegante.
- Ottocento: Bustino aderentissimo di dimensioni regolabili con gonna gonfia grazie a sottogonne in
tulle con grandi volants - Linguette: Abito sobrio ed elegante, con la gonna che termina poco sopra
la caviglia.

Una verifica della propria persona aiuta a comprendere ciò che va valorizzato e ciò che va nascosto
con l’abito da sposa. Per questo motivo, conviene sempre rivolgersi a un atelier con personale
altamente specializzato in grado di dare i giusti consigli. Esistono atelier monomarca, dove è
possibile trovare una vasta gamma di modelli di una certa firma, e atelier multimarca che offrono
alle proprie clienti abiti da sposa di diverse firme.

Il primo appuntamento in atelier serve per decidere su quale modello orientarsi. Occorrono poi
almeno altre due prove per sistemare del tutto l'abito da sposa. Una volta ritirato, l'abito da sposa
deve essere tolto dalla protezione in plastica, appeso a una gruccia imbottita e coperto da un telo di
cotone fino al giorno delle nozze. Dopo il matrimonio, invece, va lavato accuratamente da una
lavanderia professionale e riposto in una grande scatola, avvolgendolo preferibilmente con carta
velina bianca che ne preservi il colore candido.




Il Velo nuziale


Anticamente il velo simboleggiava l’innocenza della sposa che andava protetta da eventuali influssi
d spiriti maligni. Oggi molte donne continuano a optare per il velo visto il tocco di romanticismo
che dona a ogni sposa.
Le lunghezze sono fondamentalmente tre. Il velo più corto è quello che arriva a coprire
abbondantemente le spalle e finisce all'altezza del gomito. Quello più lungo arriva fino a terra, e
quello mediano arriva a coprire tutta la schiena. Corto o lungo che sia, meglio scegliere un modello
che non intralci l’incedere della protagonista. Anche le forme sono varie. Il velo può essere a ruota,
quindi rotondo, ma può anche terminare a punta, creando un effetto più moderno.
La tradizione vuole comunque che il velo sia sottile ed impalpabile, sobrio, in tulle liscio Il velo va
applicato sull'acconciatura. Si può optare per un semplice pettinino da inserire tra i capelli o si può
preferire un diadema, decisamente più impegnativo, che deve essere armonizzato con la pettinatura.
Le tipologie di diademi sono quattro: diademi a corona, a ghirlanda, a passata, a goccia.




Accessorio per il giorno del matrimonio, il velo da sposa completa e avvolge di
fascino la donna che sale all’altare. Lontane nel tempo le sue origini, è stato un
simbolo carico di significati nel corso della storia, mentre oggi mantiene
soprattutto la sua funzione estetica e decorativa.

Il velo da sposa nell’antichità
Il primo Velo da Sposa risale al tempo dei Romani quando le giovani che salivano all’altare erano
solite indossare il Flammeum, un velo leggero che copriva loro il volto durante la cerimonia
nuziale. Il primo velo della storia fu realizzato con una sottile garza, preferibilemente rossa, ma
anche arancio o gialla, a simboleggiare i colori accesi del fuoco. Il Flammeum era considerato un
indumento di buon auspicio e l’importanza di tale accessorio nel rito nuziale era tale che per la
donna al posto del verbo ‘sposarsi’ si usasse il verbo ‘nubere’, il cui significato è anche ‘prendere il
velo, velarsi’.

Nel Medioevo il Velo da sposa era fatto di tanti strati di lino sovrapposti, fissati alla testa attraverso
fili d’oro e di perline. Il Velo serviva a proteggere la sposa dal malocchio e dalla mala sorte, e a
nasconderla agli occhi del marito finché il rito nuziale non avesse avuto termine. In passato, e per
tutto il corso della storia in cui i matrimoni sono stati combinati, lo scopo del velo da sposa è stato
funzionale più che decorativo: il vero scopo del velo era quello di nascondere la sposa dalla vista
del futuro marito fino a compimento della cerimonia, onde evitare che lo sposo venisse meno
all’impegno preso, mandando all’aria nozze e interessi ad esse legati.

Nel Rinascimento anche il velo si adeguò ad una mentalità che prevedeva sfarzi e lussi per la
cerimonia nuziale: il velo divenne così un lungo strascico che avvolgeva e proteggeva la sposa; era
ancora colorato e realizzato in tessuti preziosi. Nell’Ottocento fece capolino il primo abito da sposa
bianco, e ad esso si coordinò anche il velo. Questo cambiamento si ebbe a causa dei principi imposti
dalla Chiesa Cattolica ed al riconoscimento del bianco come colore del candore, della purezza, della
verginità.
Il velo da sposa nel novecento
È nel Novecento che si può parlare di una vera e propria moda nell’abbigliamento nuziale, di una
serie di tendenze che prendono piede e si modificano di decennio in decennio. Questo vale anche
per il velo da sposa, accessorio ormai inscindibile dal vestito, la cui presenza, fattezza e lunghezza
dipenderanno prima da fattori storici ed economici, poi dalle tendenze della moda, fino ad arrivare
al gusto personale.

Negli Anni Venti il velo è un lungo strascico, spesso fatto di un unico strato, ma arricchito con
preziosi ricami, bordi satinati o con una finissima plissettatura.

Negli Anni Trenta, il Velo da sposa si accorcia e si adegua alle acconciature, diventate man mano
più complesse e alla presenza di diademi e perle intrecciate sul capo. Più che a coprire il volto, il
velo ha raggiunto la sua funzione di accessorio che spesso forma un unico con il diadema da cui
parte e la capigliatura.

Negli Anni Cinquanta, terminata la guerra, la moda sposa si orienta verso un ritorno al
Romanticismo: tornano gonne ampie ed il velo torna lungo fino ai piedi, ad avvolgere e circondare
di bianca dolcezza la futura moglie.

Negli Anni Sessanta l’abito da sposa acquista quella valenza di unicità che ha ancora oggi: abito da
indossare una sola volta nella vita, per la propria cerimonia nuziale. Le linee tornano alla semplicità
ed il velo si adatta allo stile: decorativo sul capo della sposa, scende in forme lineari e naturali.

Gli Anni Settanta sono gli anni del ritorno al colore: avorio e panna fanno il loro ingresso, così
come nuovi materiali che provengono dalla moda di tutti i giorni. L’abito diventa più comodo e
segue lo stile della sposa, così come il velo diventa una scelta personale di colei che lo indosserà
sull’altare.

Gli Anni Ottanta sono gli anni dei vestiti a sirena e delle fogge molto lavorate; lo stesso dicasi
anche per le acconciature, che svettano verso l’alto o somigliano a dei capolavori di scultura. Il velo
si fa quindi da parte, per lasciare spazio al volto della sposa e alle ardite acconciature. Libere da
matrimoni combinati, le spose degli Anni Ottanta scelgono se celarsi fino al momento del bacio o
mostrarsi agli invitati.




Tipologie di velo da sposa
Esistono diversi tipi di velo da sposa, distinti secondo la lunghezza del velo. Ecco di seguito i sei
tipi principali di velo da sposa.
Velo corto o velina
È il velo da sposa più corto, arriva fino alle spalle e copre il volto. Ideale per chi indossa un abito
corto o per una sposa di taglia minuta. Dona un’aria sbarazzina o molto elegante ed austera, a
seconda dell’abito cui è coordinato e dell’età della sposa.
Velo alle spalle
Ideale su abiti dalle scollature ampie e generose, è il velo da sposa dell’immaginario: ben visibile,
romantico e avvolgente, ma molto pratico e che non impedisce i movimenti.
Velo al gomito
Come uno scialle avvolge la sposa senza però imbavagliarla in un velo multistrato. Abbinabile ad
abiti con scollature, indicato per le spose non tanto alte poiché dona loro eleganza senza
nasconderne la silhouette.
Velo classico o da Valzer
Il nome rimanda all’elegante ballo liscio e tale è la funzionalità di questo velo: copre la sposa e la
avvolge dalla testa ai piedi, rendendo la sua figura leggiadra, senza impedirle però di ballare con
agilità, poiché il velo termina ad altezza pavimento. Effetto scenico assicurato, anche per le
ballerine di Valzer non professioniste.
Velo Cappella
Poggia sul pavimento e forma lo strascico. A volte è rinforzato da altri sottoveli interni che donano
il giusto volume. Molto elegante e imponente, consigliato su vestiti semplici e lisci.
Velo Cattedrale
Imponente come il suo nome, questo velo è lunghissimo. Non dovrebbe superare i tre metri, ma in
ogni caso necessita della presenza di damigelle e paggetti. È maestoso, scenico, ideale per una
cerimonia spettacolare.
Come scegliere il velo da sposa
Ovviamente il velo da sposa andrà scelto a seconda del gusto personale e, come detto sopra,
dell’altezza della sposa e coordinato con il vestito. Ci sono però alcuni consigli, a metà tra
tradizione, credenza popolare e superstizione, che vale la pena conoscere prima di decidere quale
sarà il velo che coprirà il capo della sposa, poiché non si sa mai.
Preferibilmente il velo dovrebbe essere usato, cioè donato o prestato alla sposa da una donna a lei
vicina che ha avuto un matrimonio felice. La novella sposa sarò così protetta ed il suo matrimonio
sarà fortunato come quello di colei da cui ha ereditato il velo. Qualora si dovesse optare per questa
scelta, ricordate di portare con voi il velo prima della scelta del vestito, in modo da individuare il
giusto abbinamento di colore.

Se la sposa si sposa con rito civile, è in età matura o si sposa per la seconda volta, è consigliabile
che indossi un cappellino invece del velo. Il cappellino sarà di paglia bianca nella stagione estiva e
di velluto in quella invernale; in ogni caso una falda larga e la presenza di una veletta a coprire il
viso doneranno eleganza e sobrietà.

Nella scelta del velo vale la regola del contrario: il velo deve essere di un materiale diverso da
quello del vestito. Se, ad esempio, il vestito è in pizzo, il velo può essere di tulle con delle rifiniture
in raso o delle perline.




Curiosità sul velo da sposa nel mondo
Nella tradizione giapponese il velo da sposa è usato per nascondere simbolicamente la gelosia della
sposa, il suo ego e il suo egoismo, qualità che non possono essere mostrate in presenza del futuro
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  • 1. "Liviu Rebreanu" School,Mioveni town, Arges county, Romania (Romania) ISTITUTO COMPRENSIVO "MARIA GRAZIA CUTULI" (Italia) "Demetrion" B Primary School of Pafos (Cipro) School Apoldu de Jos (Romania)
  • 2. Allora Almitra di nuovo parlò e disse: Che cos'è il Matrimonio, maestro? E lui rispose dicendo: Voi siete nati insieme e insieme starete per sempre. Sarete insieme quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni. E insieme nella silenziosa memoria di Dio. Ma vi sia spazio nella vostra unione, E tra voi danzino i venti dei cieli. Amatevi l'un l'altro, ma non fatene una prigione d'amore: Piuttosto vi sia un moto di mare tra le sponde delle vostre anime. Riempitevi l'un l'altro le coppe, ma non bevete da un'unica coppa. Datevi sostentamento reciproco, ma non mangiate dello stesso pane. Cantate e danzate insieme e state allegri, ma ognuno di voi sia solo, Come sole sono le corde del liuto, benché vibrino di musica uguale. Donatevi il cuore, ma l'uno non sia di rifugio all'altro, Poiché solo la mano della vita può contenere i vostri cuori. E siate uniti, ma non troppo vicini; Le colonne del tempio si ergono distanti, E la quercia e il cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro. LA STORIA DEL MATRIMONIO Il matrimonio esiste fin dall'antichità in diverse forme, riflettendo i costumi e i valori di una società. La parola "matrimonio" deriva dal latino matrimonium e ha per radice " mater-tris " che significa appunto madre. In passato il matrimonio serviva al marito per prendere possesso della moglie, quasi a schiavizzarla…solo con il diritto Romano si ebbe un concetto diverso del matrimonio e diventò un accordo libero fra due persone. L’unica civiltà antica che permetteva la parità fra uomini e donne dopo il matrimonio era quella egiziana. In passato gli elementi degni di considerazione per unirsi in matrimonio erano l’appartenenza a una stessa religione, a una stessa razza, a una stessa classe sociale e naturalmente la posizione economica dei contraenti, non vi era spazio alcuno per l'amore. Solo con il Cristianesimo il matrimonio assunse il valore di sacramento, e come tale era sacro e indissolubile, con l'unico fine della procreazione.
  • 3. Il matrimonio nei secoli antichità Presso gli Antichi Egizi donne e uomini godevano di una relativa parità nel matrimonio; è stata l'unica civiltà a favorire e permettere i rapporti tra consanguinei. La sposa egizia indossava una "tunica" di sottile strato di lino finissimo, trasparente, con acconciature o parrucche dai vari ornamenti con bende dorate, fermagli, cerchi d'oro, fiori. Nell'antichità si riteneva che il matrimonio servisse ad assoggettare la moglie al controllo del marito, il quale la considerava di sua proprietà. Il diritto romano fu il primo ordinamento a introdurre invece l'idea che il matrimonio fosse un libero accordo tra due persone che decidono di vivere insieme. Nell'antica Roma il matrimonio è visto come una sorta di promozione sociale per passare da una casta all'altra, valido anche per l'uomo. I matrimoni vengono combinati quando gli sposi sono ancora bambini. L'abito della sposa é di colore bianco, simbolo della sua verginità, chiusa da un nodo di Ercole che doveva essere sciolto soltanto dallo sposo. Altro accessorio molto importante era il "velo", che veniva tolto il giorno dopo la consumazione del matrimonio ed era di colore giallo zafferano, a simboleggiare il fuoco di Vesta, la dea che proteggeva il focolare domestico. Sui capelli, pettinati con sei trecce in onore delle vergini vestali, si posava una corona formata da gigli, grano, rosmarino e mirto (simboli di purezza, fertilità, virilità maschile e lunga vita). La situazione cambiò radicalmente con l'avvento del cristianesimo: al matrimonio fu attribuito infatti il valore di sacramento e suo scopo primario divenne la procreazione dei figli; la sacralità dell'unione tra marito e moglie determinò inoltre l'indissolubilità del legame tra i coniugi e l'inammissibilità di ogni forma di scioglimento volontario medio Evo e rinascimento Il Medioevo fu un periodo molto cupo, il matrimonio si scisse dall'amore, infatti l'amore ebbe una natura esclusivamente spirituale, mentre il matrimonio ebbe solo un puro legame di interesse Il matrimonio nel medioevo aveva un forte valore economico e politico più che sentimentale, i potenti ed i ricchi si sposavano più per interesse o per accordi politici che per amore o sentimento, anche perché la legge del tempo era studiata appositamente perché le unioni producessero scambi di potere e denaro. Guglielmo il Maresciallo sposando Isabella di Clare, una ricca ereditiera, da militare nullatenente divenne uno degli uomini più ricchi d’Inghilterra: un matrimonio sofferto ma fortemente voluto dalla di lui famiglia (egli rimase in attesa per ben 45 anni). I figli dei regnanti spesso erano già promessi sposi prima di essere concepiti: tutte le grandi famiglie europee del tempo erano imparentate (e per questo motivo lo sono ancora oggi). La cerimonia del matrimonio
  • 4. La cerimonia del matrimonio era simile a quella del fidanzamento ma, ovviamente più solenne: era celebrata di norma nell’atrio della chiesa, gli sposi vestivano di rosso e la sposa doveva avere i capelli lunghi sciolti e coperti da un velo (entrambi gli sposi poi erano coperti da un unico velo). L’anello nuziale era scambiato e infilato al dito anulare, che "è il dito con la vena che porta direttamente al cuore". Nei matrimoni dei nobili, soprattutto dei regnanti, l’anello portava anche delle scritte, o i nomi degli sposi, o alcune cose importanti per l’uno e per l’altra. Nel momento dello scambio degli anelli c’era l’usanza tra gli invitati di prendersi a spintoni e a volte anche a schiaffoni, per non perdere la memoria di tale evento (nella maggior parte dei casi non esistevano documenti scritti). Veniva spezzata un’unica ostia e divisa tra i due sposi, che bevevano dallo stesso calice e poi accendevano un cero alla Santa Vergine. Alla fine della cerimonia, dopo essere usciti dalla chiesa accompagnati per mano dal prete, gli sposi, insieme ai parenti, entravano nel cimitero e andavano a pregare i propri morti. Sulla strada per casa parenti e amici tiravano grano agli sposi, auspicio di fertilità ed abbondanza (usanza di probabile derivazione pagana, rimasta in uso anche nelle cerimonie religiose di oggi). Poi cominciava la festa: canti, balli e ricche mangiate per giorni e giorni. Al calar del sole della prima sera, il prete benediva la stanza e il letto dove i due giovani sposi avrebbero consumato il matrimonio, anche se molte volte succedeva che dormissero separati. Il popolo ed il matrimonio Per il popolo però, il matrimonio aveva sempre quel senso di familiarità ed intimità che caratterizza l’unione d’amore di due persone: la solidarietà all’interno delle famiglie era assai forte, si condividevano con i familiari tutti i sentimenti, dall’amore all’odio. Nella maggior parte dei casi non nasceva una vera e propria famiglia perché gli sposi andavano a vivere con i genitori (normalmente dello sposo, della sposa se lei non aveva fratelli), per condividere con loro la gestione familiare e, ovviamente, la terra. C’erano delle regole ben precise da rispettare: le ragazze dovevano avere più di 12 anni e i ragazzi almeno 14, non dovevano essere parenti fino al settimo grado (anche se questa era una regola abbastanza elastica) e dovevano aver ricevuto i principali sacramenti della Chiesa. A partire dal X-XI secolo, riconoscendo nel matrimonio l'alto significato, la Chiesa lo trasforma in una cerimonia religiosa, consolidando la sua autorità su questa istituzione, e bandisce le cerimonie civili. Nonostante ciò, il matrimonio avviene solo per motivi di denaro e di interesse, un modo per unire patrimoni e terreni. L'abito nuziale non segue regole precise: la sposa indossa il più bello che
  • 5. la famiglia può permettersi. L'uso dello strascico, o "coda", appare solo nel XVI secolo ed é rimasto uno degli elementi essenziali e classici per la gran parte degli abiti nuziali oggi. Dal modello di abito nuziale che la sposa porta si può desumere a quale classe sociale appartiene: quanto più lo strascico è lungo e decorato tanto più è sintomo di ricchezza e di prestigio sociale. Le maniche, solitamente molto attillate, costituiscono un vero e proprio tesoro per via dei suntuosi ricami e delle pietre preziose incastonate. Il primo abito da sposa documentato é quello della principessa Filippa, figlia di Enrico IV d'Inghilterra, che nel matrimonio con Erik di Danimarca nel 1406, indossò una tunica e un mantello di seta bianca bordati di pelliccia di vaio e di ermellino. Nel Rinascimento è sempre l'uomo ad essere predominante, la donna è sempre messa da parte, e i matrimoni sono sempre più un espediente per unire terreni e ricchezze. Molto diffusi gli incontri omosessuali fra uomini facoltosi e letterati, o l’abitudine di avere un’amante piuttosto che essere fedeli alla moglie. Galeazzo II e il pranzo di nozze alla corte di Milano Galeazzo II Visconti (ca. 1320-1378) Dame Nobiluomini Nel 1368, in occasione del matrimonio tra la giovane e bella milanese Violante, figlia di Galeazzo II Visconti Signore di Milano, e Lionello d’Inghilterra duca di Clarence, ebbe luogo un banchetto principesco, che fece epoca per la inusitata profusione dei cibi e la ricchezza dei doni offerti. Secondo il resoconto degli storici dell’avvenimento, le mense in realtà furono non una, bensì due. Nella prima sedeva lo sposo seduto accanto a cavalieri e nobili, fra i quali c’era anche un personaggio assai illustre, il poeta messer Francesco Petrarca . All’altra mensa, presieduta da Regina della Scala, sedevano le donne, le quali portavano in tavola i piatti alla prima mensa, cioè 50 per ciascuna portata. Le portate furono ben 18, ciascuno era inoltre duplicata, in quanto composta di due vivande, una a base di carne e un’altra a base di pesce. Ogni singola portata era corredata da un dono personale per ciascun convitato. La prima imbandigione, era costituita da due porcellini dorati che mandavano fuoco dalla bocca e da una varietà di pesce chiamato “porchetta dorata”. La seconda presentava lepri dorate con lucci. La quarta era composta di quaglie e pernici, ovviamente dorate, accompagnate da trote arrostite.
  • 6. La nona imbandigione invece offriva, gelatine di carne e di pesce. Poi, via via, per finire con le ultime portate di giuncate, formaggi e frutta. Violante recava in dote al marito terre e denari. Ma, invero, il principe inglese godette poco di tanto ben di Dio, giacché appena tre mesi dopo il sontuoso matrimonio, lo sventurato si ammalò e nel giro di pochi giorni morì. Invito alle nozze di Lorenzo il Magnifico Lorenzo Dé Medici (1449-1492) A soli venti anni Lorenzo Dé Medici illuminò con la sua stella Firenze, dove governò con grande fermezza e larghezza di vedute guadagnandosi l'epiteto di Magnifico . Nello stesso anno furono celebrate le sue nozze con Clarice Orsini, giovane dell'aristocrazia romana. L'avvenimento fu celebrato con molti, fastosi festeggiamenti. Per l'occasione molti furono i regali offerti dal contado fiorentino e dalle città toscane. Questi avvenimenti sono narrati con ricchezza di particolari da Piero di Marco Parenti, uno degli invitati che li descrisse allo zio materno Filippo Strozzi, esule a Napoli. “Arrivarono al Palazzo di Via Larga centocinquanta vitelle, quattromila fra galline e papere, pesci, cacciagione e moltissime botti di vini "nostrali e forestieri" che Lorenzo generosamente distribuì al popolo anche prima di imbandire i veri e propri banchetti che si svolsero dalla domenica al martedì. Questi festeggiamenti fastosi sono richiesti dall'importanza della stirpe Orsini cui appartiene la sposa Clarice che fa il suo ingresso al palazzo a cavallo, accompagnata da un corteo di cavalieri. Le finestre della camera di Lorenzo sono ornate di rami d'olivo, simbolo di pace. Vengono allestiti cinque banchetti nel portico, nella loggia e nel cortile del palazzo; le tavole delle dame e quelle dei cavalieri - come vuole la regola del tempo - sono rigorosamente separate. Il tavolo della sposa si trova nella loggia e ad esso sono sedute cinquanta giovani nobildonne, mentre quelle anziane siedono all'interno del palazzo presiedute dalla madre dello sposo, Lucrezia Tornabuoni; nell'androne sono i giovani con Lorenzo e Giuliano e in altro tavolo gli anziani della città. Ma altre mense imbandite di vivande sono sistemate sia all'interno del palazzo sia sulla strada onde tutta la città - anche quella dei popolani - possa godere di questi festeggiamenti. Tutte le portate sono precedute da squilli di tromba; i portatori si fermano ai piedi dello scalone e solo a un cenno stabilito dello scalco si dirigono parte al piano superiore e parte nelle logge in modo che le vivande a un tratto si posavano in ogni luogo. Anche l'apparecchiatura della tavola è accuratissima. Circondavano il David, la famosa statua bronzea di Donatello, alte tavole ricoperte da tovaglie; agli angoli enormi bacili d'ottone con i bicchieri; così anche è apparecchiato nell'orto attorno alla fontana. Sulle tavole una grande tazza d'argento colma d'acqua per rinfrescare bicchieri e bibite. Poi eravi le saliere d'ariento, forchette e coltellerie, nappi e morselletti e mandorle confette: confettiere pe' pinocchiati. Ogni tavolo era inoltre rallegrato da danze, musiche e piccoli spettacoli. L'abbondanza e la generosità dei festeggiamenti per le nozze di Lorenzo de' Medici e Clarice Orsini sancirono in qualche modo la politica di relazione fra la città e la Signoria che la governava basata sulla magnificenza.
  • 7. Zuppa Regina di La Varenne Casa Reale Valois Questa la versione della zuppa regina di La Varenne. Prepara mezzo pollo arrosto e separa la carne dalle ossa. Poi piglia delle mandorle, pestale e cuocile in un brodo buono con un rametto di rosmarino, un ciuffo di prezzemolo, un poco di limone, briciole di pane e un poco di sale. Mescola bene acciocché le mandorle non si brucino, e poi filtra tutto. Per un altro brodo, prendi le ossa del pollo arrosto, pestale in un mortaio e falle bollire con un paio di funghi. Filtrato che avrai il brodo con un telo di lino, aggiungi il pane e fai bollire ancora. Poi versa il brodo di mandorle, il sugo dell’arrosto e la carne ben battuta del pollo. Servire la zuppa regina nel piatto di portata ben calda. Petto di vitello ripieno Se vuoi fare petto di vitello ripieno, piglia il petto di un vitello, battilo e mettici una poppa di vitella e ogni sorta di buoni odori. Poi prendi quattro uova, pepe e un poco di zafferano. Mescola tutto insieme e riempi il petto con questa composizione. Mettila poi in un buon brodo di carne, copri la casseruola e fai cuocere. Maria de’ Medici e la cerimonia nuziale senza re Maria de' Medici (1573-1642) Dopo un'infanzia e un'adolescenza normali, offuscate però prima dalla morte della madre e poi da quella improvvisa e misteriosa del padre, il granduca di Toscana Francesco I, alla "tarda" età di ventisette anni Maria divenne sposa del re di Francia Enrico IV. Il matrimonio per il sovrano francese, un incallito dongiovanni che aveva ottenuto l'annullamento della sua precedente unione con Margherita di Valois, fu più un affare di stato che di cuore.
  • 8. Maria descritta fisicamente non male, un poco paffutella, ma con occhi vivaci e un incarnato latteo, considerata la "grosse banquiére" (grossa banchiera) seconda la definizione coniata da una delle amanti del re, non ebbe un matrimonio felice anche se allietato dalla nascita di sei figli. Nel 1610, a seguito dell'assassinio del marito, Maria assunse la reggenza per conto del primogenito futuro Luigi XIII, ma quegli anni vengono ricordati come un periodo non esaltante della storia di Francia. Così già nel 1617 Luigi (neppure sedicenne) prese i pieni poteri relegando la madre in uno stato di dorata reclusione. Ritornando al matrimonio fra Maria ed Enrico, vogliamo ricordare che fu uno dei pranzi nuziali fra i più strani e scenografici della storia. Come raccontano le cronache del tempo, la cerimonia in pompa magna si tenne il 5 ottobre 1600 a Firenze in Palazzo Vecchio, ma senza il protagonista maschile che se ne stava in Francia a sdraiare ragazze sul talamo. L'organizzazione del ricevimento e del convito fu affidata a Giovanni del Maestro, maggiordomo del Granduca. Nella "Descrizione dele felicissime nozze della Cristianissima Maestà Maria", il Buonarroti tenne nota di tutti i particolari dell'apparecchiatura delle tavole, delle vivande e delle confezioni di zucchero, nonché dell'addobbo della sala. Fecero epoca soprattutto le meraviglie teatrali escogitate dal Buontalenti, e le statue di zucchero modellate dal Giambologna. "L'apparecchio supremo" delle tavole presentava un'incredibile quantità di animali in più gruppi, e la regina fu felice di vedere posta dinanzi a lei una statua sopra un cavallo raffigurante il suo sposo. Dopo la frutta calarono dal soffitto nubi rigonfie con Giunone e Minerva, e al loro dileguarsi le tavole erano cambiate a vista con altre di specchi e di cristalli, che a loro volta si trasformarono in boschetti con viali, siepi e fontane, statuette di ninfe e pastorella ornate di fiori e frutta. Il maggiordomo insieme al capo cuoco avevano preparato il lauto e ricco menù che, approntato definitivamente dopo un lungo e laborioso periodo di gestazione, prevedeva fra l'altro anche queste portate. 24 piatti di freddo: "Insalate lavorate in bacini... Fragole... Castelli fatti di salame... Primo servito freddo: ...Fagiani a lanterna... Bianco magnare in fette, Torta verde alla milanese... Secondo servito caldo: ...Pasticcio a triangoli di carne battuta... Porchette ripiene... Crostata di vitella... Di cucina per dare credenza con il freddo: ...Torta di bocca di dama... Ciambellette... Latte mele in bacini... Formaggi e frutta: ...Marzolino, Ravaggiuoli, Cialdoni, Pesche in vino, Pere, Uve... Carciofi, Sedani...". età moderna Nel 600 c'e' il trionfo dell'assolutismo monarchico, l'amore e la fedeltà sono concetti molto astratti vi è molto libertinaggio, al punto che i re sostenevano che fosse sciocco essere fedeli alla moglie, meglio avere un'amante. Chi è fedele alla propria moglie viene considerato uno stupido. Ma durante il secolo, la nuova borghesia nascente comincia a rendersi conto che questo tipo di idee e di costumi è figlia soprattutto della corruzione dei ricchi. In questo secolo, segnato da profonde lacerazioni religiose, le feste diventano più intime. Si investono soldi per il corredo e la dote, e l'abito il più bello, quasi sempre usato, viene utilizzato anche dopo il matrimonio. Nel 700 finalmente il matrimonio comincia ad avere un significato diverso, con le rivoluzioni americana e francese, i popoli cercano di porre fine in modo definitivo all'arroganza dell'aristocrazia e ci si comincia a sposare per amore. Il Settecento vede nelle Rivoluzioni americana e francese il primo tentativo delle masse e dei nuovi ceti di mettere da parte definitivamente l'arroganza e i valori dell'aristocrazia. L'amore diventa importante per il matrimonio, ed entra tra i fondamentali diritti dell'uomo stabiliti dalle due rivoluzioni. In questo secolo si indossano splendide vesti dai motivi floreali; è in questo periodo che nasce il cosiddetto "stile impero" di origine francese, tagliato sotto il seno per evidenziare meno i fianchi larghi e l'addome pronunciato, realizzato con tinte pastello.
  • 9. Ottocento L'800 con il romanticismo, il matrimonio cambiò volto, da adesso ci si sposa solo per amore. Non sposarsi significava andare incontro a dispiaceri e lutti. E' proprio nell'800 che nasce una buona parte delle tradizioni che ancor oggi conserviamo, quali l'abito bianco e lungo, i guanti, la torta nuziale il ricevimento. Il periodo del romanticismo interpreta il matrimonio come naturale destinazione dell'amore, e al tempo stesso condanna ogni forma di unione determinata da altri intenti che porterebbe a sofferenze e lutti. Tutto il secolo si dibatte tra esaltare e glorificare gli amori impossibili ed indicare una buona strada per il matrimonio d'amore. Nell'Ottocento nascono anche una buona parte delle tradizioni, come l'abito lungo e bianco, il dolce, il ricevimento, i guanti. Il bianco diventa il colore prediletto, come simbolo di purezza. Trasparente, a volte inumidito, audace, il vestito viene indossato senza corsetti né altro. Nel rito civile, invece, l'aristocrazia preferisce il nero luccicante di paillettes, oppure i colori vivi fitti di perle e lustrini. età contemporanea Oggi in Italia come nell'800 esistono ancora molte di queste usanze, come l'abito bianco, i guanti ecc… e ci si sposa per amore anche se alcuni fattori come le condizioni socio-economiche, le differenze sociali, religiose o politiche presenti, influenzano ancora le scelte delle persone. Si preferisce sposarsi più maturi spesso dopo un periodo di convivenza, si fanno meno figli, sia per un fattore economico che per una mancanza di tempo, infatti le donne sono più indipendenti lavorano fuori casa, ed hanno molto meno tempo da dedicare ai figli. Tali compiti adesso sono divisi con il marito. Nonostante molte coppie decidano di non sposarsi e di convivere, il matrimonio rimane per la maggior parte delle persone il giorno più bello della propria vita. Il Novecento è funestato da due tragiche guerre mondiali, che cambiano definitivamente, nel bene e nel male, i rapporti con gli altri e il modo di vivere. Il matrimonio diventa sempre di più qualcosa che si fa per amore e non per dovere o per interesse, anche se i matrimoni per aumentare il proprio patrimonio non spariscono del tutto. Negli anni Venti il vestito nuziale si fa più corto e si allunga il velo; interprete del nuovo stile femminile è senza dubbio Coco Chanel. A metà degli anni Trenta, il famoso matrimonio della principessa Marina di Grecia con il Duca di Kent (1934) lancia un nuovo look. La sposa indossa un abito a guaina di lamé bianco e argento, con lunghe maniche aderenti, e strascico fino a terra, in testa una tiara di diamanti con un velo di tulle lungo oltre tre metri. Con la seconda guerra mondiale si sente il dovere di rinunciare al matrimonio tradizionale. L'abito da sposa si noleggia, o si presta di famiglia in famiglia. Dopo la guerra, negli anni Cinquanta, Cristian Dior impone un'immagine femminile a vita sottile, seno alto e rotondo, gonna larga, con sottogonna, bustino aderente e ampia scollatura. Nel 1956 Grace Kelly sposa il principe Ranieri di Monaco: l'abito dell'attrice è confezionato con 25 metri di raso di seta, 25 di taffetas, cento metri di tulle e trecento metri di pizzo antico. Fino alla fine degli anni Sessanta i matrimoni rimangono cerimonie formali all'insegna della tradizione, poi con l'avvento del femminismo e con la rivoluzione sessuale l'abito non ha più uno stile preciso. Certo, la tradizione dell'abito bianco è ancora vivissima, ma ci sono spose che preferiscono legarsi all'uomo della propria vita in altri colori o con altri stili di abiti. Addirittura, vengono organizzati matrimoni particolari tematici, in costume medievale e rinascimentale La religione cattolica, quella ortodossa e quella induista considerano il matrimonio come un vincolo indissolubile e ne concedono lo scioglimento soltanto in alcuni casi eccezionali. La Chiesa cattolica, ad esempio, concede lo scioglimento del vincolo matrimoniale solo in particolari casi e dopo l'intervento del tribunale della Sacra Rota.
  • 10. Intorno alla metà del ' 700 nelle classi inferiori le femmine si sposavano in media sui 23 anni, mentre i maschi intorno ai 26. Sullo scarto dell'età matrimoniale delle classi sociali, incidevano diversi fattori: la maggiore durata dell'istruzione e la necessità, per i cadetti, di crearsi, attraverso l'esercizio di professioni liberali, un certo reddito onde potersi permettere un matrimonio consone al proprio ceto sociale e la conduzione di una vita agiata. Nelle famiglie borghesi, l'accesso al matrimonio era severamente controllato, riservato in genere ai primogeniti ed ad età tardiva, nel tentativo di conservare intatto il patrimonio familiare vietandone la alienazione ed indirizzando i cadetti verso la carriera ecclesiastica. Nella civiltà meridionale, tale legame era confermato dalla preoccupazione costante di assicurare la continuità della famiglia e del patrimonio. Dall'interdipendenza tra l'età del matrimonio e l'età della morte si hanno diversi comportamenti demografici in vari paesi. Ad esempio, la dove l'invecchiamento era meno rilevante, al matrimonio si accedeva in età giovanile, la dove invece si viveva più a lungo, i matrimoni si celebravano in età più avanzata. L'età del matrimonio delle donne, era un fattore importante per stabilire il ciclo della loro fertilità e quindi della loro capacità riproduttiva. In genere il periodo riproduttivo è di trentacinque anni. Questa fertilità lungo l'intero periodo riproduttivo descrive una parabola che ha una fase di rapida ascesa durante la pubertà, ed ha il suo punto massimo durante il decennio tra i 20 ed i 30 anni, dopo di che declina, prima lentamente poi sempre più rapidamente finché viene raggiunta la sterilità. Le donne, quindi, sposandosi intorno ai 23 anni, si può dire che riducessero il periodo riproduttivo in media a 15 anni, tenendo anche presente che la nascita dell'ultimo figlio avveniva intorno ai 38 anni. Un altro fattore importante è l'intervallo di tempo che intercorreva tra una nascita e l'altra. Andava dai 24 ai 30 mesi e spesso dipendeva da aborti, spontanei o procurati, e dai nati morti. Bisogna anche tener presente che l'allattamento durava di norma 18 mesi, procurando amenorrea in gran parte dei casi: per circa 6 mesi nella donne ben nutrite e per 18 in quelle mal nutrite. L'allattamento costituiva, quindi, un vero e proprio contraccettivo. Infine gli intervalli tra le nascite si allungavano con il declinare della fecondità e della virilità. Si rileva, inoltre, che i ricchi avevano più figli rispetto ai poveri, certamente perchè i ricchi sposavano donne più giovani e quindi più fertili, perchè i figli venivano affidati alle balie e quindi le madri non dovevano allattare, ed infine perchè le madri erano meglio nutrite ed alloggiate. E' certo che l'alta mortalità infantile tra i poveri era causata da una scarsa alimentazione e da una cattiva igiene. Infatti una porzione più alta dei figli dei ricchi sopravviveva sino all'età adulta proprio perchè più sana. Alcune circostanze nello svolgimento del tempo non sono cambiate, la storia si ripete quasi ciclicamente. Il filo conduttore ? Quel filo é dentro di noi , dentro tutte quelle persone che nel corso della storia si sono amate e hanno saputo assumersi i propri obblighi superando le avversità della loro era. Il rito nuziale in Grecia La cerimonia nuziale in Grecia durava tre giorni: il primo era chiamato protéleia, progàmia o proaulìa eméra il secondo gàmos o télos ed il terzo epaulìa eméra
  • 11. I riti prenuziali Nel giorno prima della festa di nozze si svolgeva un preciso rituale che comprendeva in primo luogo il sacrificio per le divinità protettrici delle nozze, Questo poteva essere in onore di Era, di Artemide delle Moire, delle Grazie gamelie, di Afrodite e, ad Atene, anche delle Divinità della stirpe,. Il momento più importante del rituale era comunque il bagno purificatore che facevano sia la sposa che lo sposo, a casa loro, con l'acqua di un fiume o di una fonte sacra . Per questo rito esisteva un vaso particolare chiamato loutrophòros , che era di forma ovoidale con il collo affilato e due anse sui fianchi. L'importanza attribuita al bagno purificatore è testimoniata anche dal fatto che c'era l'usanza di porre un loutrophòros sulla tomba di chi moriva adulto senza essersi sposato Infine a completamento di questo articolato rituale la giovane sposa dedicava ad una divinità legata alla sfera della verginità, come Artemide o Ippolito, le sue chiome la retina dei capelli, i giochi: i timpani, la palla, le bambole . Il secondo giorno della cerimonia, chiamato appunto gàmos o télos era il giorno più importante perché in esso si compiva l'ekdosis cioè la consegna della sposa, e aveva inizio la coabitazione Le fasi principali erano tre: la thòine gamikè cioè il banchetto di nozze a casa della sposa, la pompè cioè il trasferimento della sposa a casa dello sposo, i katachýsmata e gli altri riti di accoglienza nella nuova casa. Naturalmente i preparativi nella casa della sposa fervevano fin dal primo mattino: venivano infatti appese corone di ulivo e alloro alle porte e accese fiaccole profumate di incenso. È probabile, comunque, che tutti i preparativi fossero diretti dalla madre della sposa in prima persona,. Intanto una schiera di donne, perlopiù parenti e amiche, guidate dalla nymphéutria si occupava della vestizione della sposa per il banchetto nuziale.
  • 12. Il banchetto nuziale Protagonista di questo momento importante della cerimonia è il padre della sposa che supervisiona ogni fase della sua preparazione. Sembra, inoltre, che fosse sempre lui a fare un sacrificio subito prima, secondo il rito sacro prescritto. Durante il banchetto uomini e donne erano seduti di fronte su tavole o divani separati e la sposa sedeva tra le donne velata Dalle fonti conosciamo anche il menù delle nozze che poteva comprendere pesce, vitello, maiale, porcellini, lepre, involtini, formaggio, focacce, uova, ecc. Elemento ricorrente nei diversi menù ricordati dalle fonti è la lepre, che pare fosse sacra ad Afrodite ed esaltata per la sue prestazioni sessuali e per la sua fecondità. Naturalmente non poteva mancare la torta nuziale, la plakoûs gamikòs un dolce profumato al sesamo, che, secondo la tradizione, propiziava la fecondità, poiché aveva molti germogli. Il sesamo, mescolato alla torta nuziale, era, in effetti, un elemento simbolico essenziale del rito matrimoniale nelle società elleniche. Una volta impastata e profumata la focaccia con olio mischiato a sesamo, quando tutto era pronto per la cerimonia, veniva tagliata e distribuita da una donna incinta, di buon augurio per la giovane coppia Secondo il cerimoniale bisognava, inoltre, indossare anche una corona di mirto, in onore di Afrodite. Durante il banchetto c'era probabilmente della musica e ad Atene un bambino, con entrambi i genitori in vita, andava in giro per la sala coronato di spine e frutti di quercia con in mano un cesto di pani pronunciando la formula rituale: "Ho fuggito il male, ho trovato il meglio". Le parole che accompagnavano il fanciullo sembrano esprimere la stretta relazione tra vita civilizzata e matrimonio. Il pane offerto, come prodotto della natura che appartiene soltanto all'uomo, in effetti, è segno e garanzia della vita civile. Simboleggia, inoltre, chiaramente i valori connessi alla condizione riproduttrice e domestica della donna sposata, in contrapposizione ai connotati culturali della corona di foglie di quercia, che ricorda la vicinanza della vita selvaggia. Il banchetto si concludeva con il brindisi e gli auguri agli sposi, ancora una volta da parte del padre della sposa. A questo punto della cerimonia alcuni studiosi collocano il rito dell'anakalyptèria cioè il momento in cui la sposa si toglieva il velo e riceveva i doni nuziali dallo sposo.. A seconda della condizione sociale la festa di nozze poteva essere più o meno sfarzosa, tuttavia è probabile che ad un certo punto si cominciò ad eccedere nelle spese, se Platone nelle Leggi (VI 775a-b) sente la necessità di stabilire un limite al numero degli invitati per ciascuna famiglia ed un tetto per le spese. Ateneo (VI 245a-c), invece, ci parla degli Ispettori delle donne, i gynaikonòmoi che contavano gli invitati alle feste nuziali e potevano all'occorrenza anche decidere di mandarne via qualcuno. A fare gli inviti erano i genitori degli sposi, che potevano invitare di persona parenti ed amici oppure, come risulta da alcuni papiri, inviare dei veri e propri biglietti di invito , in cui, come nelle odierne "partecipazioni" erano indicati il luogo, la data e l'ora della festa.
  • 13. Il corteo nuziale A notte fonda c'era la pompè , il trasferimento solenne della sposa dalla casa paterna a quella dello sposo. Essa forse nei tempi più antichi aveva la forma di un rapimento e quest'usanza si conservava ancora a Sparta. Il corteo si muoveva a piedi o su un carro, dove la sposa era collocata dallo sposo o dal paraninfo, colui che la conduceva allo sposo e la proteggeva durante questo importante momento di passaggio. Ora un ruolo importante era ricoperto dalla madre dello sposo che per prima innalzava le fiaccole accese e guidava la processione Il momento doveva essere molto suggestivo, perché il corteo illuminato dalle fiaccole, al suono di flauti e cetre danzava e cantava l'imeneo. In Beozia, poi, il corteo si concludeva con un rito particolare: c'era, infatti, l'usanza di bruciare gli assi del carro per simboleggiare che la sposa non poteva più andare via I riti nella casa nuova Il terzo momento della cerimonia si svolgeva nella casa dello sposo: qui la coppia era ricevuta dai genitori dello sposo, che per prima cosa versavano sul capo della sposa fichi secchi, datteri, noci e alcune monete e le offrivano i doni di benvenuto, secondo il rito dei katachysmata. Poi la sposa mangiava una mela cotogna, come prescritto da Solone per rendere più dolce il primo abbraccio e finalmente saliva nel thàlamos, la camera nuziale. Questa era stata già precedentemente preparata, forse proprio dalla madre dello sposo, che probabilmente aveva steso anche il letto coniugale. Una volta entrati gli sposi nella camera nuziale, la porta veniva sprangata e fuori un amico dello sposo faceva la guardia, mentre le amiche della sposa battevano con le mani sulla porta e cantavano l'epitalamio Nella casa e per le strade la festa continuava per tutta la notte con canti e danze. Il terzo giorno, l'epaulìa emèra (, al mattino gli sposi ricevevano dei doni dal padre della sposa portati da una processione di parenti e amici, che era guidata da un bambino con un mantello bianco e una torcia accesa in mano. Poi, non sappiamo se in questo giorno o successivamente, lo sposo offriva un banchetto ai membri della sua fratrìa, e gli sposi facevano un sacrificio per pregare gli dei
  • 14. di assisterli e guidarli nella nuova vita insieme. Nel corso del cerimoniale erano presenti generalmente alcuni oggetti che segnavano l'esperienza del matrimonio come evento fondamentale della vita individuale e della comunità cittadina: la padella per tostare l'orzo, usata durante il banchetto e la pompé pubblica che accompagnava gli sposi alla nuova casa; il setaccio, che un bambino teneva al fianco della donna nei riti d'integrazione al nuovo focolare; il pestello da mortaio, che veniva attaccato davanti alla camera nuziale. Ogni dettaglio, in realtà, sembrerebbe implicare il riferimento a Demetra, la dea dagli splendidi frutti e dei cereali che, donando agli uomini la conoscenza della tecnica agricola, aveva inaugurato un'età nuova, che consisteva non solo nell'applicazione delle nuove tecniche e nella conoscenza delle nuove piante, ma anche in un'organizzazione della società che poneva fine all'età arcaica Il corteo nuziale Dopo il banchetto la sposa (nymphe) deve essere condotta nella sua nuova casa. Il trasferimento della giovane dalla sua casa natale, la casa del padre, a quella del marito era anzi il momento culminante del rituale matrimoniale e quello al quale era chiamata a partecipare l’intera comunità cittadina. Giunta l’ora, ormai a sera inoltrata, la sposa viene presa per il polso dal marito ( fig. 1 ) e issata sul carro che la condurrà alla nuova dimora ( fig. 2 ). Accanto a lei sul carro sedevano il marito e il pàrochos , specie di accompagnatore della coppia scelto fra i coetanei (parenti o amici stretti) dello sposo. Il tipo di mezzo di trasporto variava a seconda delle disponibilità economiche della famiglia: si andava dal modello di lusso, un calessino di foggia arcaica trainato da pregiati cavalli, al più frequente modello di tipo “giardiniera” (carro con sedili laterali) tirato da muli o da buoi. Numerose raffigurazioni vascolari rappresentano il corteo nuziale che scortava i due sposi: giovani ragazze e ragazzi che portano doni, danzano e cantano canti di buon augurio; parenti; portatori di torce o di elementi del corredo. Torce e fiaccole sono essenziali perché questa parte del rito avviene quando ormai fuori è buio: quanta più luce si riusciva a produrre, tanto più sfarzoso e ricco risultava il matrimonio agli occhi dei concittadini. Gli strumenti suonati erano prevalentemente l’aulòs (strumento ad ancia simile al clarinetto, spesso a canna doppia), la syrinx (flauto di Pan), la kithàra (cetra), la phòrminx (lira), i cembali e i tamburelli. I canti intonati in questa occasione si
  • 15. chiamavano “imenei” (hyménaioi) ed erano caratterizzati da accenti maliziosi e un po’ sboccati. La descrizione più antica di un corteo nuziale si trova nell’Iliade di Omero (canto XVIII, 491-496): (…) si celebravano nozze e banchetti: alla luce di fiaccole splendenti portavano le spose dalle loro stanze su alla rocca cittadina e dappertutto si alzava il canto imeneo; giovani danzatori volteggiavano e in mezzo a loro clarini e lire diffondevano il loro suono; le donne, ciascuna in piedi davanti alla porta di casa, ammiravano lo spettacolo Il corteo passa per le vie più frequentate e per l’agorà, la piazza del mercato: l’intera comunità dev’essere testimone dell’evento, grazie al quale due famiglie della città stabiliscono un solenne legame di alleanza. Le fanciulle del corteo “accompagnano la sposa con le torce, a un’ora avanzata della sera, per mostrarla a tutti” (Dione Crisostomo, Patrol. Grec. 61 pag. 104): e dalle case le donne si affacciano sulla via per veder passare la rumorosa parata. Il tumulto di musica e danze del corteo doveva creare un effetto di forte contrasto con l’atteggiamento dei protagonisti principali della cerimonia, che, come mostrano le immagini antiche, mantenevano invece pose composte e solenni. Specialmente la giovane moglie: muta, con gli occhi bassi e l’atteggiamento dimesso, essa sembra passivamente eseguire solo i movimenti che le vengono richiesti dal marito e dalla nymphéutria (una specie di damigella che la accompagna durante l’intera giornata). Sulla soglia della nuova dimora, la ragazza trova il padre e la madre dello sposo ad accoglierla. Ma la festa, a questo punto, non era ancora terminata: per i partecipanti al corteo, infatti, essa proseguiva fino a notte fonda, anche dopo che marito e moglie si erano ritirati nella camera nuziale; anzi, era consuetudine che le compagne della sposa iniziassero a battere con insistenza sulla porta che si richiudeva dietro alla coppia avviata a trascorrere la prima notte insieme. Al rumore dei colpi si aggiungeva il suono di un altro canto rituale, questa volta di tono solenne, l’epitalamio, che celebrava la bellezza della sposa, invitava i due giovani a godere dei piaceri dell’amore e pregava gli dèi protettori delle nozze di donare alla coppia felicità, prosperità e la nascita di figli legittimi. Uno degli elementi più importanti in questa simbologia del corteo nuziale è il fatto che in tutte le fasi del trasferimento la sposa, pur costituendo il centro dell’attenzione, riccamente vestita e agghindata per essere ammirata, non compie mai un movimento autonomo. Presa per il polso e trascinata, issata di peso sul carro, spinta dalla nymphéutria o sollevata dal pàrochos, la ragazza non è mai soggetto attivo del rito, ma oggetto passivo di tutto ciò che si compie intorno a lei. Per comprendere questo, dobbiamo ricordare che nella mentalità degli antichi Greci, la donna non era un soggetto autonomo, ma piuttosto un bene di cui i membri maschi della famiglia avevano il diritto di disporre. La ragazza da marito, per esempio, non poteva in alcun modo scegliere il proprio compagno di vita: era il padre che disponeva completamente della figlia e stava a lui decidere se e a chi darla in matrimonio. Dal momento in cui veniva concessa in sposa, essa passava dalla tutela del padre a quella del marito, al quale era tenuta a dimostrare (lo volesse o no) completa subordinazione e obbedienza. In nessun modo essa avrebbe potuto allontanarsi dalla sua nuova casa: ferma e inamovibile come il focolare (hestìa) che essa rappresentava, inavvicinabile da uomini estranei alla famiglia, i suoi movimenti erano confinati allo spazio circoscritto dalle mura domestiche, dalle quali poteva uscire solo per alcune occasioni rituali stabilite (alcune feste e i funerali). Andare in giro per la città non era cosa da donne per bene: schiave e prostitute, invece, non avevano un’onorabilità da preservare e si muovevano perciò senza restrizioni. Per quanto ne sappiamo, solo
  • 16. a Sparta la condizione della donna sposata era differente e contemplava maggiore libertà di azione e di movimento: e, infatti, il comportamento delle donne spartane destava scandalo nel resto della Grecia. Non è allora un caso che nel rito matrimoniale del trasferimento dalla casa paterna a quella del marito la donna risultasse sempre ‘spostata’ o trascinata come un oggetto inerte: in questo modo si intendeva sottolineare simbolicamente che, pur essendo destinata a muoversi per cambiare casa di appartenenza, in questo movimento la sposa non aveva parte attiva; ma che, anzi, la sua funzione era quella di farsi spostare e restare dove il padre e il marito avessero deciso di installarla. Ecco, per esempio, che cosa succedeva nel rituale della Beozia, una regione della Grecia confinante con l’Attica, dopo che la sposa era stata trasportata alla casa del marito (Plutarco, Questioni romane, 29): “bruciano l’assale del carro, mostrando così che la sposa non se ne può più andare, dal momento che il mezzo di locomozione è stato distrutto”. La donna era chiamata ad incarnare la stabilità della famiglia, l’idea della permanenza e dell’isolamento che tiene la casa al riparo dalle minacce esterne. La dea che meglio rappresentava questa funzione femminile era Hestìa, il cui nome significa “focolare”: centro simbolico dello spazio domestico chiuso e protetto, la hestìa era il punto in cui la casa aveva, per così dire, le sue radici. La soglia di casa era il confine oltre il quale la donna per bene non osava andare. Al polo opposto stava il dio Hermès, dio delle transizioni, della comunicazione e del commercio, il cui moto non conosce barriere di confini né di soglie, che rappresentava invece la mobilità maschile e sovrintendeva agli scambi fra l’interno e l’esterno della casa. Il libero entrare e uscire, l’autonomia del movimento erano, nella coppia, prerogative del marito; e solo ai padri e ai mariti spettava inoltre il compito di regolare i rapporti della famiglia con l’esterno, di decidere acquisizioni o cessioni di beni, di regolare il passaggio di ospiti, di personale, di schiavi, di mogli... Si spiega così perché in alcune antiche raffigurazioni di trasferimento della sposa sia proprio il dio Hermès ad aprire la strada al corteo nuziale L'abbigliamento della sposa Non sappiamo se ci fosse un abito nuziale ben preciso prescritto dalla tradizione: le fonti, infatti, presentano diverse combinazioni di abiti e colori, il che fa pensare ad una certa libertà. Esiodo, ad esempio, quando ne La Teogonia descrive la vestizione di Pandora, che va sposa ad Epimeteo, ce la presenta con una veste bianca fermata alla vita da una cintura, un velo ed una corona d'oro, ed
  • 17. Euripide nell' Alcesti (vv. 922 ss.) fa dire all'eroina pronta alla morte che invece degli imenei e del peplo bianco la attendono lamenti e vesti nere. Entrambi i poeti insistono, dunque, sul particolare delle vesti bianche; tuttavia il tragediografo propone anche altrove (cfr. Eur., Hel. 1087s., 1186s.) i pepli bianchi in contrapposizione a quelli neri, simboli di lutto, per le eroine che si apprestano ad affrontare una morte prematura. Inoltre Esiodo parla genericamente di esthès (eèsqh@v) "veste", mentre Euripide usa il termine pèplos (pe@plov), che designava la tunica semplice che le donne greche usavano sotto l'himation. Del tutto opposta è la testimonianza di Aristofane che nel Pluto (vv. 529 s.) allude ad un abito nuziale arricchito da un himation finemente ricamato, variopinto e forse di porpora. Il colore rosso, inoltre, torna anche in una testimonianza tarda: il romanziere Achille Tazio (Clit. II 11, 2), infatti, ci descrive la toletta di una sposa accennando ad una veste tutta rossa, con fasce dorate e ad una collana di pietre variopinte. Infine un altro romanziere, Caritone, parla di una veste milesia, un tipo di stoffa di lana molto sottile, e della corona nuziale. Se invece diamo uno sguardo ai vasi, che spesso rappresentano la preparazione della sposa, troviamo che la ragazza è di solito ricoperta da un himation riccamente ricamato, che spesso le fa anche da velo, ed ha una corona perlopiù di fiori e non dorata, come invece è attestato nelle fonti letterarie. È evidente, per concludere, che la sposa greca poteva scegliere come meglio le piaceva il suo abito nuziale; poteva infatti indossare una semplice tunica bianca o un ampio mantello variamente ricamato e colorato, una corona dorata o una intrecciata di fiori, ma nel suo abito nuziale non doveva mancare il velo, che aveva una precisa funzione rituale e che dopo le nozze veniva dedicato ad Era. Esso poteva essere corto e ricamato o poteva essere costituito dallo stesso himation drappeggiato intorno alla testa. Il velo nuziale nell’antica Grecia Le donne greche, di ogni età, quelle rare volte in cui escono di casa, hanno il capo velato. Oltre a proteggere dalla polvere, il velo salvaguarda la reputazione di chi lo indossa; esso é, cioè, segno di riservatezza, virtù che ogni donna perbene non può non possedere. O che, quantomeno, deve pubblicamente mostrare di possedere. Il velo, dunque, non è prerogativa esclusiva dell’abbigliamento della sposa, eppure gioca un ruolo di una certa rilevanza all’interno del rituale di nozze. Uno dei momenti del rito, infatti, ha il nome di anakalyptérion, lo svelamento. Racconta Ferecide di Siro, poeta vissuto nel IV sec. avanti Cristo, che, all’inizio dei tempi, il dio supremo Zeus si unì in matrimonio con Chthonia, la terra profonda. La festa di nozze durò tre giorni, al termine dei quali il dio, di fronte alla sua sposa, le sollevò il velo, sottile tessuto ricamato che egli stesso le aveva donato, e le rivolse queste parole: «Salute a te, vieni con me!». Per questo, aggiunge il poeta, «gli dei e gli uomini della terra conservano l’uso dell’anakalyptérion». E in effetti, lo svelamento fa parte del rituale diffuso in tutto il territorio greco, mentre non viene confermato da altre fonti che lo sposo pronunci contemporaneamente proprio la formula riportata da Ferecide. La sposa (nymphe) viene velata nella casa paterna dalla nymphéutria, una donna dell’entourage della famiglia d’origine, preposta ad affiancare la giovane nel corso dell’intera cerimonia. Le rappresentazioni vascolari relative al corteo nuziale mostrano la sposa velata in vario modo: ora ha il viso completamente nascosto, ora solo il capo, molto spesso è ritratta nel gesto di stringere il velo a coprire solo una metà del viso. Tale diversità ci testimonia come, a secondo della regione o del periodo storico, alcuni particolari del rituale possano variare. In questa fase del rito, il velo sembra avere, come accade in altre culture, un valore apotropaico, proprio perché è il momento in cui la sposa si trova maggiormente esposta. O subito prima del corteo nuziale, oppure già nella casa del marito - non sappiamo con certezza – ha luogo l’anakalyptérion. A svelare la giovane é, comunque, lo sposo, davanti a testimoni. Dell’ anakalyptérion non abbiamo, purtroppo, documenti iconografici. Le fonti letterarie antiche suggeriscono che il suo significato sia quello di accogliere e insieme prendere possesso. In
  • 18. particolare, l’atto di sollevare il velo sancirebbe il possesso sul corpo della donna, attraverso la rappresentazione rituale, e perciò pubblica, di quanto poco più tardi avverrà nell'intimità del talamo. A Roma Gli Sponsalia A Roma le nozze erano solitamente precedute dagli sponsalia, cerimonia solenne con la quale si compiva la promessa di matrimonio. Come rivela lo stesso nome almeno in età arcaica gli sponsalia si effettuavano attraverso la sponsio, un impegno formale per mezzo del quale il pater familias prometteva al fidanzato la propria figlia in moglie. Questa cerimonia era, dunque, un atto solenne, fondato sulla tradizione patriarcale e caratterizzato da un preciso apparato giuridico che lo rendeva impegnativo quasi quanto il matrimonio. Gli sponsalia si svolgevano alla presenza degli aruspici e di tutti gli amici delle due famiglie che svolgevano la funzione di testimoni dell'impegno matrimoniale. Quest'ultimo era preso secondo le forme della stipulatio, in base alla quale sia il pater della donna sia il fidanzato s'impegnavano a garantire il compimento delle nozze. Presi gli accordi giuridici, c'era la consuetudine - ma non era un atto necessario - che i due fidanzati si scambiassero un bacio casto, che non offendeva le antiche tradizioni. In tal caso la cerimonia degli sponsalia era definita osculo interveniente. Seguiva, quindi, lo scambio dei doni - solitamente arredi ed abbigliamento - che costituivano il "pegno" delle future nozze, dopodiché l'uomo regalava alla fidanzata un anello, l'anulus pronubus sul quale vi sono diverse testimonianze. Quest' anello, infatti, non era un semplice regalo, bensì svolgeva una funzione simbolica ben precisa: esso era una sorta di "catena" simbolica attraverso cui lo sposo legava a sé la sposa, rivendicandone il pieno possesso. Di conseguenza, una volta infilato l'anulus al dito, la ragazza manifestava concretamente il suo impegno a rispettare il patto di fedeltà nei confronti del fidanzato. Non è un caso, infatti, che l'anulus fosse infilato al penultimo dito della mano sinistra, detto appunto anularius, da cui si credeva partisse una vena che giungeva dritta al cuore. Inizialmente, come ricorda anche Plinio il Vecchio, l'anulus doveva essere un semplicissimo cerchietto di ferro e solo in seguito fu realizzato in oro. Dopo aver firmato il contratto nuziale, nel quale erano stabiliti la natura e l'ammontare della dote della sposa e dopo aver fissato la data delle nozze, la cerimonia degli sponsalia giungeva al suo termine. Seguiva, quindi, un banchetto al quale partecipavano tutti i presenti. Il rito nuziale I matrimoni a Roma erano solitamente celebrati in estate. Estremamente superstiziosi, i Romani avevano fissato una serie di giorni e periodi dell’anno in cui era assolutamente vietato sposarsi. Più precisamente era proibito celebrare matrimoni nei giorni festivi, quando ci si doveva occupare di cose divine nei templi, nelle Calende e nelle Idi, durante i Parentalia, la festività di febbraio in onore dei parenti defunti e soprattutto nel mese di maggio, come ricorda Plutarco, che spiega anche che il periodo migliore era, invece, subito dopo le Idi di giugno, nel mese consacrato a Giunone, una delle più importanti divinità protettrici del matrimonio. Il giorno prima delle nozze la sposa era protagonista di un rito che segnava il passaggio dall’infanzia all’età adulta, durante il quale consacrava sull’altare domestico i giochi da bambina.
  • 19. Il mattino successivo, assistita dalla pronuba, una matrona anziana e univira (l’aver avuto un solo marito era segno di buon augurio), la giovane si abbigliava secondo i dettami della tradizione e attendeva lo sposo e i suoi parenti nella casa paterna che, per l’occasione, era addobbata a festa: dalla porta e dagli stipiti pendevano corone di fiori, rami di piante sempreverdi come il mirto e l’alloro e bende colorate; nell’ingresso erano sistemati tappeti mentre, soprattutto presso le più importanti famiglie patrizie, si era soliti aprire gli armadi dove erano conservate le imagines, le maschere di cera degli antenati. A Roma si praticavano tre differenti forme di matrimonio. Il matrimonio per confarreatio era il più antico e solenne, istituito secondo la leggenda da Romolo e per questo ritenuto sacro ed inscindibile. Praticato inizialmente dai patrizi, fu poi riservato alla sola classe sacerdotale dei Flamines, ma cadde presto in disuso. Il matrimonio per coemptio era basato su una sorta di "vendita" della donna da parte del pater allo sposo che, alla presenza di cinque testimoni, pagava la simbolica cifra di un nummus. L' usus, infine, si basava sull'ininterrotta convivenza di un uomo e una donna non coniugati per un anno. Al termine di questo periodo si poteva ritenere costituito il vincolo matrimoniale. Il rito nuziale iniziava con un sacrificio augurale fatto alla presenza degli aruspici e di dieci testimoni che forse rappresentavano le dieci curie. Nel caso del matrimonio per confarreatio presenziavano anche la massima autorità religiosa della Roma pagana, il Pontifex Maximus ed il flamine di Giove, il Flamen Dialis. Risultano ancora incerti la divinità alla quale si sacrificava (Giunone o Giove Capitolino) ed il tipo di animale che veniva sacrificato, forse una pecora o un bue, meno probabilmente un maiale. Nel caso della confarreatio, l’animale era cosparso sulla fronte da una pappina di farro, con la quale si ricoprivano anche i coltelli; il farro era poi, gettato nel fuoco. Durante il sacrificio una funzione molto importante era svolta dagli aruspici che esaminavano le viscere dell’animale per trarne responsi: la cerimonia nuziale, infatti, proseguiva solo nel caso in cui gli auspici fossero favorevoli. Sempre nel matrimonio per confarreatio, a questo punto della cerimonia, gli sposi mangiavano insieme, seduti uno affianco all’altra su due sgabelli ricoperti di pelle di pecora (pellis lanata), una focaccia sempre di farro, il panis farreus. La consumazione insieme del pane era, infatti, simbolo della vita coniugale: l’alimento mangiato in comune favoriva la concordia e l’unità degli affetti. Dopo questo rito gli sposi facevano il giro dell’altare preceduti da un inserviente che portava il cumerus, il cestello con gli arredi sacri. Al sacrificio seguivano la sottoscrizione delle tabulae nuptiales, contenenti il contratto matrimoniale, e il rito della dextrarum iunctio, durante il quale la pronuba, congiungeva le destre dei due sposi. La dextrarum iunctio costituiva il momento culminante del rito nuziale: in quel momento, infatti, tra i due sposi veniva sancito il patto coniugale. i cui avanzi bruciacchiati erano poi distribuiti agli ospiti in segno di buon augurio. Al Conclusasi la cerimonia, si svolgeva il banchetto di nozze, la cosiddetta cena nuptialis, termine
  • 20. della cena, in serata, allo spuntare di Venere avveniva la cosiddetta deductio, il trasferimento della sposa dalla casa paterna a quella maritale. Lo sposo, forse in ricordo dell’antico matrimonio per ratto, fingeva di rapire la moglie, riluttante e spaventata, strappandola dalle braccia della madre , dopodiché si formava il corteo nuziale, illuminato da fiaccole ed accompagnato da suonatori di flauto. La sposa era accompagnata da tre fanciulli tutti patrimi e matrimi, poiché ciò era ritenuto di buon auspicio: due la tenevano per mano, mentre un terzo la precedeva recando la spina alba, una fiaccola di biancospino, simbolo di fecondità, accesa presso il focolare della casa della sposa. Il corteo era composto anche da un giovane di nascita libera e nobile, denominato camillus, che recava un vaso coperto con dentro gli arnesi del lavoro femminile e da due serve che reggevano in mano il fuso e la conocchia, strumenti dell’arte della filatura. Lo sposo, nel frattempo, faceva distribuire ai fanciulli noci, simbolo di fecondità. Durante il corteo s’invocavano tutte le numerose divinità protettrici del matrimonio: oltre alle maggiori come Giove e Giunone, ai quali era attribuita l’istituzione del matrimonio, Venere, protettrice degli amori, Diana protettrice dei feti, Fides, personificazione di una delle virtutes fondamentali richieste alla matrona romana, erano, infatti, invocate anche divinità minori che dovevano favorire l’unione sessuale degli sposi. Alle preghiere si alternavano le invocazioni festose, come il grido rituale « Talasio » , sulla cui origine vi sono varie ipotesi: Livio lo ricollega ad un episodio del ratto delle Sabine, mentre Festo ne dà una spiegazione etimologica rapportandolo all'arte della filatura. Né potevano mancare i fescennini versi mordaci e spesso osceni che, accompagnati dal suono della doppia tibia, svolgevano probabilmente una funzione apotropaica, tenendo lontano il fascinus, il malocchio. Giunta sulla soglia della casa maritale la sposa ornava l'architrave della porta d'ingresso con bende di lana e la spalmava con grasso di maiale, come ricorda Servio, e rispondeva al marito che sulla soglia le domandava chi fosse, con la celebre espressione formulare "Ubi tu Gaius ego Gaia". Terminato questo rituale, due amici del marito la portavano finalmente dentro sollevandola da terra sia per evitare che inciampasse sulla soglia della sua nuova casa, poiché ciò sarebbe stato di cattivo augurio, sia, forse, per ricordare il ratto delle Sabine. In casa il marito la riceveva recando un'urna d'acqua purissima e un tizzone di fuoco (aqua et igni accipere), due elementi che probabilmente simboleggiavano la vita coniugale e, secondo Varrone, erano legati alla procreazione. Dopo questa cerimonia, si compivano le preghiere di rito e s'invocavano il Genio familiare del marito e le varie divinità. Infine, mentre il corteo si scioglieva, la pronuba accompagnava la sposa nella camera
  • 21. nuziale, in cui si trovava il talamo che era ornato di porpora e coperto dalla toga forse come augurio di figli maschi o come segno del dominio maritale. Qui lo sposo le scioglieva la cintura virginale. Il giorno seguente la sposa, che vestiva per la prima volta abiti matronali, sacrificava ai Lari ed ai Penati e riceveva doni dal marito. Seguiva, quindi, un banchetto (repotia) riservato ai parenti degli sposi. Abbigliamento della sposa Il giorno delle nozze, lo sposo indossava la toga, limitandosi a sostituire, qualora non lo avesse già fatto durante il fidanzamento, la toga praetexta con quella virilis; invece, l'abbigliamento della sposa presentava delle caratteristiche ben precise per quanto riguarda sia la pettinatura che l'abito. Smesso, infatti, definitivamente il vestito da fanciulla, ella indossava l'abito nuziale già la sera prima delle nozze e dopo aver raccolto i capelli in una reticella rossa, così abbigliata si coricava. Il giorno successivo, i suoi capelli venivano pettinati secondo una speciale acconciatura, denominata sex crines. Essa consisteva nel dividere i capelli in sei trecce composte attorno alla fronte e tenute insieme da bende, le vittae, che la donna indossava per la prima volta proprio il giorno del matrimonio e che costituivano uno dei segni distintivi del suo nuovo status di matrona. Queste bende erano tessute secondo un preciso rituale , in base ad una tecnologia arcaica che prevedeva l'utilizzo di un telaio verticale su cui un ordito grosso, ad andamento rettilineo, prevalesse sulla trama. Completava l'acconciatura nuziale una sorta di spillone dall'impugnatura corta e dalla punta molto aguzza, simile ad una punta di lancia, denominato hasta caelibaris, il cui valore simbolico non risulta del tutto chiaro. L'abito nuziale era costituito da una semplice tunica bianca, lunga fino ai piedi, denominata tunica recta o regilla che ricordava nel taglio la stola matronale. Come per le vittae, anche la cucitura della tunica seguiva un rituale particolare poiché questa veste era ricavata da un unico pezzo di stoffa e non doveva presentare nessun tipo di orlo e di rifinitura. A questa tunica era poi applicata, in modo da renderla aderente in vita, una cintura di lana, il cingulum, che, consacrato a Giunone, una delle divinità protettrici del matrimonio, non poteva essere sciolto che dallo sposo. I capi del cingulum erano tenuti insieme da un doppio nodo denominato, come augurio di fecondità, nodus Herculeus: secondo la tradizione mitologica, infatti, l'eroe era stato padre di settanta figli. La sposa indossava, quindi, una palla color giallo zafferano che drappeggiava sulla tunica e dei calzari, i socci, dello stesso colore. L'elemento fondamentale dell'abbigliamento nuziale era, però, il flammeum, un velo che scendeva dal capo della sposa per coprirne la parte alta del volto e che, nel corso della cerimonia, veniva sollevato e teso anche sul capo dello sposo. Come si deduce dallo stesso nome, il flammeum era colore del fuoco: il rosso, infatti, da un lato, simboleggiava il pudore virginale della sposa, dall'altro, era il colore apotropaico per eccellenza. Sul flammeum era poggiata una corona intrecciata di maggiorana e verbena poi sostituita, in età imperiale, da una di mirto e fiori d'arancio.
  • 22. Il flammeum Nel matrimonio romano è attestato l'uso del flammeum, un velo di colore arancione o giallo o rosso, in ogni caso di un colore che richiamasse la fiamma o il fuoco. La sposa completava il suo abito e la acconciatura dei capelli con questo velo che da simbolo iniziatico diverrà simbolo di pudicizia e castità. Questo vocabolo è associato al termine greco flo@ginov "fiammeggiante", derivato da flo@x "fuoco", e di cui è un calco semantico. Secondo la testimonianza di Paolo Festo la presenza del flammeum nell'abbigliamento tradizionale della sposa romana deve la sua origine alla flaminica Dialis, la moglie del flamen Dialis, sacerdote di Giove. La flaminica era solita indossare un abito e un velo color fiamma con il quale durante i sacrifici si copriva il capo. Il flammeum era considerato un segno di buon auspicio, dal momento che alla flaminica non era lecito divorziare. La valenza di questo capo di abbigliamento per la sposa romana era tale che l'atto di 'sposarsi' per la donna era detto nubere, ossia in senso proprio "velarsi, prendere il velo". Piccola storia dell’abito nuziale L' abito da sposa da sempre simboleggia il candore, la purezza. Nell' antica Grecia le spose indossavano tuniche bianche, avvolte da veli gialli e arancioni. In Cina, il colore del matrimonio è rosso, come lo è per le spose indiane. Il rosso è un colore che si dice propiziasse le nascite, già duemila anni fà la sposa si copriva con un velo rosso. Con l'avvento del Cristianesimo, il velo diventò simbolo di sottomissione a Dio e al marito. Le famiglie nobili si tramandavano veli preziosi, quasi fosse un tesoro di famiglia. Bisogna dire che a volte il velo serviva a coprire il volto della sposa che veniva data in matrimonio per motivi politici, quindi lo sposo non era tenuto a conoscerne l' identità.
  • 23. Il riso che veniva gettato sulla testa degli sposi già in epoca pagana simboleggiava una pioggia di fertilità. I fiori d' arancio simboleggiano purezza e verginità, la tradizione vuole che lo sposo ne regali un mazzetto alla sposa legato da un nastro bianco. Lo scambio degli anelli è molto importante perchè simboleggiava la fedeltà al giuramento e venivano infilati all'anulare sinistro che è il dito collegato con la via del cuore. In alcune regioni italiane l' anello viene chiamato " vera " ossia 'fedeltà'. La tradizione vuole che sia lo sposo a conservarle fino al matrimonio per poi farle portare dai paggi sull'altare per la benedizione. Nel Medioevo, in Europa, il vestito aveva soprattutto lo scopo di preservare il corpo dal freddo, senza particolari attenzioni all'eleganza. Comparirono però a poco a poco alcuni capi che diventarono tradizionali: la lunga camisa di origine araba, le prime brache (indossate dagli uomini sotto la gonna o la cotta), i berretti delle più varie forme. Nel tardo Medioevo e nel primo Rinascimento si stabilizzarono alcune forme tipiche: per gli uomini il farsetto, i calzoni di maglia attillati, i vari copricapi; per le donne un abito lungo, dalla scollatura rotonda, una sopraveste senza maniche, variamente ornata e di diversi colori. Il primo abito bianco da sposa che si documenta è quello della principessa Filippa di Inghilterra nel 1406. La moda rinascimentale era molto fastosa: tipiche tra gli uomini le brache larghe e la giubba con le maniche tagliate per far intravedere la fodera; per le donne una gonna larga, il corpetto sul busto a stecche, la camicia ricamata e la ricca zimarra. In Italia, le severe disposizioni della Controriforma ispirarono costumi più severi e più semplici: tipico del '600 è il severo abito nero ravvivato solo dalla gorgiera, un enorme colletto bianco a pieghe.
  • 24. Il secolo XVIII rappresentò il culmine dell'eleganza: paniers, redingote, gilet e culottes di seta o raso abbondantemente ornate. Dopo la Rivoluzione Francese, Giuseppina Bonaparte lanciò la linea definita Impero con il bustino a vita alta da cui scende la gonna. Da allora l'abito da sposa divenne sempre più importante, grazie anche alla Regina Vittoria che lanciò uno stile che prende il suo nome, Vittoriano: vita stretta con corpetto aderente e gonna ampia con strascico. Per tutto l'800 e i primi anni del '900 la sposa seguì la moda da sera. Intorno agli anni Trenta del XX secolo si affermò l'abito come lo intendiamo oggi: bianco, lungo, con il velo e un bouquet di fiori. Il matrimonio civile Il matrimonio civile è, per definizione, la celebrazione che garantisce automaticamente tutti gli effetti legali ed amministrativi. È la modalità di celebrazione del matrimonio scelta da coloro che non desiderano la celebrazione religiosa. Il matrimonio civile richiede una serie di formalità preliminari che hanno il fine di accertare l’effettivo stato di libertà da vincoli di precedenti matrimoni e la consapevolezza, da parte di entrambi gli interessati, di voler contrarre il matrimonio senza alcun tipo di costrizione o ricatti. La prassi per il matrimonio civile prevede che entrambi i fidanzati si rechino, almeno due/tre mesi prima del giuramento, presso l'Ufficio di stato Civile del Comune di residenza di uno dei due per firmare una formale richiesta di "pubblicazioni". Occorre portare con se l’atto di nascita, il
  • 25. certificato di residenza, stato libero e cittadinanza. Se uno dei due contraenti è divorziato, occorre aggiungere alla lista anche la sentenza di divorzio, mentre se si è vedovi è necessario presentare la copia integrale dell'atto di morte del coniuge. In caso di matrimonio civile tra minorenni, occorre una copia autentica del decreto di ammissione al matrimonio emesso dal Tribunale per i minorenni, mentre per uno straniero occorre il certificato di capacità matrimoniale rilasciato dal Consolato o Ambasciata competente. Se tale certificato non risulta completo in tutte le sue parti, occorre anche l'atto di nascita in modello plurilingue o tradotto dallo stesso consolato. In seguito a tale richiesta, gli incaricati comunali elaborano tutto il materiale ricevuto per poi contattare personalmente i futuri sposi al fine di fissare la data del matrimonio civile. Vengono così esposte, per otto giorni,le pubblicazioni con le complete generalità dei futuri sposi e il luogo di celebrazione del matrimonio civile. Obiettivo della pubblicazione è quello di rendere nota a tutti l'intenzione dei fidanzati di contrarre matrimonio affinché chiunque abbia motivo possa opporsi, qualora sussistano impedimenti di cui costoro siano a conoscenza o altre gravi ragioni previste dalla legge. Trascorsi quattro giorni dopo il termine delle pubblicazioni, l'Ufficiale di Stato Civile, se non ha ricevuto nessuna opposizione in merito a quella coppia, rilascia il "nulla osta" al matrimonio, in cui dichiara che la celebrazione non ha impedimenti agli effetti civili. I due fidanzati, a questo punto, possono celebrare il proprio matrimonio civile entro 180 giorni dalla scadenza della pubblicazione, pena la decadenza di validità dei documenti. Il matrimonio civile in municipio, di norma viene celebrato in orario d'ufficio del comune, dal lunedì al sabato mattina. Il matrimonio civile è apparentemente meno formale di quello religioso, ma impone comunque alcune regole di forma e di buon gusto che è opportuno rispettare. Eleganza, sobrietà e semplicità dovrebbero connotare lo svolgimento del matrimonio civile che non ammette nessun ritardo da parte degli sposi, poiché nello stesso giorno vengono celebrati numerosi matrimoni. Come per il rito religioso, la sposa entra al braccio del padre, poi gli invitati si accomodano secondo la tradizione: genitori, amici e parenti dello sposo a destra, a sinistra quelli della sposa. Il rito del matrimonio civile è piuttosto breve. Dura dai quindici ai venti minuti e prevede la lettura di alcuni articoli del codice civile da parte dell’Ufficiale di Stato Civile. Questi, in dettaglio, sono: Articolo 143, Diritti e doveri reciproci dei coniugi Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia. Articolo 144, Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia I coniugi concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa. A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato. Articolo 147, Doveri verso i figli Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.
  • 26. Tali articoli vengono letti anche al termine della classica cerimonia religiosa, con la sola differenza che, a declamarli, è il sacerdote officiante. Dopo aver ricevuto dagli sposi la dichiarazione di volersi prendere rispettivamente come marito e moglie, avviene lo scambio degli anelli, la firma dei registri e, in conclusione, un breve discorso augurale da parte di chi ha officiato la cerimonia. E’ prassi che il rito civile venga celebrato presso la sede di uno due Comuni in cui risiedono i promessi sposi. Alcuni Comuni mettono a disposizione, per la celebrazione dei matrimoni civili, anche ambienti suggestivi, come stanze di palazzi storici della città. Nel caso in cui le nozze vengano celebrate in un Comune diverso rispetto a quello di appartenenza, occorre inviare al comune di residenza una richiesta scritta, in cui vengono spiegate le motivazioni della scelta di celebrare il matrimonio civile in un'altra località. L'ufficio del comune consegnerà agli sposi una lettera di delega, che dovrà essere presentata nel comune scelto per la celebrazione del matrimonio. Il Matrimonio - Costituzione Art.29 1.La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. 2.Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare. Art.30 1.E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. 2.Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. 3.La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. Art.31 La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo. Il Matrimonio - Requisiti Il codice civile prevede alcuni requisiti per contrarre matrimonio la cui mancanza comporta la impossibilità di contrarre matrimonio indipendentemente dalla persona dell'altro coniuge. In particolare: Maggiore età: non può contrarre matrimonio chi non abbia compiuto 18 anni. Peraltro, anche il minore di 18 anni che abbia già compiuto 16 anni, può essere ammesso a contrarre matrimonio ai sensi dell'art. 84 del codice civile qualora il Tribunale conceda l'autorizzazione previa verifica dei gravi motivi e l'accertamento della maturità psico-fisica del minorenne. Capacità di intendere e di volere: non può validamente contrarre matrimonio l'interdetto per infermità di mente. Quanto al matrimonio contratto dall'incapace naturale cioè il soggetto che sia al momento di contrarre matrimonio incapace di intendere e di volere) esso può essere impugnato a meno che vi sia stata coabitazione tra i coniugi della durata di un anno. Libertà di stato: non può contrare matrimonio chi sia già legato ad altra persona da
  • 27. matrimonio civile o con effetti civili. Colui che contrae un secondo matrimonio, in costanza di precedente matrimonio, incorre nel reato di bigamia (diritto) Il codice civile prevede alcune situazioni che costituiscono impedimenti a contrarre matrimonio. Essi si dintinguono in impedimenti dirimenti, la cui presenza da luogo alla nullità, e impedimenti impedienti, la cui presenza obbliga a pagare un'ammenda. Sono impedimenti dirimenti: Rapporto di parentela, affinità, adozione e affiliazione tra i nubendi. Omicidio tentato o consumato di un coniuge a danno dell'altro. Sono impedimenti impedienti: Lutto vedovile Mancanza di pubblicazione La dichiarazione di nullità è meglio nota come annullamento del matrimonio. L'espressione non deve essere fraintesa, perché il matrimonio viene dichiarato nullo, cioè mai esistito e non "annullato" da un certo momento in poi, come avviene con il divrzio: ha quindi efficacia retroattiva. Le cause che possono portare all'annullamento di un matrimonio sono indicate nel Codice Civile e possono essere, tra le altre, la mancata consumazione, la scoperta di anomalie o un gravi difetti di uno degli sposi (purché esse esistessero prima dell'atto di matrimonio e fossero state celate), la mancanza dei requisiti per il matrimonio di uno dei coniugi (esempio si scopre che uno dei due era già vincolato in un altro matrimonio, oppure si scopre che i coniugi sono parenti sanguini), eccetera... IL RITO RELIGIOSO La cerimonia si svolge generalmente durante una messa nuziale, non priva di momenti emozionanti e suggestivi, tra i quali, è possibile indicare senz’altro le fasi essenziali: Prima di concedere l'autorizzazione alla celebrazione del matrimonio religioso, la Chiesa esige di verificare la preparazione, la professione di fede dei due sposi e le basi della loro scelta, ai fini di una vita matrimoniale secondo i dettami della religione.
  • 28. A tale scopo vengono organizzati corsi detti appunto "di preparazione al matrimonio" tenuti da sacerdoti ed esperti di settori specifici, la cui frequenza è obbligatoria e gratuita. La loro durata e le modalità di svolgimento possono variare a seconda delle singole parrocchie per cui conviene attivarsi con un certo preavviso per pianificarne la partecipazione. I fidanzati possono decidere di seguire il corso in una delle parrocchie di provenienza oppure in una terza a scelta. Alla loro conclusione viene rilasciato l'attestato di frequenza che rientra tra i documenti necessari per la celebrazione religiosa. LO SVOLGIMENTO DELLA CERIMONIA Le formule predominanti, entrando in chiesa, sono tre: - lo sposo attende all'altare con i testimoni. Gli invitati: a destra quelli dello sposo, a sinistra quelli della sposa. La sposa al braccio destro del padre (o del parente più prossimo) raggiunge l'altare dove formalmente “viene concessa” al futuro sposo. - la sposa al braccio del padre raggiunge l'altare e lì aspetta lo sposo che arrivo al braccio della madre. - la sposa al braccio del padre è immediatamente seguita dallo sposo al braccio della madre. La prima formula è quella più adottata. Anche dai principi attuali. Questo non esclude una formula diversa, ad esempio gli sposi possono entrare in Chiesa insieme. Certo decade la simbologia del "passaggio" dalla famiglia originaria. E la cerimonia si costruisce di fatto attorno a simbologie. Per creare un’atmosfera suggestiva, sarebbe opportuno che ci fosse un sottofondo musicale già all’arrivo dei primi invitati. Sono quattro i momenti salienti del rito che la musica dovrebbe sottolineare: l’ingresso della sposa, l’offertorio, lo scambio degli anelli e il corteo in uscita. Saranno gli sposi a scegliere i brani, possibilmente brevi per non interrompere la celebrazione, d’accordo con gli strumentisti o i cantanti contattati. GIUNTI ALL’ALTARE, il padre affiderà idealmente la figlia al futuro genero, stringendogli la mano, e prenderà posto nel primo banco a sinistra. HA INIZIO la cerimonia vera e propria, che si svolge all’interno di una messa nuziale, con molti momenti ricchi di emozione per gli sposi e gli invitati. La recita della formula e alcuni altri momenti del rito saranno già stati "vissuti" dalla coppia durante le prove in chiesa. IL RITO Viene officiato, salvo casi particolari, all’interno della celebrazione della messa, con quattro momenti chiave: - Rinnovo delle promesse battesimali, - Liturgia del matrimonio, - Benedizione e consegna degli anelli, - Benedizione degli sposi. AL MOMENTO dello scambio degli anelli, posato il bouquet sull’inginocchiatoio, sarà la sposa a porgere la mano per prima. Nel caso non ci fossero i paggetti nel corteo nuziale, le fedi saranno custodite dallo sposo che vi avrà fatto incidere i nomi e la data delle nozze.
  • 29. SIA al momento dello scambio delle fedi che a quello del bacio, l’applauso degli invitati sarà assolutamente da evitare, per rispettare la sacralità dell’atto e del luogo. DURANTE la firma dei registri da parte di sposi e testimoni, gli invitati potranno uscire dalla chiesa o formare il corteo nuziale d’uscita. Il neo - marito porgerà alla sposa il braccio sinistro per percorrere la navata. Il corteo seguirà lo stesso ordine dell’entrata, ma la madre di lei sarà accompagnata dal padre di lui. • Rinnovo delle promesse battesimali: gli sposi rispondono ad alcune domande loro poste dal sacerdote, quesiti che riprendono quelli già posti durante i sacramenti del battesimo, della comunione e della cresima; • Liturgia del matrimonio: il sacerdote chiede il solenne consenso agli sposi; gli sposi, quindi, recitano a turno (prima Lui, poi Lei), la nuova formula: “Io colgo te come mia/o sposa/o…”; • Benedizione e scambio degli anelli nuziali: il sacerdote benedice le fedi nuziali e gli sposi se le scambiano pronunciando la formula tradizionale: “Ricevi questo anello come segno del mio amore e della mia fedeltà…”. A questo punto, lo sposo, infila per primo la fede all’anulare sinistro della sposa, quindi tocca a lei ripetere il medesimo gesto (…); • Benedizione degli sposi e applauso: il sacerdote intona una preghiera per la nuova famiglia appena formata e, secondo un’abitudine importata dagli Stati Uniti e consolidatasi ormai anche nel nostro paese, invita generalmente i presenti a dedicare un applauso (Bonton) in segno di gioia e di gaudio per l’unione avvenuta, che ha il significato recondito di buon augurio e prosperità per la nuova coppia unita e consacrata per sempre nel nome del Signore; • Le Sacre Letture: Altro momento molto significativo della celebrazione nuziale è quello dedicato alle Sacre Letture liturgiche, da concordare preventivamente con il celebrante scegliendo tra i brani della Bibbia e del Vangelo. Tra le più suggestive, ricordiamo innanzitutto la bellissima preghiera dedicata dal San Francesco d’Assisi all’amore per la vita e per la natura che nasce e che, amorevolmente ci circonda, rendendo tutti gli esseri viventi ugualmente degni di amore e di rispetto, in quanto essenziali nella realizzazione del perfetto equilibrio naturale dell’universo: il “Cantico dei Cantici”, bellissimo cantico che gli sposi possono leggere a due voci, per renderlo ancor più suggestivo; o ancora, la Prima lettera di San Giovanni apostolo, dal titolo emblematico: “Dio è amore”; bellissima anche la scelta che cada sua latra lettura del brano del Vangelo secondo Matteo, dal titolo: “Quel che Dio ha congiunto l’uomo non (osi) separare..”. L’uscita dalla Chiesa: Al termine della cerimonia di nozze, i novelli sposi, accompagnati dai rispettivi testimoni, si ritirano con il sacerdote per la firma del registro. Nel frattempo gli invitati possono avviarsi verso l’uscita per raggiungere, in modo ordinato e soprattutto discreto, il sagrato ove potranno attendere la coppia oppure, possono aspettare gli sposi e formare il corteo nuziale in uscita; in quest’ultimo
  • 30. caso, naturalmente, l’ordine da seguire sarà lo stesso dell’ingresso in chiesa, ma questa volta, la madre di lui, sarà accompagnata dal padre di lei. Prima di salutare gli sposi, talvolta accade che il sacerdote consegni loro un libretto con la data ed il luogo della celebrazione e tante pagine bianche che la neo coppia potrà riempire indicando, magari, i nomi dei figli che verranno e, ricordando così alla nuova famiglia che, scopo principale dell’unione religiosa, rimane innanzitutto quello della “procreazione”. In seguito, a prescindere dall’ordine scelto dagli invitati per l’uscita, il neomarito porge alla sposa il suo braccio destro e, insieme, si avviano lentamente verso l’uscita. Sul sagrato della Chiesa, al momento dell’uscita degli sposi, parenti e amici provvederanno al classico e benaugurale lancio del riso, dopodichè, seguiranno le foto di gruppo in stile neo-classico. Infine, gli sposi saluteranno gli invitati che si avvicineranno desiderosi di porger loro le consuete felicitazioni ringraziando, quindi, quelli che non parteciperanno personalmente al ricevimento di nozze. Il “valore Civile” del rito religioso: il Rito celebrato secondo i “Patti Lateranensi” (vale a dire, in base alle leggi concordatarie che regolano i rapporti tra Stato e Chiesa ) Il Rito celebrato in base alle norme giuridiche -ecclesiastiche che disciplinano i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica sembrerebbe, a nostro avviso, senza dubbio la soluzione più comune tra quelle prescelte dalla maggior parte degli sposi e, tutto sommato, anche la meno “articolata” racchiudendo in sé, tutti i presupposti cristiani dell’unione spirituale dei coniugi e siglandone, contemporaneamente, anche i reciproci diritti e doveri giuridici scanditi dalla lettura degli articoli del Codice civile da parte del parroco, al momento dell’apposizione delle firme sul Registro dello Stato civile, a conclusione della cerimonia religiosa. Il parroco stesso, successivamente, si preoccuperà di trasmettere la trascrizione dell’Atto civile (entro 5 giorni dalla data del matrimonio) con tutte le annotazioni che gli sposi vorranno aggiungere come la separazione dei beni, il riconoscimento di figli o altro ancora (..). Soltanto in casi motivati da particolari ragioni, il matrimonio religioso potrà essere celebrato senza la messa solenne o alla presenza dei soli testimoni. Abito da sposa L'abito da sposa rappresenta da sempre uno degli elementi più importanti della cerimonia. Affascinante è la sua storia nelle diverse culture, nei diversi Paesi. Nell'antica Grecia le spose indossavano tuniche candide. A quel tempo il bianco simboleggiava la gioia e non verginità e purezza. Le spose romane erano invece avvolte invece da veli gialli e arancioni, mentre quelle cinesi vestivano in rosso. Il colore rosso è ancora oggi il colore nuziale delle spose indiane. Le spose longobarde vestivano solo una tunica nera, mentre le fanciulle bizantine, provenienti dalle famiglie più ricche, indossavano abiti da sposa di seta rossa impreziositi da pietre e ricami in oro. Nel Medio Evo e nel Rinascimento si era soliti scegliere abiti da sposa colorati da indossare anche in seguito, durante le feste. Il colore più usato comunque era il rosso, perché si riteneva che propiziasse le nascite.
  • 31. La tradizione dell'abito bianco per la sposa risale all'Ottocento. Quando, nel 1854, la Chiesa riconobbe il dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, ovvero che la Vergine era nata senza peccato originale, le giovani spose iniziarono a indossare abiti bianchi per onorare e invocare la protezione della Madonna. E il velo diventò così anche simbolo della sottomissione a Dio e al marito. Oggi comunque sono ben accetti abiti da sposa dalle tinte pastello o dalle nuance oro e rosa, a seconda della propria personalità, del colore della pelle e dei capelli. In alcuni modelli, le tinte chiare degli abiti vengono contrastate da finiture e nastri di colore intenso. I tessuti dell’abito da sposa, con le proprie caratteristiche, determinano soprattutto la riuscita di un modello e suggeriscono molte idee nella fase di creazione dell'abito. Con la loro consistenza più o meno corposa, infatti, riescono a modellare la silhouette della sposa. Tulle, organza e chiffon si addicono solo a linee perfette, a corpi longilinei.. Raso, mikado, cady, duchesse e velluti di seta vanno bene per le spose più in carne. In ogni modo, il tessuto va scelto in funzione del periodo, del modello scelto ma anche in base all'orario e luogo del matrimonio. Per una cerimonia che si svolge in cattedrale e di mattina, si deve indossare un abito di una certa importanza, con tessuti anche sfarzosi, in raso pesante, mikado o duchesse. Per un rito pomeridiano che si svolge in città, sono consigliabili abiti dalle linee fluide e tessuti leggeri, come il crepe de Chine, la georgette, il cady o il raso leggero. Per una messa nella chiesetta di campagna, di pomeriggio, è perfetto l’abito romantico e vaporoso, in voile, chiffon o faille. E per il matrimonio civile in municipio, l’ideale è un abito corto o un tailleur anche pantalone, nei toni del bianco, del crema, dell’avorio, dell’écru o pastello. Tanti i modelli di abiti da sposa verso cui rivolgere la propria attenzione: - Bustier: Corsetto steccato che si stringe sulla schiena con chiusura stringata, accompagnato da una gonna ampia, stile '700. - Impero: Vita alta, piccole maniche e gonne leggermente arricciate o svasate. Ideale per donne in gravidanza o per le spose che desiderano uno stile semplice. - A palloncino: Gonna stile anni '50, ampia, arricciata e gonfia, dall'orlo rimborsato o stretto da una fascia sul fondo. - Redingote: Abito con punto vita stretto e più alto rispetto al normale, gonna a teli che stringe sulla parte alta del busto, per poi allargarsi sulla pancia e fianchi. - Scivolato: Modello realizzato con tessuti morbidi che segue e addolcisce i contorni del corpo. - A sirena: Modello molto sexy che sottolinea i fianchi per poi allargarsi e terminare con un piccolo strascico. - A sottoveste: Ampio décolleté e spalline sottili, di tessuto leggero. Va completato con una stola o con una giacca leggera. - Tubino: Modello che segue le linee del corpo, con gonna dritta che cade senza stringere, in stile tailleur. - Peplo: Simile alla tunica delle donne dell'antica Grecia, è un abito lineare, arricchito da drappeggi che lo rendono particolarmente elegante.
  • 32. - Ottocento: Bustino aderentissimo di dimensioni regolabili con gonna gonfia grazie a sottogonne in tulle con grandi volants - Linguette: Abito sobrio ed elegante, con la gonna che termina poco sopra la caviglia. Una verifica della propria persona aiuta a comprendere ciò che va valorizzato e ciò che va nascosto con l’abito da sposa. Per questo motivo, conviene sempre rivolgersi a un atelier con personale altamente specializzato in grado di dare i giusti consigli. Esistono atelier monomarca, dove è possibile trovare una vasta gamma di modelli di una certa firma, e atelier multimarca che offrono alle proprie clienti abiti da sposa di diverse firme. Il primo appuntamento in atelier serve per decidere su quale modello orientarsi. Occorrono poi almeno altre due prove per sistemare del tutto l'abito da sposa. Una volta ritirato, l'abito da sposa deve essere tolto dalla protezione in plastica, appeso a una gruccia imbottita e coperto da un telo di cotone fino al giorno delle nozze. Dopo il matrimonio, invece, va lavato accuratamente da una lavanderia professionale e riposto in una grande scatola, avvolgendolo preferibilmente con carta velina bianca che ne preservi il colore candido. Il Velo nuziale Anticamente il velo simboleggiava l’innocenza della sposa che andava protetta da eventuali influssi d spiriti maligni. Oggi molte donne continuano a optare per il velo visto il tocco di romanticismo che dona a ogni sposa. Le lunghezze sono fondamentalmente tre. Il velo più corto è quello che arriva a coprire abbondantemente le spalle e finisce all'altezza del gomito. Quello più lungo arriva fino a terra, e quello mediano arriva a coprire tutta la schiena. Corto o lungo che sia, meglio scegliere un modello che non intralci l’incedere della protagonista. Anche le forme sono varie. Il velo può essere a ruota,
  • 33. quindi rotondo, ma può anche terminare a punta, creando un effetto più moderno. La tradizione vuole comunque che il velo sia sottile ed impalpabile, sobrio, in tulle liscio Il velo va applicato sull'acconciatura. Si può optare per un semplice pettinino da inserire tra i capelli o si può preferire un diadema, decisamente più impegnativo, che deve essere armonizzato con la pettinatura. Le tipologie di diademi sono quattro: diademi a corona, a ghirlanda, a passata, a goccia. Accessorio per il giorno del matrimonio, il velo da sposa completa e avvolge di fascino la donna che sale all’altare. Lontane nel tempo le sue origini, è stato un simbolo carico di significati nel corso della storia, mentre oggi mantiene soprattutto la sua funzione estetica e decorativa. Il velo da sposa nell’antichità Il primo Velo da Sposa risale al tempo dei Romani quando le giovani che salivano all’altare erano solite indossare il Flammeum, un velo leggero che copriva loro il volto durante la cerimonia nuziale. Il primo velo della storia fu realizzato con una sottile garza, preferibilemente rossa, ma anche arancio o gialla, a simboleggiare i colori accesi del fuoco. Il Flammeum era considerato un indumento di buon auspicio e l’importanza di tale accessorio nel rito nuziale era tale che per la donna al posto del verbo ‘sposarsi’ si usasse il verbo ‘nubere’, il cui significato è anche ‘prendere il velo, velarsi’. Nel Medioevo il Velo da sposa era fatto di tanti strati di lino sovrapposti, fissati alla testa attraverso fili d’oro e di perline. Il Velo serviva a proteggere la sposa dal malocchio e dalla mala sorte, e a nasconderla agli occhi del marito finché il rito nuziale non avesse avuto termine. In passato, e per tutto il corso della storia in cui i matrimoni sono stati combinati, lo scopo del velo da sposa è stato funzionale più che decorativo: il vero scopo del velo era quello di nascondere la sposa dalla vista del futuro marito fino a compimento della cerimonia, onde evitare che lo sposo venisse meno all’impegno preso, mandando all’aria nozze e interessi ad esse legati. Nel Rinascimento anche il velo si adeguò ad una mentalità che prevedeva sfarzi e lussi per la cerimonia nuziale: il velo divenne così un lungo strascico che avvolgeva e proteggeva la sposa; era ancora colorato e realizzato in tessuti preziosi. Nell’Ottocento fece capolino il primo abito da sposa bianco, e ad esso si coordinò anche il velo. Questo cambiamento si ebbe a causa dei principi imposti dalla Chiesa Cattolica ed al riconoscimento del bianco come colore del candore, della purezza, della verginità.
  • 34. Il velo da sposa nel novecento È nel Novecento che si può parlare di una vera e propria moda nell’abbigliamento nuziale, di una serie di tendenze che prendono piede e si modificano di decennio in decennio. Questo vale anche per il velo da sposa, accessorio ormai inscindibile dal vestito, la cui presenza, fattezza e lunghezza dipenderanno prima da fattori storici ed economici, poi dalle tendenze della moda, fino ad arrivare al gusto personale. Negli Anni Venti il velo è un lungo strascico, spesso fatto di un unico strato, ma arricchito con preziosi ricami, bordi satinati o con una finissima plissettatura. Negli Anni Trenta, il Velo da sposa si accorcia e si adegua alle acconciature, diventate man mano più complesse e alla presenza di diademi e perle intrecciate sul capo. Più che a coprire il volto, il velo ha raggiunto la sua funzione di accessorio che spesso forma un unico con il diadema da cui parte e la capigliatura. Negli Anni Cinquanta, terminata la guerra, la moda sposa si orienta verso un ritorno al Romanticismo: tornano gonne ampie ed il velo torna lungo fino ai piedi, ad avvolgere e circondare di bianca dolcezza la futura moglie. Negli Anni Sessanta l’abito da sposa acquista quella valenza di unicità che ha ancora oggi: abito da indossare una sola volta nella vita, per la propria cerimonia nuziale. Le linee tornano alla semplicità ed il velo si adatta allo stile: decorativo sul capo della sposa, scende in forme lineari e naturali. Gli Anni Settanta sono gli anni del ritorno al colore: avorio e panna fanno il loro ingresso, così come nuovi materiali che provengono dalla moda di tutti i giorni. L’abito diventa più comodo e segue lo stile della sposa, così come il velo diventa una scelta personale di colei che lo indosserà
  • 35. sull’altare. Gli Anni Ottanta sono gli anni dei vestiti a sirena e delle fogge molto lavorate; lo stesso dicasi anche per le acconciature, che svettano verso l’alto o somigliano a dei capolavori di scultura. Il velo si fa quindi da parte, per lasciare spazio al volto della sposa e alle ardite acconciature. Libere da matrimoni combinati, le spose degli Anni Ottanta scelgono se celarsi fino al momento del bacio o mostrarsi agli invitati. Tipologie di velo da sposa
  • 36. Esistono diversi tipi di velo da sposa, distinti secondo la lunghezza del velo. Ecco di seguito i sei tipi principali di velo da sposa. Velo corto o velina È il velo da sposa più corto, arriva fino alle spalle e copre il volto. Ideale per chi indossa un abito corto o per una sposa di taglia minuta. Dona un’aria sbarazzina o molto elegante ed austera, a seconda dell’abito cui è coordinato e dell’età della sposa. Velo alle spalle Ideale su abiti dalle scollature ampie e generose, è il velo da sposa dell’immaginario: ben visibile, romantico e avvolgente, ma molto pratico e che non impedisce i movimenti. Velo al gomito Come uno scialle avvolge la sposa senza però imbavagliarla in un velo multistrato. Abbinabile ad abiti con scollature, indicato per le spose non tanto alte poiché dona loro eleganza senza nasconderne la silhouette. Velo classico o da Valzer Il nome rimanda all’elegante ballo liscio e tale è la funzionalità di questo velo: copre la sposa e la avvolge dalla testa ai piedi, rendendo la sua figura leggiadra, senza impedirle però di ballare con agilità, poiché il velo termina ad altezza pavimento. Effetto scenico assicurato, anche per le ballerine di Valzer non professioniste. Velo Cappella Poggia sul pavimento e forma lo strascico. A volte è rinforzato da altri sottoveli interni che donano il giusto volume. Molto elegante e imponente, consigliato su vestiti semplici e lisci. Velo Cattedrale Imponente come il suo nome, questo velo è lunghissimo. Non dovrebbe superare i tre metri, ma in ogni caso necessita della presenza di damigelle e paggetti. È maestoso, scenico, ideale per una cerimonia spettacolare. Come scegliere il velo da sposa Ovviamente il velo da sposa andrà scelto a seconda del gusto personale e, come detto sopra, dell’altezza della sposa e coordinato con il vestito. Ci sono però alcuni consigli, a metà tra tradizione, credenza popolare e superstizione, che vale la pena conoscere prima di decidere quale sarà il velo che coprirà il capo della sposa, poiché non si sa mai. Preferibilmente il velo dovrebbe essere usato, cioè donato o prestato alla sposa da una donna a lei vicina che ha avuto un matrimonio felice. La novella sposa sarò così protetta ed il suo matrimonio sarà fortunato come quello di colei da cui ha ereditato il velo. Qualora si dovesse optare per questa scelta, ricordate di portare con voi il velo prima della scelta del vestito, in modo da individuare il giusto abbinamento di colore. Se la sposa si sposa con rito civile, è in età matura o si sposa per la seconda volta, è consigliabile che indossi un cappellino invece del velo. Il cappellino sarà di paglia bianca nella stagione estiva e di velluto in quella invernale; in ogni caso una falda larga e la presenza di una veletta a coprire il viso doneranno eleganza e sobrietà. Nella scelta del velo vale la regola del contrario: il velo deve essere di un materiale diverso da quello del vestito. Se, ad esempio, il vestito è in pizzo, il velo può essere di tulle con delle rifiniture in raso o delle perline. Curiosità sul velo da sposa nel mondo Nella tradizione giapponese il velo da sposa è usato per nascondere simbolicamente la gelosia della sposa, il suo ego e il suo egoismo, qualità che non possono essere mostrate in presenza del futuro