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News 11/SA/2017
Lunedì, 13 Marzo 2017
Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi
Nella settimana n.10 del 2017 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta
europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 57 (4 quelle inviate dal Ministero
della salute italiano).
Tra i lotti respinti alla frontiera si segnalano: notificati dall’Italia per migrazione di
manganese da pentole a pressione provenienti dalla Cina; per pesce congelato
Hilsa Kelee proveniente dal Vietnam etichettato in modo errato come Sardinella
Gibossa; per sostanza non autorizzata procimidone in cetrioli provenienti dall’Egitto
e per l’irradiazione non autorizzata di lievito di riso rosso in polvere proveniente dalla
Cina. Notificati dall’Olanda per aflatossine in semi di arachidi provenienti dalla Cina,
per Salmonella in filetti di petto di pollo salato dissossato e senza pelle congelato
proveniente dal Brasile, per aflatossine in semi di arachidi provenienti dall’Argentina
e per aflatossine in semi di arachidi provenienti dagli Stati Uniti; notificati dal Regno
Unito per lievito di riso rosso organizzato non autorizzato geneticamente modificato
(CryIAb-gene SYBR®Green) proveniente dalla Cina e per Salmonella in foglie di
betel dall’India; notificato dalla Francia per aflatossine in pistacchi con guscio
provenienti dagli Stati Uniti; notificato dalla Polonia per aflatossine in arachidi con
guscio provenienti dalla Cina; notificato dalla Bulgaria per procloraz in melograni
provenienti dalla Turchia.
Allerta notificati dall’Olanda per frammento di vetro in piselli in salamoia provenienti
dall’Olanda, per aflatossine in burro di arachidi proveniente dall’Olanda, per
aflatossine in burri di arachidi proveniente dal Senegal e per senape non dichiarata
in gamberi tigre bianca aioli provenienti dall’Olanda; dalla Svizzera per ocratossina
A in fichi secchi provenienti dalla Spagna, via Germania; dal Belgio per soia non
dichiarata in barbecue aromatizzato per patatine fritte proveniente dal Belgio e per
senape non dichiarata e etichettatura non corretta su stufato di manzo proveniente
dal Belgio; dalla Francia per norovirus (GG I) in lamponi congelati provenienti dalla
Serbia, via Belgio e per Listeria monocytogenes in nems refrigerati provenienti dalla
Francia; dal Regno Unito per noci non dichiarate in estratto di mandorla amara
etichettato come libero da allergeni provenienti dal Regno Unito; dalla Lituania per
Salmonella enterica ser. Enteritidis in quarti di carne congelati provenienti dalla
Polonia; dall’Irlanda per solfiti non dichiarati e senape in chutney di pomodoro
erroneamente etichettato come marmellata di fragole proveniente dall’Irlanda;
dalla Germania per etefon in peperoni congelati tagliati a cubetti provenienti dalla
Polonia; dalla Danimarca per Salmonella in filetti di pollo congelati salati provenienti
dalla Tailandia, via Olanda; da Malta per solfiti non dichiarati in uva passa dal Cile,
via Olanda.
Nella lista delle informative troviamo notificate: dalla Svezia per Salmonella in carne
di agnello proveniente dal Regno Unito; dalla Repubblica Ceca per Salmonella in
maiale macinato refrigerato e mix di manzo proveniente dalla Polonia; dalla
Norvegia per Salmonella enterica ser. Stanley in foglie di betel provenienti dalla
Cambodia, via Vietnam; dalla Svizzera per cadmio in tubi di calamari congelati
(Loligo spp) proveniente dalla Tailandia; dalla Grecia per contenuto troppo alto di
solfiti in gamberetti rosa da acqua profonda interi congelati (Parapenaus longirostris)
provenienti dalla Turchia; dal Belgio per migrazione di melamina da piatto di
plastica proveniente da Hong Kong.
Fonte: rasff.eu
Contaminanti in carta e cartone: in Usa un terzo degli imballaggi contiene composti
chimici fluorurati. Anche in Italia la situazione è critica.
Quando ordiniamo qualcosa in un fast food, sappiamo esattamente quello che
stiamo ricevendo: un pasto economico con un ottimo sapore, probabilmente ricco
di grassi, colesterolo e sodio. Secondo un rapporto pubblicato nella rivista
Environmental Science and Technology Letters anche l’imballaggio in cui il cibo
viene servito potrebbe avere un impatto negativo sulla salute.
Lo studio, condotto su oltre 400 prodotti di carta a contatto con gli alimenti prelevati
da fast food in tutti gli Stati Uniti, ha rilevato la presenza di composti chimici fluorurati
in un terzo degli imballaggi. Queste sostanze chimiche – denominate tecnicamente
composti perfluoroalchilici ed indicati con la sigla PFAS – sono molecole artificiali
che non esistono in natura e vengono utilizzate per le ottime proprietà di essere
impermeabili ai grassi.
Oltre che nel settore food, i prodotti chimici fluorurati vengono utilizzati per resistere
all’acqua, alle macchie e per le proprietà antiaderenti a prodotti come mobili,
tappeti, attrezzature da giardino, indumenti, cosmetici e pentole antiaderenti. Il
composto più noto del gruppo di PFAS, l’acido perfluoroottanoico (PFOA) è stato
collegato a problemi renali, cancro ai testicoli, colesterolo elevato, diminuzione
della fertilità, problemi alla tiroide e cambiamenti nel funzionamento ormonale, ma
sono stati rilevati anche effetti avversi sullo sviluppo e diminuzione della risposta
immunitaria nei bambini. Ulteriori studi hanno dimostrato che queste sostanze
possono facilmente migrare dagli imballaggi alimentari nel cibo. Il grado di
migrazione dipende dalla temperatura del cibo, dal tipo di alimento e dal tempo di
contatto con il contenitore.
Se presenti, i contaminanti PFAS possono migrare dagli imballaggi alimentari al cibo.
Nello studio le tipologie di imballaggio sono stati suddivise in sei categorie: carta a
contatto con gli alimenti (involucri usati per panini e sacchetti di pasticceria),
cartone destinato al contatto diretto con alimenti (scatole per patatine fritte o
pizza), carta senza contatto (sacchetti esterni), bicchieri di carta, altri contenitori di
bevande (lattine e contenitori succo) e vari (coperchi). I risultati peggiori sono stati
rilevati nella carta a diretto contatto con gli alimenti con il 46% di tutti i campioni
risultati positivi per il fluoro, seguita dai contenitori in cartone (20%) e da altri
contenitori di bevande (16%). Invece, nelle carte non destinate al contatto diretto
con alimenti, nei bicchieri di carta e nei coperchi tutti i risultati sono stati negativi.
“Nessuna sorpresa” sostiene Lynn M. Dyer, presidente del Foodservice Packaging
Institute negli Stati Uniti. “Per il confezionamento nei fast food sono necessari
imballaggi con un rivestimento barriera, e l’impiego di queste sostanze è normale”.
Il consumatore cosa può fare? “Una volta che si è scelto di mangiare in un ristorante
fast food, può solo chiedere di avere un hamburger senza contenitore per evitare
l’esposizione ai PFAS” sostengono gli autori dello studio. “Purtroppo non c’è un modo
semplice per capire se la confezione contiene composti chimici fluorurati.”
Altri rimedi risultano piuttosto drastici: “Le persone che desiderano ridurre
l’esposizione possono estrarre l’alimento dalla confezione il più velocemente
possibile. O ancora, chiedere che patatine fritte e dessert vengano serviti in un
bicchiere di carta o in un sacchetto di carta, ovvero quello solitamente destinato al
contatto non diretto con gli alimenti”.
Più di ogni altra cosa, gli autori dello studio invitano i consumatori a fare pressione
sulle catene di fast food per chiedere di utilizzare materiali senza sostanze chimiche
fluorurate. “Lo studio fornisce un motivo in più per sostenere che per la nostra salute
conviene mangiare più cibo più fresco e pasti cucinati in casa ” dice Laurel
Schaider, ricercatrice del Silent Spring Institute di Newton, Massachusetts tra gli
autori dello studio, “Ma è difficile evitare la convenienza di un pranzo fast food,
soprattutto quando si ha poco tempo per cucinare”.
La situazione dei contaminanti in carta e cartone è critica anche in Italia
Anche Altroconsumo, insieme a un gruppo di associazioni di consumatori europee,
ha condotto uno studio simile, ricercando i PFAS negli imballaggi di carta e cartone
usati dalle principali catene di fast food. Sono stati prelevati 65 imballaggi in 5 Paesi
europei e la situazione è apparsa altrettanto preoccupante: in più della metà dei
campioni prelevati sono presenti i PFAS, e in un terzo sono stati addirittura aggiunti
intenzionalmente.
Uno degli aspetti più preoccupanti è la mancanza di una legge europea sulla
composizione degli imballaggi di carta e cartone in relazione a questi
contaminanti. Proprio poco tempo fa, come trattato da Il Fatto Alimentare, è
balzata agli onori della cronaca la vicenda dell’inquinamento di PFAS da parte di
un’azienda chimica localizzata in Veneto. C’è anche uno studio realizzato dal
registro nascite della regione che mette in luce i danni alla salute, rilevati su donne
incinte e neonati, causati dall’inquinamento delle acque da sostanze
perfluoroalchiliche. Secondo il documento “emerge come siano stati evidenziati in
particolare l’incremento del diabete gestazionale, dei nati con peso molto basso
alla nascita, dei nati piccoli e di alcune malformazioni maggiori, tra cui anomalie del
sistema nervoso, del sistema circolatorio e cromosomiche, pur osservando che le
malformazioni sono eventi rari che necessitano di un arco temporale di valutazione
più esteso per giungere a più sicure affermazioni”. (Articolo di Luca Foltran)
Fonte: www.ilfattoalimentare.it
Sushi e sashimi: i consigli e i segreti per riconoscere quando il pesce crudo servito
nei ristoranti è sicuro.
Si continua a mettere in dubbio la qualità e la sicurezza del pesce usato in alcuni
ristoranti di sushi all you can eat
La questione della sicurezza e della qualità del pesce crudo servito nei ristoranti all
you can eat orientali torna alla ribalta con un’inchiesta condotta a Milano dalle
Iene. Prima erano stati gli svizzeri di Patti Chiari a condurre un’indagine analoga nei
sushi bar del Canton Ticino. Alcuni mesi fa, invece, è stato il cosiddetto “mal di sushi”
a finire sui giornali. Allora gli all you can eat erano stati accusati di essere i principali
responsabili di numerosi casi di sindrome sgombroide, un’intossicazione alimentare
causata da un eccesso di istamina e attribuita alla cattiva conservazione del pesce.
Ma quando si entra in un locale che serve sushi e sashimi, si può valutare la sicurezza
del cibo servito? La prima cosa da fare è controllare la postazione dove viene
preparato il pesce crudo, che di solito in questo tipo di ristoranti è ben in vista. Un
buon indice della professionalità del sushi chef e del livello di igiene in cucina è
rappresentato dalle condizioni della vetrinetta refrigerata in cui viene conservato il
pesce utilizzato per preparare i piatti. Il vetro e le superfici devono essere
perfettamente pulite, ordinate. Per verificare se la vetrina è refrigerata basta
appoggiare una mano sul vetro.
Ordine e pulizia devono farla da padrone nella postazione di lavoro del sushi chef
Se è possibile conviene dare un’occhiata anche alla postazione di lavoro dello chef
e al bancone. Anche qui ordine e pulizia devono farla da padrone e, in particolare,
il tagliere in polietilene su cui si prepara il sushi deve essere bianco quanto più
possibile. Incrostazioni e colorazioni sospette rivelano un lavaggio irregolare e
insufficiente che non lascia ben sperare. Superfluo ricordare che grembiuli e
strofinacci devono essere possibilmente bianchi e puliti, mentre il cappello o la
fascia sulla la testa per coprire i capelli sono elementi obbligatori.
Un elemento da prendere in seria considerazione è l’odore. La puzza di pesce è un
indice negativo che dovrebbe insospettire. Il ristorante non è una pescheria e, in
ogni caso quando, si cucina pesce fresco e la cucina è dotata come prescrive la
norma di legge di cappe di aspirazioni adeguate, in sala non ci devono essere odori
sgradevoli.
Se si vuole valutare la freschezza del pesce, è meglio ordinare come primo piatto
del sashimi
Quando si decide di ordinare il pesce crudo, si dovrebbe sempre iniziare dal sashimi.
Il piatto, non necessitando di condimenti, permette di valutare meglio la freschezza
della materia prima. Il pesce fresco e adeguatamente conservato deve essere
lucido e inodore. Anche la consistenza della carne è un elemento importante per
identificare pesce fresco conservato correttamente: al tatto deve apparire
compatto, freddo e non appiccicoso. Al contrario quando la materia prima viene
conservata male o rimane a lungo fuori dal frigorifero il pesce emana un forte
odore. Anche il tono della muscolatura risulta rilassato, il pesce si fraziona
facilmente, risulta gommoso, viscido e si nota una sostanza collosa al tatto. Alcuni
locali per riciclare il pesce che ormai ha qualche giorno e ha un odore poco
invitante, lo fanno marinare con salsa di soia o altre salse molto aromatiche. In
questo modo i filetti perdono quella punta di odore sgradevole e possono essere
serviti tranquillamente al tavolo come uramaki o California roll.
Per quanto riguarda il sushi, come si fa a distinguere una porzione preparata il
giorno prima e conservata in frigorifero da quello fatto al momento? In genere
quando il sushi è “vecchio” il pesce ha un aspetto opaco, mentre il riso al contrario
assume un aspetto vitreo. I chicchi tendono ad incollarsi l’un l’altro, dando al
prodotto una consistenza molto più compatta, rispetto a quello appena preparato
dallo chef.
Fonte: www.ilfattoalimentare.it
Dalla Spagna un nuovo metodo fluorescente per misurare i livelli di mercurio nei
pesci. I risultati di una ricerca dell’Università di Burgos.
In Spagna è stato sviluppato un nuovo metodo per rilevare il mercurio nel pesce
che sfrutta un polimero fluorescente
I ricercatori dell’Università di Burgos (Spagna) hanno sviluppato un polimero
fluorescente, chiamato JG25, che si illumina a contatto con il mercurio presente nel
pesce. Lo sviluppo della ricerca è stato pubblicato sulla rivista Chemical
Communications.
Il mercurio presente nell’ambiente proviene da fonti naturali ma negli ultimi decenni
gli scarichi industriali hanno causato un aumento delle concentrazioni di questo
metallo tossico in alcune zone del mare. Nella catena alimentare può essere diluito
sia in forma organica, come metilmercurio, sia in forma inorganica.
“Il polimero rimane in contatto con campioni estratti direttamente dal pesce per
circa 20 minuti e dopo essere stato irradiato con luce ultravioletta emette una luce
bluastra, che varia di intensità proporzionalmente alla quantità di metilmercurio e
mercurio inorganico presente nel pesce”, spiega Tomás Torroba, autore principale
della pubblicazione.
La nuova tecnica di analisi può essere utilizzata anche al di fuori del laboratorio,
perché sfrutta uno strumento portatile.
La tecnica si applica attraverso uno strumento portatile, che consente l’analisi in situ.
La relazione qualitativa tra i livelli di mercurio nel pesce e l’aumento della
fluorescenza è stata verificata mediante analisi chimica.
La ricerca ha dimostrato che più grande è il pesce e più alti sono i livelli del metallo
tossico: tra una e due parti per milione (ppm) nel pesce spada, tonno e palombo,
circa 0,5 ppm nei gronghi e 0,2 ppm nel panga. Nessuna traccia di mercurio è stata
trovata nel salmone d’allevamento, dove non ci sono fonti industriali o naturali di
mercurio. (Articolo di Beniamino Bonardi)
Fonte: ilfattoalimentare.it
Ogm: il solco tra l’azione di governo e l’indirizzo del Parlamento.
Presso la Commissione Agricoltura del Senato, nella seduta dell’otto marzo 2017, il
vice Ministro per le Politiche agricole, Olivero, delegato a rispondere anche in nome
dei Ministri dell’Ambiente e della Salute, ha replicato all’interrogazione S3-03491,
sottoscritta dalla senatrice Fattori (M5S) e altri, in materia di organismi
geneticamente modificati.
Nella premessa dell’atto di controllo si ricorda sia che nella corrente legislatura in
tema di OGM le Camere si sono costantemente espresse avverso allo sviluppo delle
colture transgeniche nel nostro Paese e sia che la direttiva 2015/412/UE1, entrata in
vigore il 2 aprile dello stesso anno, consente agli Stati membri di decidere
sull’immissione nel proprio territorio di organismi geneticamente modificati. Direttiva
valutata dalle Istituzioni come successo politico in difesa dell’eccezionale
biodiversità e della specificità ed eccellenza dell’agroalimentare italiano.
Gli interroganti svolgono quindi alcune considerazioni.
Le considerazioni degli interroganti
Un considerevole numero di atti d’indirizzo (per la precisione si contano 167 atti, dei
quali 118 alla Camera e 49 al Senato) ha variamente impegnato il Governo a
prendere posizioni nette rispetto al mais geneticamente modificato prodotto dalle
società Monsanto Company (Mon810)2 e Pioneer (TC1507)3, che, rispettivamente,
richiedono un prolungamento dell’autorizzazione e un’autorizzazione.
Si aggiunga che tali orientamenti hanno visto nel tempo l’emanazione di due
decreti interministeriali di divieto d’introduzione in agricoltura del Mon810: il decreto
12 luglio 20134 e il decreto di proroga del 22 gennaio 20155.
Così proseguono le considerazioni contenute nell’interrogazione. In particolare, il
Senato ha impegnato il Governo, contro il Mon810, con l’ordine del giorno G1 alla
mozione 1-00042, approvato nella seduta n. 25 del 21 maggio 2013, “ad adottare la
clausola di salvaguardia prevista dall’articolo 23 della direttiva 2001/18/CE e/o ad
adottare la misura cautelare di cui all’articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003,
in base alla procedura prevista dall’articolo 54 del regolamento (CE) n. 178/2002, a
tutela della salute umana, dell’ambiente e del modello economico e sociale del
settore agroalimentare italiano”; relativamente all’autorizzazione, in sede europea,
richiesta da Pioneer per l’OGM TC1507, era votata presso la Commissione
permanente Agricoltura dello stesso Senato una risoluzione che impegnava il
Governo: “a esprimere in sede europea voto negativo nei confronti
dell’autorizzazione alla coltivazione del mais TC1507″.
Peraltro agli interroganti risulta che il 27 gennaio 2017, era prevista una riunione del
Comitato permanente e del Comitato di regolazione in seno all’Unione europea per
prorogare l’autorizzazione per il Mon810 e per autorizzare ex novo il mais Bt11 e il
TC1507. Inoltre in pari data l’AGRAPRESS” informava che “si è tenuta oggi per la
prima volta la riunione congiunta del comitato permanente sugli OGM e quello di
regolazione previsto dalla nuova direttiva comunitaria in materia per discutere, tra
gli altri punti all’ordine del giorno, del rinnovo dell’autorizzazione del mais Mon810 e
dell’autorizzazione dei mais 1507 e Bt11. La nuova direttiva (2015/412), che prevede
la possibilità di opt-out per gli Stati membri che non vogliono coltivare un
determinato OGM sul proprio territorio e che era stata pensata per sbloccare il
processo decisionale sui prodotti transgenici in realtà non ha dato il risultato sperato,
non essendosi formata una maggioranza sufficiente a favore o contro. Dodici stati
membri hanno votato no alla ri-autorizzazione del Mon810, 10 a favore, e 6 si sono
astenuti.
Per quanto riguarda le autorizzazioni di mais Gm 1507 e Bt11, 13 Stati membri hanno
votato contro, 8 a favore e 7 si sono astenuti. In tutte e tre i casi, a quanto riferiscono
autorevoli fonti di stampa, l’Italia ha votato a favore dell’autorizzazione. Adesso, la
questione sarà portata nella commissione d’appello”.
Occorre altresì tener conto della posizione dell’Italia del tutto favorevole alle
autorizzazioni, che però non hanno raggiunto la necessaria maggioranza
qualificata, ponendo di nuovo tutto nelle mani della Commissione europea che
potrà decidere arbitrariamente, anche se nel voto previsto a luglio 2017 dovesse
mancare tale tipo di maggioranza. Appare però palese la violazione degli atti
d’indirizzo parlamentare asseverato, secondo quanto risulta agli interroganti, anche
da documentazione interna al Ministero dell’ambiente. Ciò anche in considerazione
di una risposta che, come risulta agli interroganti, sarebbe stata fornita a seguito
della richiesta della dottoressa Annarita Mosetti del Ministero della salute dal dottor
Carlo Zaghi della Direzione generale per le valutazioni e autorizzazioni ambientali. In
detta risposta si farebbe riferimento a un parere dell’ISPRA (Istituto superiore per la
protezione e la ricerca ambientale) sul Bt11 e il TC 1507 non ancora reso pubblico,
del 24 gennaio 2017, a seguito del quale si propone l’astensione nella votazione per
il Bt11 e il TC 1507, in seno al comitato permanente e di una votazione favorevole
eventuale in caso di “proposte da adottare ai sensi della Ce 18/2001″; si
sostanzierebbe, dunque, un parere di carattere politico effettuato da un dirigente.
Sin qui le premesse per pervenire finalmente al quesito rivolto ai Ministri competenti
per sapere se gli stessi siano a conoscenza del risultato delle suddette votazioni e
delle indicazioni di voto che sarebbero state date internamente al Ministero
dell’ambiente; quali siano le motivazioni che giustifichino la circostanza verificatasi,
anche in considerazione del fatto che, a parere degli interroganti, l’azione politica
esercitata non rispetterebbe le indicazioni d’indirizzo fornite dal Parlamento; quali
siano le intenzioni di voto che saranno esercitate nel corso della citata prossima
riunione del comitato permanente prevista per il mese di luglio 2017.
La risposta del Governo
Questa la risposta verbale del rappresentante del Governo: riguardo ai mais
transgenici di cui si parla, il MIPAAF, di concerto con i Ministeri dell’Ambiente e della
Salute, il 30 settembre 2015, ha già ottenuto il divieto di coltivazione su tutto il
territorio nazionale, in applicazione delle misure transitorie della direttiva europea del
2015, accolta dall’Italia con l’emanazione del decreto legislativo n. 227 del 20166.
Infatti nelle proposte della Commissione oggetto dell’interrogazione è confermata
l’esclusione del territorio italiano dagli ambiti geografici di coltivazione dei mais
transgenici in questione.
D’altra parte, la nuova normativa nazionale del 2016, in attuazione della direttiva
europea, prevede ora un meccanismo che consente all’Italia di scegliere se limitare
o vietare su tutto il territorio nazionale o parte di esso le coltivazioni di OGM una
volta autorizzate a livello dell’Unione europea.
Secondo il meccanismo introdotto, in sostanza, il divieto di coltivazione è deciso
dallo Stato membro anche alla presenza di un’autorizzazione europea.
In ogni caso ai fini della definizione della posizione nazionale assunta in sede di
Comitato, proprio in considerazione della circostanza che le proposte della
Commissione non riguardavano il territorio italiano già escluso dalla coltivazione dei
mais transgenici dal 30 settembre 2015, il MIPAAF aveva in prima battuta proposto
un voto di astensione. Lo stesso vice Ministro ha detto in anteprima che è intenzione
del MIPAAF confermare tale orientamento in occasione della proposta che
riguarderà il successivo Comitato di appello.
Con riguardo, infine, agli aspetti procedimentali, lo stesso Olivero ha precisato che
la proposta di voto favorevole espressa dalla delegazione italiana è stata
preceduta, come avviene per tutti i casi di definizione della posizione di uno Stato
membro, da incontri tecnici tra le Amministrazioni centrali competenti (MIPAAF e
Ministeri della Salute e dell’Ambiente) per esprimere una posizione approvata dai
relativi organi politici durante la sessione di voto.
In sede di replica la senatrice Fattori si è dichiarata parzialmente soddisfatta della
risposta. Nel prendere atto delle informazioni fornite e dell’attenzione destinata
all’importante tema della disciplina degli organismi geneticamente modificati, ha
auspicato che la posizione di astensione preannunciata dal Governo italiano nella
prossima riunione del Comitato di appello nell’ambito dell’Unione europea sulle
coltivazioni di OGM – diversamente da quella favorevole assunta in sede di
Comitato – sia confermata e sostenuta oltre che dal Ministero delle politiche
agricole alimentari e forestali, anche da quelli della salute e dell’ambiente.
Bruno Nobile
Note
1_ Direttiva (UE) 2015/412 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2015 che modifica la
direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la
coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul loro territorio. La direttiva 2015/412
inserisce due nuovi articoli (26 ter e 26 quater) nel corpo della direttiva 2001/18/CE, prevedendo che
gli Stati membri, durante la procedura europea di autorizzazione all’immissione in commercio,
possano intervenire in prima istanza chiedendo all’azienda interessata – per il tramite della
Commissione – di adeguare l’ambito geografico dell’evento transgenico in modo che la sua
coltivazione sia esclusa totalmente, o in parte, dal proprio territorio nazionale. Nel caso in cui non sia
accettato l’adeguamento richiesto dallo Stato membro, questo può adottare provvedimenti
nazionali che vietano o limitano la coltivazione dell’OGM in questione in conformità a motivi che
esulano da quelli già esaminati dall’EFSA nel corso della valutazione del rischio e che sono connessi
a: obiettivi di politica ambientale; pianificazione urbana e territoriale; uso del suolo; impatti socio-
economici; esigenza di evitare la presenza di OGM in altri prodotti; obiettivi di politica agricola; e,
infine d’ordine pubblico.
2_ Il MON 810 è un mais geneticamente modificato. Si tratta di una linea di Zea
mays geneticamente modificata (OGM) prodotta dalla società Monsanto Company con la
capacità di combattere la perdita di raccolto causata dagli insetti.
3_ Con la risoluzione, approvata con 385 voti favorevoli, 201 contrari e 30 astensioni nel gennaio 2014,
il Parlamento europeo ha asserito che il mais “Pioneer 1507″ geneticamente modificato non
dovrebbe essere immesso sul mercato per la coltivazione, perché il suo polline resistente agli insetti
potrebbe danneggiare le farfalle e le falene. I parlamentari europei hanno chiesto al Consiglio dei
Ministri dell’UE di respingere la a proposta di autorizzazione, contestualmente sollecitando la
Commissione europea a non proporre o rinnovare le autorizzazioni di qualsiasi varietà OGM fino a
quando non siano stati migliorati i metodi di valutazione del rischio. L’opposizione all’immissione in
commercio nell’UE di questo mais è stata basata dal fatto che tale indicazione non figura nella
proposta della Commissione, come stabilito dalle norme comunitarie sull’emissione deliberata
nell’ambiente di organismi geneticamente modificati. In particolare, la proposta della Commissione
non ha specifica eventuali condizioni per la protezione di particolari ecosistemi/ambienti e/o aree
geografiche, come richiesto dalla normativa.
4_ Decreto interministeriale 12 luglio 2013 (Salute – Ambiente – Politiche agricole): Adozione delle
misure d’urgenza ai sensi dell’art. 54 del regolamento (CE) n. 178/2002 concernenti la coltivazione di
varietà di mais geneticamente modificato MON 810. Dispone l’articolo 1: La coltivazione di varietà di
mais MON810, provenienti da sementi geneticamente modificate è vietata nel territorio nazionale,
fino all’adozione di misure comunitarie di cui all’articolo cinquantaquattro, comma 3 del
regolamento (CE) 178/2002 del 28 gennaio 2002 di cui sopra e comunque non oltre diciotto mesi
dalla data del presente provvedimento. Il presente decreto sarà immediatamente trasmesso alla
Commissione europea e agli Stati membri dell’Unione europea ai sensi dell’articolo 54, comma 1, e
per gli effetti dell’articolo 54, comma 2, del regolamento comunitario
5 Decreto interministeriale 22 gennaio 2015: Proroga del decreto 12 luglio 2013 di adozione delle
misure di urgenza, ai sensi dell’articolo 54 del regolamento (CE) n. 178/2002, concernente la
coltivazione di varietà di mais geneticamente modificato MON810. Dispone l’articolo 1: 1. Il divieto di
coltivazione di varietà di mais MON810, provenienti da sementi geneticamente modificate, di cui al
decreto interministeriale 12 luglio 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana
n. 187 del 10 agosto 2013, rimane in vigore nel territorio nazionale, ai sensi dell’art. 54, paragrafo 3, del
regolamento (CE) n. 178/2002 del 28 gennaio 2002, fino all’adozione delle misure comunitarie previste
dall’art. 54, paragrafo 3, citato e comunque non oltre diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del
presente provvedimento. 2. Il presente decreto sarà immediatamente trasmesso alla Commissione
europea e agli Stati membri dell’Unione europea ai sensi dell’art. 54, paragrafo 1, e per gli effetti
dell’art. 54, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 178/2002.
6 Decreto legislativo 14 novembre 2016, n. 227 (entrato in vigore l’undici dicembre 2016): Attuazione
della direttiva (UE) 2015/412, che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità’
per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM)
sul loro territorio. Fonte: http://www.foodagriculturerequirements.com
Nome o ragione sociale dell’operatore responsabile. Il marchio può bastare? Il
parere dell’avvocato Dario Dongo.
Il regolamento (UE) n. 1169/11 prevede, tra le informazioni obbligatorie in etichetta
dei prodotti alimentari, ‘il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del
settore alimentare di cui all’articolo 8, paragrafo 1‘ (art. 9.1.h). Vale a dire, del
soggetto al quale è riferibile il marchio con cui l’alimento viene presentato.
La circolare del Ministero per lo Sviluppo Economico Prot. 170164/2014 (v. allegato)
ha ipotizzato la possibilità di riferire al marchio registrato o depositato, quale
alternativa al nome o ragione sociale dell’operatore responsabile. A condizione che
lo stesso sia seguito dall’indirizzo completo (e non da quello del fornitore, si noti bene
in caso di ‘private label‘, né da riferimenti a siti web né a codici di iscrizione alla
Camera di Commercio).
Questa soluzione sarebbe stata ‘concordata in seno al Gruppo di Lavoro
Etichettatura’, organizzato dalla Commissione europea con le rappresentanze degli
Stati membri, e consentirebbe ‘per l’Italia, la continuità di fatto con la soluzione
adottata dal D.lgs 109/92 il quale, all’articolo 3, comma 1, lettera e), considerava il
“marchio depositato” come alternativo a “il nome o la ragione sociale”, tra
le indicazioni obbligatorie‘.
Tale ipotesi costituirebbe una vera e propria deroga e non una semplice
interpretazione del requisito d’informazione precisamente espresso nel regolamento
FIC (‘Food Information to Consumers‘). Ed è perciò dubbia la sua legittimità,
quand’anche essa venisse ripresa in un documento della Commissione europea.
I citati incontri del GdL ‘Etichettatura’ non hanno peraltro condotto all’esplicitazione
della predetta deroga in alcun documento ufficiale a livello UE, e perciò se ne
dubita seriamente l’applicabilità. È del resto evidente come una circolare
ministeriale non possa disapplicare un regolamento europeo che, nella gerarchia
delle fonti di diritto, ha un rango superiore a quello delle leggi costituzionali italiane.
Di conseguenza, a umile avviso di chi scrive, permane a tutt’oggi l’obbligo di
precisare in etichetta il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore
responsabile (ai sensi dell’articolo 8 del regolamento FIC), vale a dire il titolare del
marchio con cui il prodotto viene commercializzato, ovvero, in ogni caso e a
prescindere, il distributore e/o l’importatore in UE. Dario Dongo
CIRCOLARE MISE Prot_170164_2014
Fonte: http://www.foodagriculturerequirements.com
Ci possiamo fidare dell’agricoltore?
Con un Decreto Legislativo del 2001 gli agricoltori sono stati autorizzati a vendere
direttamente ai cittadini i loro prodotti sia come materie prime sia trasformati. In
pratica il contadino può vendere la verdura, la frutta, la carne, il latte da lui prodotti,
ma anche le marmellate, il formaggio o i salumi che ottiene da lavorazioni
artigianali nella propria azienda senza particolari vincoli per quanto riguarda le
strutture ed il personale utilizzati per la vendita.
Ovviamente deve rispettare tutte le norme previste dalla legge per garantire la
sicurezza igienico sanitaria ai prodotti che mette in vendita.
Benefici importanti sono un regime fiscale agevolato ed anche la possibilità di
vendere una percentuale di prodotti “estranei” alla propria azienda.
Con la vendita diretta si saltano le varie intermediazione e quindi i costi si riducono
molto; insomma si tratta di un sistema che sembra essere molto utile per la nostra
asfittica “agrozootecnia” e, almeno teoricamente, anche per i consumatori.
Nella maggior parte dei casi non si tratta di prodotti tipici (DOP, DOC, IGP, ecc.) e
neanche di prodotti biologici che, come è noto, per potersi fregiare delle specifiche
denominazioni debbono essere preventivamente controllati dai consorzi (prodotti
tipici) o da enti di certificazione (prodotti biologici).
Tutte le produzioni agricole e zootecniche sono sotto controllo, ma un ruolo
importante e fondamentale è rappresentato dal contadino e dall’allevatore che
deve lavorare con scrupolo ed osservare le norme di legge in materia di concimi,
pesticidi, farmaci veterinari, ecc.
Nei casi in cui gli alimenti passano attraverso i mercati generali o direttamente alla
grande distribuzione, ci sono dei controlli aggiuntivi che invece mancano
nell’acquisto diretto dal produttore.
Sulla base di quanto detto è molto importante il rapporto di fiducia che si instaura
tra cliente e venditore ed è chiaro l’interesse proprio del venditore a “fidelizzare” il
cliente.
Un aspetto che dovrebbe essere chiarito riguarda la vendita degli alimenti non
prodotti in azienda e magari acquisita ai mercati generali
Quando viene messa in vendita frutta esotica è facile capire che non si tratta di
produzioni aziendali. Quando invece si tratta di mele, carciofi, pomodori, frutta
secca, ecc., non tutti sono in grado di capire se effettivamente si tratta di prodotti
“aziendali”. Se una azienda non ha le serre è difficile che produca pomodori,
melanzane, zucchine o fagiolini nel mese di febbraio. Altrettanto difficilmente potrà
produrre salumi e formaggi senza adeguate strutture di trasformazione.
Il consumatore dovrebbe poter avere la possibilità di visitare l’azienda e rendersi
conto di persona di cosa si sta producendo in quel momento.
Come accennato la via d’uscita per il venditore è la possibilità di cedere anche
prodotti extraaziendali. E qui può nascere l’inganno. Per andare incontro ai desideri
dei propri clienti il contadino può acquistare quello che non produce al mercato
generale e metterlo in vendita.
Per una maggiore trasparenza sarebbe opportuna una separazione tra gli alimenti
sia di produzione aziendale e quelli “esterni”. In questo modo il consumatore ha la
possibilità di scelta e magari alcuni prodotti può acquistarli dove ritiene più
conveniente.
A parte la separazione dovrebbe essere necessario definire le quantità massime di
prodotti extra aziendali che si possono vendere.
Può sorgere il sospetto che qualche contadino mette in vendita una minima
quantità dei suoi prodotti ed il resto lo acquista.
Si tratterebbe di una frode ai cittadini ed anche di concorrenza sleale nei confronti
dei commercianti che vendono le stesse cose pagandoci sopra le tasse.
Ai Ministri competenti, a cui si trasmette questa nota, si richiede di chiarire se
esistono dei limiti nella vendita di derrate alimentari di produzioni extra aziendali e
quali iniziative sono in atto per controllare le attività di vendita diretta. (Dal blog di
Agostino Macrì)
Fonte: sicurezzalimentare.it

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  • 1. News 11/SA/2017 Lunedì, 13 Marzo 2017 Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi Nella settimana n.10 del 2017 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 57 (4 quelle inviate dal Ministero della salute italiano). Tra i lotti respinti alla frontiera si segnalano: notificati dall’Italia per migrazione di manganese da pentole a pressione provenienti dalla Cina; per pesce congelato Hilsa Kelee proveniente dal Vietnam etichettato in modo errato come Sardinella Gibossa; per sostanza non autorizzata procimidone in cetrioli provenienti dall’Egitto e per l’irradiazione non autorizzata di lievito di riso rosso in polvere proveniente dalla Cina. Notificati dall’Olanda per aflatossine in semi di arachidi provenienti dalla Cina, per Salmonella in filetti di petto di pollo salato dissossato e senza pelle congelato proveniente dal Brasile, per aflatossine in semi di arachidi provenienti dall’Argentina e per aflatossine in semi di arachidi provenienti dagli Stati Uniti; notificati dal Regno Unito per lievito di riso rosso organizzato non autorizzato geneticamente modificato (CryIAb-gene SYBR®Green) proveniente dalla Cina e per Salmonella in foglie di betel dall’India; notificato dalla Francia per aflatossine in pistacchi con guscio provenienti dagli Stati Uniti; notificato dalla Polonia per aflatossine in arachidi con guscio provenienti dalla Cina; notificato dalla Bulgaria per procloraz in melograni provenienti dalla Turchia. Allerta notificati dall’Olanda per frammento di vetro in piselli in salamoia provenienti dall’Olanda, per aflatossine in burro di arachidi proveniente dall’Olanda, per aflatossine in burri di arachidi proveniente dal Senegal e per senape non dichiarata in gamberi tigre bianca aioli provenienti dall’Olanda; dalla Svizzera per ocratossina A in fichi secchi provenienti dalla Spagna, via Germania; dal Belgio per soia non dichiarata in barbecue aromatizzato per patatine fritte proveniente dal Belgio e per senape non dichiarata e etichettatura non corretta su stufato di manzo proveniente dal Belgio; dalla Francia per norovirus (GG I) in lamponi congelati provenienti dalla Serbia, via Belgio e per Listeria monocytogenes in nems refrigerati provenienti dalla Francia; dal Regno Unito per noci non dichiarate in estratto di mandorla amara
  • 2. etichettato come libero da allergeni provenienti dal Regno Unito; dalla Lituania per Salmonella enterica ser. Enteritidis in quarti di carne congelati provenienti dalla Polonia; dall’Irlanda per solfiti non dichiarati e senape in chutney di pomodoro erroneamente etichettato come marmellata di fragole proveniente dall’Irlanda; dalla Germania per etefon in peperoni congelati tagliati a cubetti provenienti dalla Polonia; dalla Danimarca per Salmonella in filetti di pollo congelati salati provenienti dalla Tailandia, via Olanda; da Malta per solfiti non dichiarati in uva passa dal Cile, via Olanda. Nella lista delle informative troviamo notificate: dalla Svezia per Salmonella in carne di agnello proveniente dal Regno Unito; dalla Repubblica Ceca per Salmonella in maiale macinato refrigerato e mix di manzo proveniente dalla Polonia; dalla Norvegia per Salmonella enterica ser. Stanley in foglie di betel provenienti dalla Cambodia, via Vietnam; dalla Svizzera per cadmio in tubi di calamari congelati (Loligo spp) proveniente dalla Tailandia; dalla Grecia per contenuto troppo alto di solfiti in gamberetti rosa da acqua profonda interi congelati (Parapenaus longirostris) provenienti dalla Turchia; dal Belgio per migrazione di melamina da piatto di plastica proveniente da Hong Kong. Fonte: rasff.eu Contaminanti in carta e cartone: in Usa un terzo degli imballaggi contiene composti chimici fluorurati. Anche in Italia la situazione è critica. Quando ordiniamo qualcosa in un fast food, sappiamo esattamente quello che stiamo ricevendo: un pasto economico con un ottimo sapore, probabilmente ricco di grassi, colesterolo e sodio. Secondo un rapporto pubblicato nella rivista Environmental Science and Technology Letters anche l’imballaggio in cui il cibo viene servito potrebbe avere un impatto negativo sulla salute. Lo studio, condotto su oltre 400 prodotti di carta a contatto con gli alimenti prelevati da fast food in tutti gli Stati Uniti, ha rilevato la presenza di composti chimici fluorurati in un terzo degli imballaggi. Queste sostanze chimiche – denominate tecnicamente composti perfluoroalchilici ed indicati con la sigla PFAS – sono molecole artificiali che non esistono in natura e vengono utilizzate per le ottime proprietà di essere impermeabili ai grassi. Oltre che nel settore food, i prodotti chimici fluorurati vengono utilizzati per resistere all’acqua, alle macchie e per le proprietà antiaderenti a prodotti come mobili, tappeti, attrezzature da giardino, indumenti, cosmetici e pentole antiaderenti. Il
  • 3. composto più noto del gruppo di PFAS, l’acido perfluoroottanoico (PFOA) è stato collegato a problemi renali, cancro ai testicoli, colesterolo elevato, diminuzione della fertilità, problemi alla tiroide e cambiamenti nel funzionamento ormonale, ma sono stati rilevati anche effetti avversi sullo sviluppo e diminuzione della risposta immunitaria nei bambini. Ulteriori studi hanno dimostrato che queste sostanze possono facilmente migrare dagli imballaggi alimentari nel cibo. Il grado di migrazione dipende dalla temperatura del cibo, dal tipo di alimento e dal tempo di contatto con il contenitore. Se presenti, i contaminanti PFAS possono migrare dagli imballaggi alimentari al cibo. Nello studio le tipologie di imballaggio sono stati suddivise in sei categorie: carta a contatto con gli alimenti (involucri usati per panini e sacchetti di pasticceria), cartone destinato al contatto diretto con alimenti (scatole per patatine fritte o pizza), carta senza contatto (sacchetti esterni), bicchieri di carta, altri contenitori di bevande (lattine e contenitori succo) e vari (coperchi). I risultati peggiori sono stati rilevati nella carta a diretto contatto con gli alimenti con il 46% di tutti i campioni risultati positivi per il fluoro, seguita dai contenitori in cartone (20%) e da altri contenitori di bevande (16%). Invece, nelle carte non destinate al contatto diretto con alimenti, nei bicchieri di carta e nei coperchi tutti i risultati sono stati negativi. “Nessuna sorpresa” sostiene Lynn M. Dyer, presidente del Foodservice Packaging Institute negli Stati Uniti. “Per il confezionamento nei fast food sono necessari imballaggi con un rivestimento barriera, e l’impiego di queste sostanze è normale”. Il consumatore cosa può fare? “Una volta che si è scelto di mangiare in un ristorante fast food, può solo chiedere di avere un hamburger senza contenitore per evitare l’esposizione ai PFAS” sostengono gli autori dello studio. “Purtroppo non c’è un modo
  • 4. semplice per capire se la confezione contiene composti chimici fluorurati.” Altri rimedi risultano piuttosto drastici: “Le persone che desiderano ridurre l’esposizione possono estrarre l’alimento dalla confezione il più velocemente possibile. O ancora, chiedere che patatine fritte e dessert vengano serviti in un bicchiere di carta o in un sacchetto di carta, ovvero quello solitamente destinato al contatto non diretto con gli alimenti”. Più di ogni altra cosa, gli autori dello studio invitano i consumatori a fare pressione sulle catene di fast food per chiedere di utilizzare materiali senza sostanze chimiche fluorurate. “Lo studio fornisce un motivo in più per sostenere che per la nostra salute conviene mangiare più cibo più fresco e pasti cucinati in casa ” dice Laurel Schaider, ricercatrice del Silent Spring Institute di Newton, Massachusetts tra gli autori dello studio, “Ma è difficile evitare la convenienza di un pranzo fast food, soprattutto quando si ha poco tempo per cucinare”. La situazione dei contaminanti in carta e cartone è critica anche in Italia Anche Altroconsumo, insieme a un gruppo di associazioni di consumatori europee, ha condotto uno studio simile, ricercando i PFAS negli imballaggi di carta e cartone usati dalle principali catene di fast food. Sono stati prelevati 65 imballaggi in 5 Paesi europei e la situazione è apparsa altrettanto preoccupante: in più della metà dei campioni prelevati sono presenti i PFAS, e in un terzo sono stati addirittura aggiunti intenzionalmente. Uno degli aspetti più preoccupanti è la mancanza di una legge europea sulla composizione degli imballaggi di carta e cartone in relazione a questi contaminanti. Proprio poco tempo fa, come trattato da Il Fatto Alimentare, è balzata agli onori della cronaca la vicenda dell’inquinamento di PFAS da parte di un’azienda chimica localizzata in Veneto. C’è anche uno studio realizzato dal registro nascite della regione che mette in luce i danni alla salute, rilevati su donne
  • 5. incinte e neonati, causati dall’inquinamento delle acque da sostanze perfluoroalchiliche. Secondo il documento “emerge come siano stati evidenziati in particolare l’incremento del diabete gestazionale, dei nati con peso molto basso alla nascita, dei nati piccoli e di alcune malformazioni maggiori, tra cui anomalie del sistema nervoso, del sistema circolatorio e cromosomiche, pur osservando che le malformazioni sono eventi rari che necessitano di un arco temporale di valutazione più esteso per giungere a più sicure affermazioni”. (Articolo di Luca Foltran) Fonte: www.ilfattoalimentare.it Sushi e sashimi: i consigli e i segreti per riconoscere quando il pesce crudo servito nei ristoranti è sicuro. Si continua a mettere in dubbio la qualità e la sicurezza del pesce usato in alcuni ristoranti di sushi all you can eat La questione della sicurezza e della qualità del pesce crudo servito nei ristoranti all you can eat orientali torna alla ribalta con un’inchiesta condotta a Milano dalle Iene. Prima erano stati gli svizzeri di Patti Chiari a condurre un’indagine analoga nei sushi bar del Canton Ticino. Alcuni mesi fa, invece, è stato il cosiddetto “mal di sushi” a finire sui giornali. Allora gli all you can eat erano stati accusati di essere i principali responsabili di numerosi casi di sindrome sgombroide, un’intossicazione alimentare causata da un eccesso di istamina e attribuita alla cattiva conservazione del pesce. Ma quando si entra in un locale che serve sushi e sashimi, si può valutare la sicurezza del cibo servito? La prima cosa da fare è controllare la postazione dove viene preparato il pesce crudo, che di solito in questo tipo di ristoranti è ben in vista. Un buon indice della professionalità del sushi chef e del livello di igiene in cucina è rappresentato dalle condizioni della vetrinetta refrigerata in cui viene conservato il pesce utilizzato per preparare i piatti. Il vetro e le superfici devono essere
  • 6. perfettamente pulite, ordinate. Per verificare se la vetrina è refrigerata basta appoggiare una mano sul vetro. Ordine e pulizia devono farla da padrone nella postazione di lavoro del sushi chef Se è possibile conviene dare un’occhiata anche alla postazione di lavoro dello chef e al bancone. Anche qui ordine e pulizia devono farla da padrone e, in particolare, il tagliere in polietilene su cui si prepara il sushi deve essere bianco quanto più possibile. Incrostazioni e colorazioni sospette rivelano un lavaggio irregolare e insufficiente che non lascia ben sperare. Superfluo ricordare che grembiuli e strofinacci devono essere possibilmente bianchi e puliti, mentre il cappello o la fascia sulla la testa per coprire i capelli sono elementi obbligatori. Un elemento da prendere in seria considerazione è l’odore. La puzza di pesce è un indice negativo che dovrebbe insospettire. Il ristorante non è una pescheria e, in ogni caso quando, si cucina pesce fresco e la cucina è dotata come prescrive la norma di legge di cappe di aspirazioni adeguate, in sala non ci devono essere odori sgradevoli. Se si vuole valutare la freschezza del pesce, è meglio ordinare come primo piatto del sashimi
  • 7. Quando si decide di ordinare il pesce crudo, si dovrebbe sempre iniziare dal sashimi. Il piatto, non necessitando di condimenti, permette di valutare meglio la freschezza della materia prima. Il pesce fresco e adeguatamente conservato deve essere lucido e inodore. Anche la consistenza della carne è un elemento importante per identificare pesce fresco conservato correttamente: al tatto deve apparire compatto, freddo e non appiccicoso. Al contrario quando la materia prima viene conservata male o rimane a lungo fuori dal frigorifero il pesce emana un forte odore. Anche il tono della muscolatura risulta rilassato, il pesce si fraziona facilmente, risulta gommoso, viscido e si nota una sostanza collosa al tatto. Alcuni locali per riciclare il pesce che ormai ha qualche giorno e ha un odore poco invitante, lo fanno marinare con salsa di soia o altre salse molto aromatiche. In questo modo i filetti perdono quella punta di odore sgradevole e possono essere serviti tranquillamente al tavolo come uramaki o California roll. Per quanto riguarda il sushi, come si fa a distinguere una porzione preparata il giorno prima e conservata in frigorifero da quello fatto al momento? In genere quando il sushi è “vecchio” il pesce ha un aspetto opaco, mentre il riso al contrario assume un aspetto vitreo. I chicchi tendono ad incollarsi l’un l’altro, dando al prodotto una consistenza molto più compatta, rispetto a quello appena preparato dallo chef. Fonte: www.ilfattoalimentare.it Dalla Spagna un nuovo metodo fluorescente per misurare i livelli di mercurio nei pesci. I risultati di una ricerca dell’Università di Burgos. In Spagna è stato sviluppato un nuovo metodo per rilevare il mercurio nel pesce che sfrutta un polimero fluorescente I ricercatori dell’Università di Burgos (Spagna) hanno sviluppato un polimero fluorescente, chiamato JG25, che si illumina a contatto con il mercurio presente nel
  • 8. pesce. Lo sviluppo della ricerca è stato pubblicato sulla rivista Chemical Communications. Il mercurio presente nell’ambiente proviene da fonti naturali ma negli ultimi decenni gli scarichi industriali hanno causato un aumento delle concentrazioni di questo metallo tossico in alcune zone del mare. Nella catena alimentare può essere diluito sia in forma organica, come metilmercurio, sia in forma inorganica. “Il polimero rimane in contatto con campioni estratti direttamente dal pesce per circa 20 minuti e dopo essere stato irradiato con luce ultravioletta emette una luce bluastra, che varia di intensità proporzionalmente alla quantità di metilmercurio e mercurio inorganico presente nel pesce”, spiega Tomás Torroba, autore principale della pubblicazione. La nuova tecnica di analisi può essere utilizzata anche al di fuori del laboratorio, perché sfrutta uno strumento portatile. La tecnica si applica attraverso uno strumento portatile, che consente l’analisi in situ. La relazione qualitativa tra i livelli di mercurio nel pesce e l’aumento della fluorescenza è stata verificata mediante analisi chimica. La ricerca ha dimostrato che più grande è il pesce e più alti sono i livelli del metallo tossico: tra una e due parti per milione (ppm) nel pesce spada, tonno e palombo, circa 0,5 ppm nei gronghi e 0,2 ppm nel panga. Nessuna traccia di mercurio è stata trovata nel salmone d’allevamento, dove non ci sono fonti industriali o naturali di mercurio. (Articolo di Beniamino Bonardi) Fonte: ilfattoalimentare.it Ogm: il solco tra l’azione di governo e l’indirizzo del Parlamento. Presso la Commissione Agricoltura del Senato, nella seduta dell’otto marzo 2017, il vice Ministro per le Politiche agricole, Olivero, delegato a rispondere anche in nome dei Ministri dell’Ambiente e della Salute, ha replicato all’interrogazione S3-03491, sottoscritta dalla senatrice Fattori (M5S) e altri, in materia di organismi geneticamente modificati.
  • 9. Nella premessa dell’atto di controllo si ricorda sia che nella corrente legislatura in tema di OGM le Camere si sono costantemente espresse avverso allo sviluppo delle colture transgeniche nel nostro Paese e sia che la direttiva 2015/412/UE1, entrata in vigore il 2 aprile dello stesso anno, consente agli Stati membri di decidere sull’immissione nel proprio territorio di organismi geneticamente modificati. Direttiva valutata dalle Istituzioni come successo politico in difesa dell’eccezionale biodiversità e della specificità ed eccellenza dell’agroalimentare italiano. Gli interroganti svolgono quindi alcune considerazioni. Le considerazioni degli interroganti Un considerevole numero di atti d’indirizzo (per la precisione si contano 167 atti, dei quali 118 alla Camera e 49 al Senato) ha variamente impegnato il Governo a prendere posizioni nette rispetto al mais geneticamente modificato prodotto dalle società Monsanto Company (Mon810)2 e Pioneer (TC1507)3, che, rispettivamente, richiedono un prolungamento dell’autorizzazione e un’autorizzazione. Si aggiunga che tali orientamenti hanno visto nel tempo l’emanazione di due decreti interministeriali di divieto d’introduzione in agricoltura del Mon810: il decreto 12 luglio 20134 e il decreto di proroga del 22 gennaio 20155. Così proseguono le considerazioni contenute nell’interrogazione. In particolare, il Senato ha impegnato il Governo, contro il Mon810, con l’ordine del giorno G1 alla mozione 1-00042, approvato nella seduta n. 25 del 21 maggio 2013, “ad adottare la clausola di salvaguardia prevista dall’articolo 23 della direttiva 2001/18/CE e/o ad adottare la misura cautelare di cui all’articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003, in base alla procedura prevista dall’articolo 54 del regolamento (CE) n. 178/2002, a tutela della salute umana, dell’ambiente e del modello economico e sociale del settore agroalimentare italiano”; relativamente all’autorizzazione, in sede europea, richiesta da Pioneer per l’OGM TC1507, era votata presso la Commissione permanente Agricoltura dello stesso Senato una risoluzione che impegnava il Governo: “a esprimere in sede europea voto negativo nei confronti dell’autorizzazione alla coltivazione del mais TC1507″. Peraltro agli interroganti risulta che il 27 gennaio 2017, era prevista una riunione del Comitato permanente e del Comitato di regolazione in seno all’Unione europea per prorogare l’autorizzazione per il Mon810 e per autorizzare ex novo il mais Bt11 e il TC1507. Inoltre in pari data l’AGRAPRESS” informava che “si è tenuta oggi per la prima volta la riunione congiunta del comitato permanente sugli OGM e quello di regolazione previsto dalla nuova direttiva comunitaria in materia per discutere, tra gli altri punti all’ordine del giorno, del rinnovo dell’autorizzazione del mais Mon810 e dell’autorizzazione dei mais 1507 e Bt11. La nuova direttiva (2015/412), che prevede
  • 10. la possibilità di opt-out per gli Stati membri che non vogliono coltivare un determinato OGM sul proprio territorio e che era stata pensata per sbloccare il processo decisionale sui prodotti transgenici in realtà non ha dato il risultato sperato, non essendosi formata una maggioranza sufficiente a favore o contro. Dodici stati membri hanno votato no alla ri-autorizzazione del Mon810, 10 a favore, e 6 si sono astenuti. Per quanto riguarda le autorizzazioni di mais Gm 1507 e Bt11, 13 Stati membri hanno votato contro, 8 a favore e 7 si sono astenuti. In tutte e tre i casi, a quanto riferiscono autorevoli fonti di stampa, l’Italia ha votato a favore dell’autorizzazione. Adesso, la questione sarà portata nella commissione d’appello”. Occorre altresì tener conto della posizione dell’Italia del tutto favorevole alle autorizzazioni, che però non hanno raggiunto la necessaria maggioranza qualificata, ponendo di nuovo tutto nelle mani della Commissione europea che potrà decidere arbitrariamente, anche se nel voto previsto a luglio 2017 dovesse mancare tale tipo di maggioranza. Appare però palese la violazione degli atti d’indirizzo parlamentare asseverato, secondo quanto risulta agli interroganti, anche da documentazione interna al Ministero dell’ambiente. Ciò anche in considerazione di una risposta che, come risulta agli interroganti, sarebbe stata fornita a seguito della richiesta della dottoressa Annarita Mosetti del Ministero della salute dal dottor Carlo Zaghi della Direzione generale per le valutazioni e autorizzazioni ambientali. In detta risposta si farebbe riferimento a un parere dell’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) sul Bt11 e il TC 1507 non ancora reso pubblico, del 24 gennaio 2017, a seguito del quale si propone l’astensione nella votazione per il Bt11 e il TC 1507, in seno al comitato permanente e di una votazione favorevole eventuale in caso di “proposte da adottare ai sensi della Ce 18/2001″; si sostanzierebbe, dunque, un parere di carattere politico effettuato da un dirigente. Sin qui le premesse per pervenire finalmente al quesito rivolto ai Ministri competenti per sapere se gli stessi siano a conoscenza del risultato delle suddette votazioni e delle indicazioni di voto che sarebbero state date internamente al Ministero dell’ambiente; quali siano le motivazioni che giustifichino la circostanza verificatasi, anche in considerazione del fatto che, a parere degli interroganti, l’azione politica esercitata non rispetterebbe le indicazioni d’indirizzo fornite dal Parlamento; quali siano le intenzioni di voto che saranno esercitate nel corso della citata prossima riunione del comitato permanente prevista per il mese di luglio 2017. La risposta del Governo Questa la risposta verbale del rappresentante del Governo: riguardo ai mais transgenici di cui si parla, il MIPAAF, di concerto con i Ministeri dell’Ambiente e della
  • 11. Salute, il 30 settembre 2015, ha già ottenuto il divieto di coltivazione su tutto il territorio nazionale, in applicazione delle misure transitorie della direttiva europea del 2015, accolta dall’Italia con l’emanazione del decreto legislativo n. 227 del 20166. Infatti nelle proposte della Commissione oggetto dell’interrogazione è confermata l’esclusione del territorio italiano dagli ambiti geografici di coltivazione dei mais transgenici in questione. D’altra parte, la nuova normativa nazionale del 2016, in attuazione della direttiva europea, prevede ora un meccanismo che consente all’Italia di scegliere se limitare o vietare su tutto il territorio nazionale o parte di esso le coltivazioni di OGM una volta autorizzate a livello dell’Unione europea. Secondo il meccanismo introdotto, in sostanza, il divieto di coltivazione è deciso dallo Stato membro anche alla presenza di un’autorizzazione europea. In ogni caso ai fini della definizione della posizione nazionale assunta in sede di Comitato, proprio in considerazione della circostanza che le proposte della Commissione non riguardavano il territorio italiano già escluso dalla coltivazione dei mais transgenici dal 30 settembre 2015, il MIPAAF aveva in prima battuta proposto un voto di astensione. Lo stesso vice Ministro ha detto in anteprima che è intenzione del MIPAAF confermare tale orientamento in occasione della proposta che riguarderà il successivo Comitato di appello. Con riguardo, infine, agli aspetti procedimentali, lo stesso Olivero ha precisato che la proposta di voto favorevole espressa dalla delegazione italiana è stata preceduta, come avviene per tutti i casi di definizione della posizione di uno Stato membro, da incontri tecnici tra le Amministrazioni centrali competenti (MIPAAF e Ministeri della Salute e dell’Ambiente) per esprimere una posizione approvata dai relativi organi politici durante la sessione di voto. In sede di replica la senatrice Fattori si è dichiarata parzialmente soddisfatta della risposta. Nel prendere atto delle informazioni fornite e dell’attenzione destinata all’importante tema della disciplina degli organismi geneticamente modificati, ha auspicato che la posizione di astensione preannunciata dal Governo italiano nella prossima riunione del Comitato di appello nell’ambito dell’Unione europea sulle coltivazioni di OGM – diversamente da quella favorevole assunta in sede di Comitato – sia confermata e sostenuta oltre che dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, anche da quelli della salute e dell’ambiente. Bruno Nobile Note 1_ Direttiva (UE) 2015/412 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2015 che modifica la
  • 12. direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul loro territorio. La direttiva 2015/412 inserisce due nuovi articoli (26 ter e 26 quater) nel corpo della direttiva 2001/18/CE, prevedendo che gli Stati membri, durante la procedura europea di autorizzazione all’immissione in commercio, possano intervenire in prima istanza chiedendo all’azienda interessata – per il tramite della Commissione – di adeguare l’ambito geografico dell’evento transgenico in modo che la sua coltivazione sia esclusa totalmente, o in parte, dal proprio territorio nazionale. Nel caso in cui non sia accettato l’adeguamento richiesto dallo Stato membro, questo può adottare provvedimenti nazionali che vietano o limitano la coltivazione dell’OGM in questione in conformità a motivi che esulano da quelli già esaminati dall’EFSA nel corso della valutazione del rischio e che sono connessi a: obiettivi di politica ambientale; pianificazione urbana e territoriale; uso del suolo; impatti socio- economici; esigenza di evitare la presenza di OGM in altri prodotti; obiettivi di politica agricola; e, infine d’ordine pubblico. 2_ Il MON 810 è un mais geneticamente modificato. Si tratta di una linea di Zea mays geneticamente modificata (OGM) prodotta dalla società Monsanto Company con la capacità di combattere la perdita di raccolto causata dagli insetti. 3_ Con la risoluzione, approvata con 385 voti favorevoli, 201 contrari e 30 astensioni nel gennaio 2014, il Parlamento europeo ha asserito che il mais “Pioneer 1507″ geneticamente modificato non dovrebbe essere immesso sul mercato per la coltivazione, perché il suo polline resistente agli insetti potrebbe danneggiare le farfalle e le falene. I parlamentari europei hanno chiesto al Consiglio dei Ministri dell’UE di respingere la a proposta di autorizzazione, contestualmente sollecitando la Commissione europea a non proporre o rinnovare le autorizzazioni di qualsiasi varietà OGM fino a quando non siano stati migliorati i metodi di valutazione del rischio. L’opposizione all’immissione in commercio nell’UE di questo mais è stata basata dal fatto che tale indicazione non figura nella proposta della Commissione, come stabilito dalle norme comunitarie sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati. In particolare, la proposta della Commissione non ha specifica eventuali condizioni per la protezione di particolari ecosistemi/ambienti e/o aree geografiche, come richiesto dalla normativa. 4_ Decreto interministeriale 12 luglio 2013 (Salute – Ambiente – Politiche agricole): Adozione delle misure d’urgenza ai sensi dell’art. 54 del regolamento (CE) n. 178/2002 concernenti la coltivazione di varietà di mais geneticamente modificato MON 810. Dispone l’articolo 1: La coltivazione di varietà di mais MON810, provenienti da sementi geneticamente modificate è vietata nel territorio nazionale, fino all’adozione di misure comunitarie di cui all’articolo cinquantaquattro, comma 3 del regolamento (CE) 178/2002 del 28 gennaio 2002 di cui sopra e comunque non oltre diciotto mesi dalla data del presente provvedimento. Il presente decreto sarà immediatamente trasmesso alla Commissione europea e agli Stati membri dell’Unione europea ai sensi dell’articolo 54, comma 1, e per gli effetti dell’articolo 54, comma 2, del regolamento comunitario 5 Decreto interministeriale 22 gennaio 2015: Proroga del decreto 12 luglio 2013 di adozione delle misure di urgenza, ai sensi dell’articolo 54 del regolamento (CE) n. 178/2002, concernente la coltivazione di varietà di mais geneticamente modificato MON810. Dispone l’articolo 1: 1. Il divieto di coltivazione di varietà di mais MON810, provenienti da sementi geneticamente modificate, di cui al decreto interministeriale 12 luglio 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 187 del 10 agosto 2013, rimane in vigore nel territorio nazionale, ai sensi dell’art. 54, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 178/2002 del 28 gennaio 2002, fino all’adozione delle misure comunitarie previste dall’art. 54, paragrafo 3, citato e comunque non oltre diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento. 2. Il presente decreto sarà immediatamente trasmesso alla Commissione europea e agli Stati membri dell’Unione europea ai sensi dell’art. 54, paragrafo 1, e per gli effetti dell’art. 54, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 178/2002. 6 Decreto legislativo 14 novembre 2016, n. 227 (entrato in vigore l’undici dicembre 2016): Attuazione della direttiva (UE) 2015/412, che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità’
  • 13. per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul loro territorio. Fonte: http://www.foodagriculturerequirements.com Nome o ragione sociale dell’operatore responsabile. Il marchio può bastare? Il parere dell’avvocato Dario Dongo. Il regolamento (UE) n. 1169/11 prevede, tra le informazioni obbligatorie in etichetta dei prodotti alimentari, ‘il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare di cui all’articolo 8, paragrafo 1‘ (art. 9.1.h). Vale a dire, del soggetto al quale è riferibile il marchio con cui l’alimento viene presentato. La circolare del Ministero per lo Sviluppo Economico Prot. 170164/2014 (v. allegato) ha ipotizzato la possibilità di riferire al marchio registrato o depositato, quale alternativa al nome o ragione sociale dell’operatore responsabile. A condizione che lo stesso sia seguito dall’indirizzo completo (e non da quello del fornitore, si noti bene in caso di ‘private label‘, né da riferimenti a siti web né a codici di iscrizione alla Camera di Commercio). Questa soluzione sarebbe stata ‘concordata in seno al Gruppo di Lavoro Etichettatura’, organizzato dalla Commissione europea con le rappresentanze degli Stati membri, e consentirebbe ‘per l’Italia, la continuità di fatto con la soluzione adottata dal D.lgs 109/92 il quale, all’articolo 3, comma 1, lettera e), considerava il “marchio depositato” come alternativo a “il nome o la ragione sociale”, tra le indicazioni obbligatorie‘. Tale ipotesi costituirebbe una vera e propria deroga e non una semplice interpretazione del requisito d’informazione precisamente espresso nel regolamento FIC (‘Food Information to Consumers‘). Ed è perciò dubbia la sua legittimità, quand’anche essa venisse ripresa in un documento della Commissione europea. I citati incontri del GdL ‘Etichettatura’ non hanno peraltro condotto all’esplicitazione della predetta deroga in alcun documento ufficiale a livello UE, e perciò se ne dubita seriamente l’applicabilità. È del resto evidente come una circolare ministeriale non possa disapplicare un regolamento europeo che, nella gerarchia delle fonti di diritto, ha un rango superiore a quello delle leggi costituzionali italiane. Di conseguenza, a umile avviso di chi scrive, permane a tutt’oggi l’obbligo di precisare in etichetta il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore responsabile (ai sensi dell’articolo 8 del regolamento FIC), vale a dire il titolare del marchio con cui il prodotto viene commercializzato, ovvero, in ogni caso e a prescindere, il distributore e/o l’importatore in UE. Dario Dongo CIRCOLARE MISE Prot_170164_2014 Fonte: http://www.foodagriculturerequirements.com
  • 14. Ci possiamo fidare dell’agricoltore? Con un Decreto Legislativo del 2001 gli agricoltori sono stati autorizzati a vendere direttamente ai cittadini i loro prodotti sia come materie prime sia trasformati. In pratica il contadino può vendere la verdura, la frutta, la carne, il latte da lui prodotti, ma anche le marmellate, il formaggio o i salumi che ottiene da lavorazioni artigianali nella propria azienda senza particolari vincoli per quanto riguarda le strutture ed il personale utilizzati per la vendita. Ovviamente deve rispettare tutte le norme previste dalla legge per garantire la sicurezza igienico sanitaria ai prodotti che mette in vendita. Benefici importanti sono un regime fiscale agevolato ed anche la possibilità di vendere una percentuale di prodotti “estranei” alla propria azienda. Con la vendita diretta si saltano le varie intermediazione e quindi i costi si riducono molto; insomma si tratta di un sistema che sembra essere molto utile per la nostra asfittica “agrozootecnia” e, almeno teoricamente, anche per i consumatori. Nella maggior parte dei casi non si tratta di prodotti tipici (DOP, DOC, IGP, ecc.) e neanche di prodotti biologici che, come è noto, per potersi fregiare delle specifiche denominazioni debbono essere preventivamente controllati dai consorzi (prodotti tipici) o da enti di certificazione (prodotti biologici). Tutte le produzioni agricole e zootecniche sono sotto controllo, ma un ruolo importante e fondamentale è rappresentato dal contadino e dall’allevatore che deve lavorare con scrupolo ed osservare le norme di legge in materia di concimi, pesticidi, farmaci veterinari, ecc. Nei casi in cui gli alimenti passano attraverso i mercati generali o direttamente alla grande distribuzione, ci sono dei controlli aggiuntivi che invece mancano nell’acquisto diretto dal produttore. Sulla base di quanto detto è molto importante il rapporto di fiducia che si instaura tra cliente e venditore ed è chiaro l’interesse proprio del venditore a “fidelizzare” il cliente. Un aspetto che dovrebbe essere chiarito riguarda la vendita degli alimenti non prodotti in azienda e magari acquisita ai mercati generali Quando viene messa in vendita frutta esotica è facile capire che non si tratta di produzioni aziendali. Quando invece si tratta di mele, carciofi, pomodori, frutta secca, ecc., non tutti sono in grado di capire se effettivamente si tratta di prodotti “aziendali”. Se una azienda non ha le serre è difficile che produca pomodori, melanzane, zucchine o fagiolini nel mese di febbraio. Altrettanto difficilmente potrà
  • 15. produrre salumi e formaggi senza adeguate strutture di trasformazione. Il consumatore dovrebbe poter avere la possibilità di visitare l’azienda e rendersi conto di persona di cosa si sta producendo in quel momento. Come accennato la via d’uscita per il venditore è la possibilità di cedere anche prodotti extraaziendali. E qui può nascere l’inganno. Per andare incontro ai desideri dei propri clienti il contadino può acquistare quello che non produce al mercato generale e metterlo in vendita. Per una maggiore trasparenza sarebbe opportuna una separazione tra gli alimenti sia di produzione aziendale e quelli “esterni”. In questo modo il consumatore ha la possibilità di scelta e magari alcuni prodotti può acquistarli dove ritiene più conveniente. A parte la separazione dovrebbe essere necessario definire le quantità massime di prodotti extra aziendali che si possono vendere. Può sorgere il sospetto che qualche contadino mette in vendita una minima quantità dei suoi prodotti ed il resto lo acquista. Si tratterebbe di una frode ai cittadini ed anche di concorrenza sleale nei confronti dei commercianti che vendono le stesse cose pagandoci sopra le tasse. Ai Ministri competenti, a cui si trasmette questa nota, si richiede di chiarire se esistono dei limiti nella vendita di derrate alimentari di produzioni extra aziendali e quali iniziative sono in atto per controllare le attività di vendita diretta. (Dal blog di Agostino Macrì) Fonte: sicurezzalimentare.it