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LUCEBUIO
Raul Gabriel
LUCEBUIO
LUCEBUIO
Raul Gabriel
Tortona
Museo Diocesano
8 ottobre - 26 novembre 2017
Ex Cotonificio Dellepiane
8 - 15 ottobre 2017
LUCEBUIO
RaulGabriel
Progetto artistico promosso da:
Museo Diocesano di Tortona,
Fondazione C.R. Tortona,
Comune di Tortona
in occasione della “Settimana dell’arte e della musica”
Tortona.
Museo Diocesano. 8 ottobre - 26 novembre 2017
Ex Cotonificio Dellepiane. 8 - 15 ottobre 2017
Grafica catalogo
Graziano Bertelegni
Edo Edizioni Oltrepò
via Emilia, 166
27058 Voghera (Pv)
info@oltre.eu
Stampa
Pi.Me. - Pavia
© 2017 Fondazione C.R. Tortona
Stampato nel mese di Ottobre 2017
ISBN 9788897213154
In copertina:
Gaetano Previati, La via del Calvario, 1913 ca, part., “il Divisionismo” Pinacoteca Fondazione C.R. Tortona
Raul Gabriel, Danseuse #2, part., 2017
In copertina sul retro:
Anton Maria Maragliano, Crocifisso, sec. XVIII, Museo Diocesano Tortona
Raul Gabriel, Big Black, 2009, coll. privata
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SOMMARIO
Presentazione
LUCEBUIO: la speranza oltre ogni oscurità
Don Paolo Padrini
Per una pittura della luce: dialoghi a distanza
Paolo Bolpagni
Spazio come luce come spazio.
I Black e gli White painting di Raul Gabriel
Alessandro Beltrami
Docere et movere: arte antica e contemporanea a confronto con il sacro
Alessandro Beltrami
Catalogo opere
Raul Gabriel
Biografie
For a painter of light: remote dialogues
Paolo Bolpagni
Space as light as space.
The Black and White painting di Raul Gabriel
Alessandro Beltrami
Biographies
7
Nell’ambito delle manifestazioni legate alla figura di Lorenzo Perosi, illustre maestro e compositore originario di
Tortona, i firmatari del Protocollo d’Intesa Perosi 2017 (Diocesi, Comune, Fondazione CR Tortona, Società Storica Pro
Iulia Dertona e Famiglia orionina) hanno voluto proporre alcuni eventi legati all’arte figurativa ed alla musica, denominati
“LUCEBUIO: la speranza oltre ogni oscurità”, convinti che non c’è luogo buio che non possa accogliere la speranza di una
luce, non c’è luogo di morte che non possa diventare culla per una vita possibile, nella speranza.
Il percorso di arte e di musica si realizza attraverso due esposizioni parallele e collegate, in luoghi distinti: l’ex Cotonificio
Dellepiane e il Museo Diocesano.
Significativa, anche in relazione alle tematiche, la scelta della location, ovvero l’area industriale dell’ex Cotonificio
Dellepiane, un tempo viva dal punto di vista della produttività economica, ora in disuso, ma capace – con molte potenzialità
inespresse – di diventare nuovamente luogo di incontro, cultura, promozione sociale. Qui è allestita dall’8 al 15 ottobre,
nel fabbricato principale in fase di ristrutturazione, una personale dell’artista italo-argentino Raul Gabriel.
Nel contempo si propone un percorso artistico presso il Museo Diocesano, nel quale si trovano a dialogare sullo stesso
tema alcune opere appartenenti al Museo, alla Pinacoteca “il Divisionismo” della Fondazione Cassa di Risparmio diTortona
e dello stesso artista Raul Gabriel. Tale esposizione vede quindi accanto a opere antiche, capolavori del Divisionismo e
installazioni contemporanee.
L’originale accostamento di queste opere si offre come stimolo per una sempre maggiore valorizzazione del nostro
patrimonio artistico e culturale, motore di crescita sociale nel contesto odierno.
									Don Paolo Padrini
									Direttore Artistico Perosi 2017
LUCEBUIO:
la speranza oltre ogni oscurità
8
Nella pagina a lato:
Big Black #2,
detail 2,
2009
9
La concezione della luce come entità ben precisa, degna di essere esaminata e studiata, risale alle origini della scienza moderna.
Da sempre, però, in maniera più o meno consapevole, essa è uno degli elementi fondanti del linguaggio delle arti visive, in ogni
epoca e civiltà. Può essere intesa in senso fisico, ottico, fenomenico, psicologico, oppure in chiave simbolica o religiosa. Le modalità
della sua raffigurazione segnano le tappe di un itinerario storico che affonda le radici nei tempi più remoti: secondo una leggenda
raccontata da Plinio il Vecchio, la pittura stessa sarebbe nata dal contraltare della luce, ossia dall’ombra.
Lo studioso austriaco Hans Sedlmayr (1896-1984), esponente della grande scuola viennese, dedicò al tema della dimensione
luminosa nell’espressione artistica alcuni scritti di straordinaria profondità, tra cui un breve e densissimo saggio1
che indaga la luce
nella prospettiva della metafisica, della simbolica e della mistica, ma anche come fenomeno della natura e della tecnica. L’architet-
tura stessa è letta da Sedlmayr secondo un’angolazione che ne evidenzia nessi a volte insospettabili: dal complesso di Stonehenge,
con la sua pianta circolare e l’orientamento che ne denunciano un chiaro riferimento ai culti solari, alla piramide egizia, interpreta-
ta nei termini di “luce versata” del dio Atum-Re. Nelle cattedrali gotiche le grandi aperture dei rosoni e la concezione dello spazio
sono sorrette da una teologia della claritas, mentre in epoca barocca assistiamo al trionfo dei monumentali ostensori a raggiera.
Ovviamente, come scrisse Sedlmayr, «dalla metafisica della luce […] fiorisce un’estetica della luce»2
, che portò a considerare
quale elemento preponderante, nel giudizio valutativo, il grado di sfavillio dell’opera3
, sicché la scelta stessa dei materiali, nei di-
pinti dal XIII al XV secolo, rispondeva spesso a tale criterio, per esempio con profusione dei fondi oro. Tutto ciò, del resto, non è
valido soltanto per il Medioevo: anche nel luminismo di Leonardo da Vinci troviamo un forte sostrato metafisico, declinato però
in senso neoplatonico-umanistico; invece, per la pittura di Jan Vermeer, Sedlmayr parla di una «mistica della luce secolarizzata»4
.
Il progressivo distaccarsi dalla trascendenza tipico dell’età moderna e contemporanea si ripercuote sulla trasfigurazione
1	 Hans Sedlmayr, La Luce nelle sue manifestazioni artistiche (1960), a cura di Roberto Masiero, Aesthetica, Palermo 1994.
2	 Ibi, p. 64.
3	 Cfr. Graziella Federici Vescovini, Le teorie della luce e della visione ottica dal IX al XV secolo. Studi sulla prospettiva medievale e altri saggi,
Morlacchi, Perugia 20063.
4	 Sedlmayr, cit., p. 69.
Per una pittura della luce:
dialoghi a distanza
Paolo Bolpagni
Nella pagina a lato:
Raul Gabriel
BODY #1
part., acrilico e resina su tela
2009
10
In alto:
Bottega lombarda
Compianto su Cristo Morto
terracotta, 1570-80
Museo Diocesano
di Tortona
Sopra:
Giuseppe Pellizza
Il ritorno dei naufraghi al paese
carboncino e matita su carta beige, 1894
“il Divisionismo”
Pinacoteca Fondazione C.R. Tortona
Sopra:
Raul Gabriel
DEPO #3
bitume, acrilici e grafite su tela
2014
artistica del dato luminoso, con vari e sfaccettati effetti: dall’esaltazione della percezione visiva effimera e dell’apparire
mutevole e cangiante delle cose da parte degli Impressionisti, fino alle trasparenze di molti astrattisti e poi di Rothko e
altri pittori; e se ampliamo il discorso ai nuovi media, noteremo che il tema della luce sarà spesso posto al centro dell’at-
tenzione, tanto da potersi parlare di una vera e propria Light Art.
La questione è fondamentale anche per il Divisionismo italiano: come ebbe a scrivere Giuseppe Pellizza da Volpedo,
«certe idee trovano la loro espressione massima nei fenomeni luminosi»5
. È ben noto che la tecnica utilizzata dagli espo-
nenti di questa corrente per esaltare nella sua pienezza e complessità il propagarsi della luce aveva una matrice scientifica,
derivando dagli studi sul colore compiuti da personaggi come Michel Eugène Chevreul, Charles Henry e James Clerk Ma-
5	 Cit. in Paul Nicholls, “… testimonianze tra loro correlate”, in Il Divisionismo. Pinacoteca Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona,
Skira - Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, Milano 2012, p. 23.
11
xwell. Una pennellata che scomponeva la materia cromatica in tratti sottili e minuscole linee disposte in filamenti e fitte
trame consentiva a Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Angelo Morbelli, Emilio Longoni, Carlo Fornara e allo stesso
Pellizza di ottenere effetti di straordinaria suggestione, restituendo immagini impregnate, per così dire, di una luminosità
naturale e insieme trasfigurata. L’autonomia del Divisionismo dal Neoimpressionismo francese, che pure ne costituisce il
presupposto e precedente storico, risulta infatti evidente sia nelle differenze tecniche (gli italiani non sono “puntinisti”),
sia nei soggetti e nell’ethos, nello spirito di fondo, che non dà mai un’impressione di “calcolo” e fredda applicazione di
princìpi precostituiti, ma lascia trasparire una partecipazione ideale ed emotiva.
Potrebbe sembrare ardito il tentativo di accostare quegli esiti ai prodotti contemporanei dell’estro creativo di un artista
come Raul Gabriel, con i suoi Black paintings e White paintings, opere che anzitutto rifuggono da una netta separazione
tra figurazione e aniconismo. Due serie, peraltro, che muovono in direzioni diverse: i “bianchi”, con le loro traiettorie
filamentose, gli aloni e i grumi segnici, alla ricerca di un’intima struttura del reale, evocata non per via di “somiglianze” o
analogie, bensì di corrispettivi formali che denotano precise entità dell’essere fisico; i “neri”, densi di smalti rappresi e cor-
rugamenti della superficie, pensati come indagini e sperimentazioni del puro fatto pittorico, del comporsi ottico e mentale
della visione, del rifrangersi della luce sulla materia. Paradossalmente, quindi, è proprio nei Black paintings che possiamo
ravvisare uno studio meticoloso della resa del fenomeno luminoso e della sua natura specifica, nella quale individuare
un’ipotetica parentela con le ricerche e i metodi divisionisti.
In primis, Raul Gabriel ci ricorda che in pittura non esiste il nero, ma che ci sono invece molti possibili e differenti neri.
L’uso del termine, del resto, è convenzionale: posto che il “corpo nero” è un oggetto ideale della fisica, che assorbe tutta
la radiazione elettromagnetica incidente senza rifletterla, ossia assorbendola interamente, occorre dire che in natura non
troviamo corpi perfettamente “neri”. L’energia dei fotoni, ceduta agli elettroni, agli atomi e alle molecole del materiale,
è sempre comunque “restituita” attraverso la rifrazione: la differenza tra un colore molto scuro e uno chiaro sta nella per-
centuale di radiazione elettromagnetica che è riflessa dall’oggetto, assai bassa nel primo caso, alta nel secondo. Non deve
perciò stupire che i Black paintings di Raul Gabriel siano più “ricchi di luce” di quanto ci si aspetterebbe, nonché diversi-
ficati al proprio interno per grado di opacità. Il problema pittorico trattato in queste tele non è troppo dissimile da quello
che si erano posti i Neoimpressionisti e i Divisionisti cercando di accrescere – tramite l’accostamento di piccole pennellate
di colori puri – la luminosità delle proprie opere. Soltanto che Raul Gabriel persegue tale obiettivo per via di paradosso,
mostrandoci come persino un dipinto giocato totalmente sul nero possa ottenere un effetto spettacolare e un’impressione
di luce, grazie all’utilizzo degli smalti e alla loro irregolare e “biologica”6
disposizione sul supporto, che determina una
vastissima gamma di sfumature, di dialettiche e opposizioni lucido-opaco. L’artista stesso così si esprime a proposito dei
suoi Black paintings: «Nei miei neri il processo di “pittura della luce” sta nella base nera lucida e nella strutturazione di una
“pelle” (le pennellate) che poi cattura la luce in seconda intenzione»7
. Raul Gabriel, si noti, parla di qualcosa di mobile e
dinamico, del movimento della radiazione elettromagnetica, della mano che stende la materia cromatica, dell’occhio e del
cervello di chi guarda e percepisce; insomma, se per i Divisionisti si trattava di accostamento, in lui ci troviamo di fronte a
un processo, che non è mai risolto una volta per sempre, ma rende l’opera costantemente viva e, nelle sue intenzioni, dia-
6	Uso questo aggettivo perché l’intenzione sembra quella di creare, sopra il fondo uniforme, una sorta di membrana organica, come di un essere
vivente.
7	 Estratto da una nota inviata allo scrivente in data 31 luglio 2017.
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Scuola emiliana
Pietà
(fine sec. XVII - inizi sec. XVIII)
olio su tela
Museo Diocesano Tortona
Angelo Barabino
La pietà
olio su tela, 1932
“il Divisionismo”
Pinacoteca Fondazione C.R. Tortona
Raul Gabriel
DEPO BLACK #1
bitume e acrilico su tela
2017
logante con l’osservatore. Dunque è un prosieguo ideale della “pittura della luce” di Pellizza e Previati, attuato, a oltre un
secolo di distanza, con tutt’altro metodo, ma sulla base di finalità non tanto dissimili quali potrebbero apparire.
Certo, nei Divisionisti le pennellate erano cromaticamente eterogenee, mentre nei Black paintings pur sempre e solo
di nero si tratta, ma non bisogna dimenticare che comunque il nero è, per sintesi sottrattiva, la somma di tutti i colori, la
risultante – che tutto racchiude – dell’intero spettro.
In occasione di questa mostra a Tortona Raul Gabriel tenta anche un ulteriore parallelismo, avvicinando la sua Deposi-
zione (della serie dei Writings) al carboncino e matita di Pellizza da Volpedo Il ritorno dei naufraghi al paese (o L’annegato, o
I naufraghi) del 1894. Evidentemente sono mondi lontanissimi, ma, al di là di una struttura compositiva che rivela alcune
consonanze, comune è l’idea di un’autonomia del disegno, che non è preparatorio a un successivo approdo pittorico, ma
diventa esso stesso tema e sostanza dell’opera.
13
I Black painting e gli White painting sono probabilmente l’esito fino a ora più classico della pittura di Raul Gabriel.
Non, evidentemente, nel senso di un’aspirazione al confronto con la tradizione, per quanto nobile: fatto improbabile se
non impossibile per un artista che ha sempre guardato con sospetto l’istituzionalizzazione dei canoni estetici. Ma osservate
nell’intero corso di una ricerca che si avvia a essere ventennale – tanto rispetto alle prime opere dove l’urgenza fisica della
pittura si tramutava in una gestualità convulsa e così strabordante da occupare in modo totalizzante lo spazio, tanto rispet-
to all’acidità dei polistiroli, tra le punte più avanzate della ricerca contemporanea, trascrizione tridimensionale di un gesto
pittorico, o tanto ancora al calibrato nervosismo grafico delle Viae Crucis – i “neri” e i “bianchi” si staccano per magnilo-
quenza monumentale (anche nel piccolo formato), radicale selezione dei mezzi e dei toni, rigore che appare come frutto
di una sospensione e di un distacco. Si avverte quieta grandezza e nobile semplicità, ed è sensibile la forza del paradosso
nello scriverlo in relazione a Gabriel, in una forma sempre drammatica. In questi lavori è assente quel rumore di fondo che
invece altrove Raul Gabriel alza al massimo del volume possibile perché non ci dimentichiamo di che pasta è fatta la vita.
Sono anche – e forse non è un caso – i lavori dove per la prima volta si fa aperto in Gabriel il confronto con il tema della
luce. In maniera differente, perché dietro l’apparente specchio di yin e yang, come vedremo, neri e bianchi sono due serie con
una relativa parentela reciproca. Tra i due, sono i Black painting a lavorare in maniera determinante con la luce, e a rivelarlo è
proprio l’accostamento con le opere dei maestri del Divisionismo della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona.
I pittori divisionisti non dipingono più il colore come se fosse una componente intrinseca della materia, ma come
reazione della materia alla luce. Il colore contiene una variabile, una misura relativa dipendente dal timbro della luce, ed
ecco perché alla piena luminosità del giorno preferiscono le ore estreme dell’alba e del crepuscolo o i toni inediti e artificiali
dell’illuminazione elettrica. Non solo. In questa analisi del fenomeno luminoso che investe anche l’aria, la quale si mette a
brillare sotto i nostri occhi acquisendo spessore e dimensione, in questa atomizzazione i divisionisti riconoscono alla luce
una propria dimensione fisica. Ma anche sotto il pretesto di indagare il meccanismo scientifico, di evocare un vitalismo
energetico o l’applicazione della tecnica a una iconografia “sociale”, i divisionisti cercano sempre i riflessi profondi della
luce sull’animo umano. “L’immagine frantumata e dispersa – come scriveva in una storica monografia dedicata ad Angelo
Morbelli Mirella Poggialini, una delle più acute studiose del Divisionismo e più volte attiva tra le sale della pinacoteca
tortonese – si ricompone sulla tela, oggettiva e metafisica, per mezzo di una soggettivazione continua, sempre nuova ad
occhi nuovi: e a chi guarda è lasciato modo di collaborare alla creazione dell’immagine, poiché – specialmente osservando
un quadro divisionista – lo spettatore comunica all’oggetto guardato un po’ di sé, aggiunge a ciò che la sua retina (la sua
e non altra) vede e raccoglie nel pulviscolo luminoso su cui pare sperdersi la forma”.
Il principio di frazionamento della luce, base strutturale del Divisionismo, ritorna sotto altra forma nei Black painting.
Spazio come luce come spazio.
I Black e gli White painting di Raul Gabriel
Alessandro Beltrami
14
Qui, attraverso una sorta di antipittura (le tele sono frutto di colate controllate di vernice) Raul Gabriel dà vita a una
superficie lucida fitta di meandri e radure, come una estesa e variata geografia, chiamata a raccogliere la luce nelle sue va-
riazioni di tono, intensità, direzione. Dove i divisionisti analizzano razionalmente il totale nelle varie componenti cromatiche,
Gabriel frantuma l’intero in altrettanti interi che pongono la forma in vibrazione. All’accostamento divisionista, frutto di un
meccanismo a priori, si sostituisce qui un processo messo in atto dall’opera stessa. In entrambi i casi però il problema è sempre
catturare la luce.
La superficie pittorica dei Black painting è un film, una sottile pellicola chimica che contrasta con il nero ottuso e inerte
della tela. Eppure essa ha un apparente (reale?) valore organico. È una pelle sensibile, una superficie estesa ed estensibile capace
di reagire all’ambiente. La pellicola nera è un organo sensitivo attraverso cui il corpo del quadro recepisce e persino percepisce
la luce e la realtà. I meandri che si riempiono di luce da una parte ci mostrano i tanti “volti” possibili del quadro, dall’altra e
insieme sono un vero e proprio tessuto epiteliale il cui compito è proteggere, assorbire, secernere. Un’epidermide che nasconde
e rivela, comunica e trattiene.
In questo sta la natura processuale più profonda della pittura di Raul Gabriel. Certo, i suoi lavori sono frutto di un’opera-
zione complessa in cui i margini di decisione, controllo e aleatorietà sono fluttuanti e quindi il risultato finale è testimonianza
di un “evento” prima ancora che esito progettuale. Ma il continuo mutare nel tempo e nello spazio nella persistenza della forma
data fa sì che l’opera sia un “corpo vivo”. Secondo il pedagogo brasiliano Paulo Freyre “el mundo non es, el mundo està siendo”.
Sostituite “quadro” a “mondo” e avrete una delle migliori definizioni del lavoro di Raul Gabriel.
I neri e bianchi sono accomunati dal fatto che prima di essere forma sono spazio puro ma non astratto, dotato al suo
interno di una propria articolazione, elasticità e variabile densità. Ma le due serie divergono nelle dinamiche strutturali. I
Black painting sono un fatto di luce nella misura in cui sono un fatto di spazio: dove spazio è inteso come estensione reale
e non come simulazione, fenomeno illusivo o ricostruzione ottica. I bianchi sono invece un fatto di spazio nella misura
in cui sono un fatto di luce. Luce intesa nella sua duplice natura ondulatoria e corpuscolare. Come i neri rivelano la luce
riflettendola, nei bianchi Raul Gabriel opera all’inverso. Qui una sorta di campo magnetico o, meglio, gravitazionale
attrae e assorbe la luce, la addensa in un’emulsione, le dà massa e volume. La rende persino opaca (un fenomeno che ne
rende evidente lo spessore, allo stesso modo della prospettiva aerea di Leonardo o delle brume atmosferiche del Piccio) per
dimostrarne la tangibilità. La forma – spesso imparentata, nella struttura fibrosa, ai Writing più dei Black painting – cresce,
si fa cartilagine. Sono i diversi neri diverse forme dello stesso spazio? Sono i diversi bianchi diverse forme della stessa luce?
Appare probabile.
I White painting, come già aveva intuito Francesco Tedeschi, presentano forti punti di contatto con Xfiction (l’esito
più “classico” di Raul Gabriel nel video), dove non si celebra il trasfigurare della materia nella luce, ossia il trascendere,
ma la resistenza e la persistenza del corpo nella luce perché anche la luce è corpo. Alcuni anni fa Gabriel aveva presentato
alla Jerome Zodo Gallery di Milano un’installazione (assai simile a uno dei suoi provocatori statement) con un disco per
bilanciere da palestra appoggiato sul pavimento, intitolandola Light: un termine che in inglese sta sia per “leggero” che
per “luce”. La viscosità dei bianchi restituisce non solo spazio ma anche un peso (la pesanteur di Simone Weil) alla luce,
liberandola dal simbolismo della disincarnazione.
15
Nel Museo diocesano di Tortona le tele di Raul Gabriel sono messe in dialogo con opere del XVI e XVII secolo.
Quando si pongono a confronto sul piano del sacro un’opera d’arte antica con una moderna o contemporanea, una delle
questioni che emerge è se e dove si possa riconoscere, al di là di fratture o connessioni stilistiche e linguistiche come pure al
di là di una apparente comunanza iconografica, una vera continuità interna e profonda. Questo costringe a una riflessione
su quale possa essere il cuore dell’“arte sacra” (usiamo qui per comodità il termine nella più diffusa delle accezioni, sebbene
il tema richiederebbe una molteplicità di sfumature, da arte spirituale a religiosa, da arte a soggetto sacro fino a arte per
e nella liturgia). Spesso ci si domanda se sia sufficiente che un dipinto contemporaneo abbia un titolo, una forma o una
semplice suggestione che richiami, ad esempio, alla croce perché questo sia “sacro”. Più raramente, questa domanda viene
rivolta alle opere del passato, per le quali si dà per assodata la “sacralità”. Invece è questa forse l’autentica questione.
Il Compianto su Cristo Morto (1570-1580) in terracotta dipinta, proveniente dall’ex oratorio del Crocifisso, eredita la
lunga tradizione dei compianti medievali e vi si riconosce la qualità retorica dei gruppi scultorei delle cappelle dei Sacri
Monti. La Depo di Raul Gabriel è un grumo allungato, una forma che pare in cerca di se stessa. Le due opere, lontanissime
tra loro, hanno in comune non una radice formale o estetica ma la capacità di generare empatia. Riusciamo a riconoscere
nel nero tormentato di Gabriel il corpo di Cristo morto non perché lo sembri ma perché sentiamo esserlo, e nella sua verità
più profonda: kenosis, dubbio, attesa. È proprio quanto accade, con altri mezzi, nel Compianto tardocinquecentesco. Lì
l’artista non si è limitato a docere (visualizzare la storia sacra) né soltanto a movere (il pathos dell’episodio), ma ha scelto di
docere movendo e movere docendo.
È proprio nella disgiunzione tra docere e movere, e nel loro impoverimento, il problema di gran parte dell’arte
sacra realizzata negli ultimi due secoli, più ancora che il disinteresse da parte della committenza verso l’evoluzione del
linguaggio artistico. Il problema è l’aver pensato che quello dell’arte in ambito sacro fosse semplicemente un fatto di
modelli iconografici (a cui non poteva non corrispondere la banalità dello stile). Un’immagine il cui unico scopo è
la riconoscibilità dell’enunciato è solo apparentemente pedagogica perché in realtà semplice strumento mnemotecnico.
Oppure, dall’altra parte, un’immagine popolarmente sentimentale la cui facile presa è dovuta alla sua stessa superficialità,
che neppure rasenta la superficie di quel mistero che invece vorrebbe e dovrebbe rappresentare. Nessuna di queste vie
è in grado né di docere né di movere autenticamente, ossia di convincere e sedimentare nel profondo il contenuto di
cui sono portatrici: un’operazione che richiede invece un certo margine di rischio e ambizione. La secchezza del docere
mnemotecnico e il languore del movere sentimentale sono perfettamente funzionali a un sistema centrato su una devozione
fondata sull’adempimento rituale, mentre il docere movendo (e viceversa) ha la capacità di attivare in profondità e dare una
direzione forte alla devozione più autentica e intima, tanto personale quanto comunitaria (nell’intrinseca debolezza della
Docere et movere.
Arte antica e contemporanea a confronto con il sacro
Alessandro Beltrami
16
devozione rituale una volta privata del contesto che ne fornisce l’impalcatura sociale si può forse riconoscere uno dei fattori
dell’erosione della pratica religiosa contemporanea).
Questo è però un problema antico e sta ad esempio alla base, almeno in parte, delle querelle attorno ai dipinti di
Caravaggio. Si confronti la Morte della Vergine con l’Assunta di Carlo Saraceni chiamata a sostituirla in Santa Maria
della Scala, tanto abilmente dipinta quanto normalizzante rispetto all’immaginario devozionale. Ma quale delle due è
teologicamente non solo più ricca ma anche più “corretta”? Potremmo fare ancora un passo ulteriore e individuare un
gruppo di opere (particolarmente numeroso, forse persino maggioritario) la cui funzione è solo strumentale, essere cioè
semplice “terminale visivo” di una preghiera. Qui non è più neppure questione né di movere né di docere perché l’opera
non deve neppure “parlare”. Possiamo allora allargare l’orizzonte e ripensare i veri termini del confronto: che non è
dunque tra arte antica e contemporanea sul sacro, ma di arte antica e contemporanea con il sacro.
L’autentico docere non è un’operazione di conferma e irrobustimento di certezze ma l’apertura della coscienza:
l’insegnamento di Cristo nei Vangeli è quanto di più destabilizzante abbia mai conosciuto la storia umana. In docere e, in
misura ancora più trasparente, in movere c’è uno dei cardini del pensiero di Raul Gabriel: il movimento vitale generato
da uno sbilanciamento. Il movere è dunque un cedere a se stessi, uno scivolare fuori dalle proprie rigidità, frante dal colpo
d’ariete vibrato dal riconoscimento di una verità. La grande opera d’arte è la prova di tutto questo: non solo perché irradia
attorno a sé un’onda destabilizzante nei confronti di chi osserva ma perché è anche rivelatrice rispetto alle opere che vi
stanno attorno. Big black, il Grande nero di Raul Gabriel è uno di questi casi. A Tortona è accostato al Crocifisso di Anton
Maria Maragliano (1664- 1739), una scultura tecnicamente eccellente e molto espressiva. Ma cosa accade davanti alla tela
monumentale di Gabriel? Quest’ultima non è “davvero” una croce. È un grande segno a T, un tau forse, persino una forma
uterina, eppure sono pochi i dubbi che si tratti di una croce e soprattutto del corpo crocefisso. Il Grande nero nega ogni
appiglio narrativo, eppure trattiene chiusa nell’immane pressione dell’istante tutta la densità del racconto. Big black ha una
potenza tellurica contro la quale nessuna opera debole riesce a conservare la sua maschera, rivelando così di essere figura e
non icona, decorazione e non struttura, favola e non Storia. Se nel Grande nero noi identifichiamo la croce e soprattutto
colui che vi è crocifisso, senza che essi appaiano in modo esplicito, è perché la forza di quest’opera risucchia insieme allo
sguardo tutti noi stessi nella sua profondità.
Identificazione è dunque un riconoscere che non è dato da un’apertura di credito ma da un moto irresistibile che
porta il sé verso e dentro l’altro. Nella storia il cristianesimo ha sempre avuto chiaro che l’arte è un potente mezzo di
identificazione. L’immagine del crocifisso è stata uno dei principali strumenti per consentire al fedele di identificarsi con
Cristo, attivando quei processi di assimilazione di carattere empatico al cui studio ha dato un contributo essenziale Edith
Stein. Ad esempio il crocifisso da tavolo o da inginocchiatoio, oggetto pressoché scomparso se non come soprammobile
d’antiquariato, è lo specchio in cui il devoto contemplava la carne di Dio che è la propria, così che l’esperienza spirituale
dell’uomo potesse identificarsi con quella fisica di Cristo. I processi empatici e il modo in cui attivarli sono resi evidenti ad
esempio nelle numerose opere in cui si mostrano i santi in contemplazione di Gesù crocifisso, al punto da poter supporre
che l’arte fornisse sia lo “strumento” che le “istruzioni per l’uso”. Si può osservare nella cronologia di queste iconografie
un progressivo avvicinamento da parte del devoto al corpo di Cristo, dalla contemplazione a distanza (XV secolo) fino
all’abbraccio e al bacio (XVII-XVIII): un’empatia che dalla consonanza spirituale arriva al contatto fisico.
Spesso l’opera d’“arte sacra” viene descritta come un traino verso l’alto, quasi un “ascensore” di bellezza, oppure come
17
un luogo epifanico, dove Dio discende sulla terra. È invece il luogo di un incontro, quasi in parità (perché empatico è il
moto divino verso la sua creatura), di una risonanza tra il corpo, la storia e il “presente” di Cristo e il corpo, la storia e il
presente dell’uomo. Dunque l’arte sacra non è un problema di rendere “visibile l’invisibile”, semmai di “riconoscere ciò che
è già visibile”: un atto che teologicamente si radica in tutti quei passi evangelici (dalla nascita a dopo la resurrezione) il cui
cuore è l’agnizione di Gesù come il Cristo. Al di là delle differenti “retoriche”, nelle forme drammatiche e perfettamente
modellate del Compianto o del Crocifisso di Anton Maria Maragliano di Tortona e in quelle esplose, nervose, dense di
interrogativi di Raul Gabriel, sentiamo in azione proprio questo, ossia l’aprirsi di una finestra al cui interno, come in uno
specchio, scrutiamo e riconosciamo un volto di verità che è anche il nostro.
Anton Maria Maragliano
Crocifisso
sec. XVIII
Museo Diocesano Tortona
Raul Gabriel
Big Black
2009
coll. privata
18
19
BIG BLACK
bitume e acrilico su tela
2009
Nella pagina
a lato:
BIG BLACK #2
particolare
20
ZOO #14
acrilici bitume su tela
2009
MEMENTO #2
bitume e acrilico su tela
2013
21
ZOO #6
bitume e acrilico su tela
2013
ZOO #18
bitume e acrilico su tela
2013
22
ZOO #22
acrilici bitume su tela
2014
DEPO BLACK #1
bitume e acrilico su tela
2017
23
24
25
a sinistra:
DANSEUSE#3
bitume e acrilico su tela
2017
a destra:
DANSEUSE #2
particolare
26
a sinistra:
DANSEUSE #2
particolare
a destra:
ZOO #44
bitume e acrilico su tela
2017
27
28
29
nella pagina a lato:
ZOO #8
bitume e acrilico su tela
2013
a destra:
ZOO #31
bitume e acrilico su tela
2013
30
WRITING #2
grafite, resina e bitume su tela
2009
WRITING #40
grafite, resina e bitume su tela
2016
nella pagina a lato:
WRITING #28
bitume, acrilici e grafite su tela
2014
31
32
WRITING #35
grafite, resina e bitume su tela
2016
WRITING #15
grafite, resina e bitume su tela
2014
33
HORSE
grafite, resina e bitume su tela
2015
SHE
grafite, resina e bitume su tela
2010
34
35
FLO WHITE
resina e acrilico su tela
2010
nella pagina a lato:
WHITE HEART
resine acrilici su tela
2013
36
BIG WHITE
resina e acrilico su tela
2009
nella pagina a lato:
WHITE#12
grafite resina bitume su tela
2015
37
38
39
nella pagina a lato:
ZAYIN
acrili resina su tela
2016
a destra:
BODY #1
acrilic resina su tela
2009
40
“Raul Gabriel, artista italoargentino dalla sua felice posizione di outsider mette in crisi con le sue incursioni le strutture conso-
lidate della contemporaneità”. (Alessandro Beltrami)
Raul Gabriel nasce nel 1966 nei sobborghi di Buenos Aires. Da musicista passa alle arti visive nel 2000. Vive e lavora tra
Milano e Londra.
Di lui scrive Francesco Tedeschi (Professore associato di Storia dell’arte contemporanea, facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università Cattolica): “Gabriel è pittore passionale e pulsionale, come si è presentato una quindicina d’anni fa, trasferen-
dosi a Milano, dove per alcuni anni ha vissuto solo di pittura, in modo romantico e quasi maledetto, attraverso tutte le possibili
privazioni. La sua immersione nella materia cromatica era allora esclusiva, come un bagno vitalizzante. Una pittura dalla
quale emergeva, quasi inevitabilmente, una parvenza d’immagine, o forse una pittura che dall’immagine prendeva le mosse,
per non riuscire a negarla. Questa doppia valenza, dell’icona e della sua negazione, non l’ha mai abbandonato e lo accompagna
ancora oggi, in quella che possiamo considerare un’altra stagione della sua arte...”
Paolo Bolpagni (Direttore della Fondazione Ragghianti di Lucca - arte contemporanea) scrive: “Nelle opere realizzate da
questo singolare artista – argentino di nascita, italianissimo per ethos e formazione, ma corroborato da significative esperienze
anglosassoni – troviamo non l’esistenza in quanto categoria astratta, bensì l’esistente che si incarna concretamente nella persona
umana. Nemico giurato dell’assolutizzazione idolatrica del Concettuale e delle sue propaggini e filiazioni epigoniche, Raul
Gabriel non vuole produrre una pittura filosofico-speculativa, ma ha deciso di fare i conti con il soggetto umano colto nella sua
profondità enigmatica. Proprio in questo modo, però, ci aiuta a comprendere quel che accade intorno e in noi, suscitando inter-
rogativi di ampia portata e conducendoci al di là dell’immediato e del visibile”.
Alessandro Beltrami infine: “...In questo sta la natura processuale più profonda della pittura di Raul Gabriel. Certo, i suoi
lavori sono frutto di un’operazione complessa in cui i margini di decisione, controllo e aleatorietà sono fluttuanti e quindi il ri-
sultato finale è testimonianza di un “evento” prima ancora che esito progettuale. Ma il continuo mutare nel tempo e nello spazio
nella persistenza della forma data fa sì che l’opera sia un “corpo vivo”. Secondo il pedagogo brasiliano Paulo Freyre “el mundo
non es, el mundo està siendo”. Sostituite “quadro” a “mondo” e avrete una delle migliori definizioni del lavoro di Raul Gabriel”.
Raul Gabriel
Biografia
41
Alcune mostre
(dal 2006 - 2017)
2006 “Raul Gabriel, Welcome to his planet”, a cura di Dafydd Roberts (Londra, Broadbent Gallery)
2007 “Raul Gabriel, Traffic Lights Concert”, (Milano, Spazio Oberdan)
2007 “Raul Gabriel, Grain Circles”, a cura di Gianluca Marziani (Roma, Galleria Pino Casagrande)
2007 “Raul Gabriel, Urban Trash”, (Milano, Grossetti arte contemporanea)
2008 “ Raul Gabriel, Colorenoncolore”, (Perugia galleria Armory)
2010 “Raul Gabriel, Silkocoons” progetto concept Via della Seta, (Shangai, World Expo)
2011 “Raul Gabriel, Bak2Berlin”, (Berlino, galleria Artmbassy)
2011“Raul Gabriel, GudBike”, a cura di Gianluca Marziani (Spoleto, Palazzo Collicola)
2012 “CUBE”, group show +50 del Cinquantenario della scultura a cura di Gianluca Marziani (Spoleto)
2012 “Raul Gabriel, Topos Tomie”, a cura di Paolo Bolpagni (Perugia, Palazzo Conestabile della Staffa)
2013 “Lumen Ray” group show internazionale (Milano, Jerome Zodo Gallery)
2013 “Raul Gabriel, Caro Cardo”, a cura di Francesco Tedeschi (Santa Maria degli Angeli, Museo della Porziuncola)
2013 “Raul Gabriel, Worm$” a cura di Guido Cabib (Milano, The Format contemporary art gallery)
2014 “OnetoOne”, (Pavia, Broletto Centro Arte Contemporanee)
2014 “Raul Gabriel, IL segno il Corpo Il Sacro” (Brescia, Museo Diocesano e Collezione Paolo VI Arte contemporanea)
2014 “Sinopie”, Raul Gabriel incontra Lucio Fontana, a cura di Paolo Biscottini (Milano, Museo Diocesano, Sala Lucio Fontana)
2014 “Raul Gabriel, Virtual Apraxia”, a cura di Roberto Diodato e Guido Cabib (Milano, The Format contemporary art gallery)
2015 “Raul Gabriel, Back2Berlin”, a cura di Haim Baharier (Milano, Auditorium San Fedele)
2015 “Raul Gabriel, Xfiction” (Brescia, Piazza della Loggia e Duomo Vecchio)
2016 ”Si Fece Carne”, group show internazionale con Nan Goldin, Mark Wallinger, Raul Gabriel, Adrian Paci e altri (Firenze Basilica Me-
dicea di San Lorenzo)
2016 “XXI Triennale di Milano, “Design behind Design” (Milano , MUDI)
2017 “Raul Gabriel, The Glorious Nothing”, a cura di Nicoletta Castellaneta e Fondazione Rivolidue (Milano, Teatro Pacta Salone)
Principali interventi e azioni artistico-filosofiche
(dal 2010-2017)
2010 “I martedi critici”, Raul Gabriel , a cura di Alberto Dambruoso (Roma, I martedi critici)
2013 “Raul Gabriel, 5 chairs: Passaggi di Stato”, a cura di Roberto Diodato, Azione artistico-filosofica (Milano Dipartimento di Estetica,
Universita Cattolica)
2015 “Raul Gabriel, The One Investigation”, a cura di Giancarlo Lacchin (Milano, Università Statale, Dipartimento di Filosofia)
2016 “Raul Gabriel, Distopia di una sedia”, a cura di Giancarlo Lacchin (Milano, Università Statale, Dipartimento di Filosofia)
2016 “Premio Michetti”, a cura di Luciano Caramel (Francavilla, Museo Michetti)
2017 “Filosofia e Arti Figurative”, dibattito con Giuseppe di Giacomo ordinario estetica della Sapienza e Raul Gabriel artista, a cura di Elio
Franzini, ordinario di Estetica Università Statale di Milano (Milano, Casa della Cultura).
42
Alessandro Beltrami
è storico dell’arte (si è laureato con Maria Luisa Gatti Perer) e giornalista delle pagine culturali di “Avvenire” dove, come
critico e con inchieste e reportage, si occupa ad ampio spettro delle arti contemporanee. Ha pubblicato saggi in cataloghi
e articoli in riviste specializzate e ha partecipato a convegni internazionali e giornate di studi su temi che spaziano dalla
pittura del Settecento al rapporto tra arti e sacro nella contemporaneità. Nel 2014 ha curato un volume sulla storia e il
patrimonio artistico della Cattedrale di Lodi. È diplomato in pianoforte.
Paolo Bolpagni
è uno storico dell’arte, organizzatore e manager culturale, docente universitario e curatore.
Dopo aver diretto il museo Collezione Paolo VI - arte contemporanea, è ora direttore della Fondazione Centro Studi
sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti di Lucca.
Come studioso, finora ha coltivato in particolare alcuni specifici settori di ricerca: i rapporti tra pittura e musica nel XIX
e XX secolo; l’arte italiana ed europea tra fine ’800 e inizio ’900 (compresi gli aspetti della grafica e dell’illustrazione);
l’astrattismo internazionale, fino agli esiti cinetici e programmati; l’arte italiana e francese degli anni ’50-’60, anche nelle
sue relazioni con il design; le ‘partiture visive’ e le ricerche verbo-visuali delle neoavanguardie; i rapporti fra l’arte e la
dimensione del sacro nel ’900.
È uno dei primi storici dell’arte a usare ampiamente i nuovi media: nel 2011 ha creato un canale YouTube di successo,
“Regola d’arte”.
Ha vinto nel 2013 il Premio Sulmona per la storia dell’arte.
43
For a painter of light: remote dialogues
Paolo Bolpagni
The concept of light as a precise entity, worthy of examination and study, dates from the beginnings of modern science. In a
more or less conscious way, however, it has always been one of the founding elements of the visual arts, in every age and culture.
It can be understood in a physical, optical, phenomenal or psychological way, or in a symbolic or religious light. The methods of
its depiction mark the stages of a historical itinerary that goes deep into the roots in the most remote times: according to a legend
related by Pliny the Elder, a painting should be created by countering light, that is, with shade.
The Austrian scholar, Hans Sedlmayr (1896-1984), an exponent of the great Viennese School, produced a number of papers of
extraordinary depth dedicated to the theme of the dimension of light in artistic expression, including a short but very comprehensive
essay1
that investigates light from the metaphysical, symbolic and mystical perspective but also as a phenomenon of nature and technique.
Even architecture is read by Sedlmayr from a point of view that sometimes reveals unsuspected connections: from the complex of Stone-
henge, with its circular layout and orientation that are a clear reference to sun worship to the Egyptian pyramid, interpreted in terms of
“light poured” by the god Atum-Re. In Gothic cathedrals, the large openings of the rosettes and the concept of space are underpinned by
a theology of claritas, while in the baroque epoch, we see the triumph of the monumental radiating monstrances.
Obviously, as Sedlmayr wrote, “from the metaphysics of light […], an aesthetic of light blossoms”,2
which resulted in the degree
to which the work3
shone being considered as the dominant element in judging the work, and so the choice of the materials in the
paintings of the 13th
to the 15th
century often responded to this criterion, for example with a profusion of gold backgrounds. All this,
moreover, is not only valid for the Middle Ages: we also find a strong metaphysical foundation in the luminosity of Leonardo da
Vinci, expressed however in a neo-Platonic, humanistic sense; on the other hand, regarding the painting of Jan Vermeer, Sedlmayr
speaks of a “mystic of secularised light”.4
The gradual detachment from the transcendence typical of the modern, contemporary era impacts on the artistic transfigura-
tion of light, with various, multifaceted effects: from the enhancement of the ephemeral visual perception and the changeable and
changing appearance of things by the Impressionists to the transparency of many abstract artists and later Rothko and other painters;
and if we broaden the discussion to the new media, we see that the theme of light is often at the centre of attention, to the point of
being able to speak of a true Light Art.
The question is also fundamental for Italian Divisionism: as Giuseppe Pellizza da Volpedo wrote, “certain ideas find their utmost
expression in luminous phenomenon”.5
It is well known that the technique used by the exponents of this movement was based on
a scientific matrix in order to enhance the propagation of light in all its fullness and complexity, derived from the studies into col-
our carried out by figures like Michel Eugène Chevreul, Charles Henry and James Clerk Maxwell. A brushstroke that broke down
chromatic material into subtle stretches and miniscule lines arranged in filaments and thick textures enabled Giovanni Segantini,
Gaetano Previati, Angelo Morbelli, Emilio Longoni, Carlo Fornara and Pellizza to obtain extraordinarily evocative effects, producing
images impregnated, so to speak, with natural luminosity and transfigured together. The independence of Divisionism from French
Neo-impressionism, while constituting its premise and historic precedent, is in fact clear both in the technical differences (the Ital-
1 Hans Sedlmayr, La Luce nelle sue manifestazioni artistiche (1960), edited by Roberto Masiero, Aesthetica, Palermo 1994².
2 Ibi, p. 64.
3 See Graziella FedericiVescovini, Le teorie della luce e della visione ottica dal IX al XV secolo. Studi sulla prospettiva medievale e altri saggi, Morlacchi, Perugia 20063
.
4 Sedlmayr, cit., p. 69.
5 Cit. in Paul Nicholls, “… testimonianze tra loro correlate”, in il Divisionismo. Pinacoteca Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, Skira - Fondazione
Cassa di Risparmio di Tortona, Milano 2012, p. 23.
44
ians are not “pointillists”), and in the subject and the ethos, the underlying spirit, which never gives an impression of “calculation”
or the cold application of established principles but allows an ideal and emotional participation to transpire.
The attempt to combine these outcomes with the contemporary products of the creative talent of an artist like Raul Gabriel,
with his Black paintings and White paintings, works that shrink from a clear separation between figuration and aniconism, may seem
bold. Two series, moreover, that move in different directions: the Whites, with their filamentous trajectories, halos and sign-like
lumps, in the search for an intimate structure of the real, evoked not by way of “similarity” or analogy but rather by formal equiva-
lents that denote precise entities of the physical being; the Blacks, thickened with dense enamels and corrugated surfaces, designed as
investigations and experiments of pure pictorial fact, the optical and mental make-up of vision, of the refraction of light on matter.
Paradoxically, therefore, it is in the Black paintings that we can see a meticulous study of the rendering of the phenomenon of light
and its specific nature, in which a theoretical kinship can be identified with the Divisionists’ research and methods.
Firstly, Raul Gabriel reminds us that black does not exist in painting but rather that there are many possible and different blacks.
The use of the term, moreover, is conventional: given that the “black body” is an ideal object of physics, which absorbs all incident elec-
tromagnetic radiation without reflecting it, that is, absorbing it entirely, it must be said that we do not find perfectly “black” bodies in
nature. The energy of photons, transferred to the electrons, atoms and molecules of a material, is always “returned” through refraction: the
difference between a very dark colour and a light one lies in the percentage of electromagnetic radiation that is reflected from the object,
rather low in the first case and high in the second. It should not therefore be surprising that Raul Gabriel’s Black paintings are more “rich
in light” than might be expected, as well as internally diversified by the degree of opacity. The pictorial problem tackled in these canvasses
is not so dissimilar from that posed by the Neo-impressionists and the Divisionists trying to increase – through the combination of little
brushstrokes of pure colours – the luminosity of their works. It is only that Raul Gabriel pursues this objective through paradox, showing
us how even a painting totally in black can produce a spectacular effect and an impression of light, thanks to the use of the enamels and
their irregular and “biological”6
arrangement on the medium, which leads to a vast range of shades, dialectics and shiny-opaque contrasts.
The artist himself said of his Black paintings: “In my black paintings, the process of ‘painting with light’ lies in the shiny black base and
the creation of a ‘skin’ (the brushstrokes) that then captures the reflected light”.7
Raul Gabriel, it is noted, spoke of something mobile and
dynamic, of the movement of electromagnetic radiation, of the hand that spreads out the chromatic material, of the eye and the brain
that look and perceive; in a nutshell, if the Divisionists deal with juxtaposition, in him we find ourselves looking at a process that is never
resolved once and for all but makes the work constantly alive and, through his intentions, in dialogue with the observer. So it is an ideal
continuation of the “painting of light” of Pellizza and Previati, implemented, more than a century later, by an entirely different method
but on the basis of aims not so dissimilar as they may appear.
Certainly, with the Divisionists, the brushstrokes were chromatically diverse while, in the Black paintings, they are always and
only in black, but it must not be forgotten that black is, by subtractive synthesis, the sum of all the colours, the result – enclosing
all – of the entire spectrum.
On the occasion of this exhibition in Tortona, Raul Gabriel also attempts an additional parallelism, his Deposition (from the
series of the Writings) coming close to the charcoal and pencil of Pellizza da Volpedo’s The return of the shipwrecked to the country
(or The drowned, or The shipwrecked) of 1894. Clearly, they are worlds very far apart but, beyond a compositional layout that reveals
certain convergences, they are united by the idea of the autonomy of drawing, not as preparation for a later pictorial result but as
the theme and substance of the work.
Paolo Bolpagni
6 I use this adjective because the intention seems to be to create, over a uniform background, a sort of organic membrane, like that of a living being.
7 Extract from a note sent to the writer on 31 July 2017.
45
Space as light as space.
The Black and White paintings of Raul Gabriel
Alessandro Beltrami
The Black paintings and the White paintings are probably the most classical outcome so far of the painting of Raul Gabriel. Not,
clearly, in the sense of an aspiration to be compared with tradition, however noble: something improbable if not impossible for an
artist who has always looked on the institutionalisation of the aesthetic canons with suspicion. But observed over the entire course of
a quest that is on its way to being twenty years long - as much regarding the early works, where the physical urgency of the painting
was transformed into fitful gestures so extravagant as to totally occupy the space, as it regards the acidity of the polystyrene, among the
most advance points of contemporary research, a three-dimensional transcription of a pictorial gesture, or as it regards the calibrated
graphical tension of Viae Crucis – the “blacks” and the “whites” diverge through the monumental magniloquence (even in small for-
mat) of the means and the colours, rigour that appears as the outcome of a suspension and a separation. Calm grandeur and noble
simplicity are perceived, always in a dramatic form, and the force of the paradox in writing that in relation to Gabriel is tangible. In
these works, there is the absence of the background noise that elsewhere Raul Gabriel raises to the loudest volume possible so that
we do not forget what life is made of.
These are also works – perhaps not by chance – where the encounter with the theme of light within Gabriel is revealed for the
first time. In a different way because, behind the apparent mirror of yin and yang, as we will see, black and white are two series with a
reciprocal kinship. Of the two, it is the Black paintings that work with light in a decisive way and, this is revealed by the juxtaposition
with the masters of Divisionism of the Fondazione Cassa di Risparmio of Tortona.
The divisionist painters no longer paint colour as if it were an intrinsic component of the material but as a reaction of the mate-
rial to light. Colour contains a variable, a relative measurement dependent on the timbre of the light and this is why they prefer the
extreme hours of the morning and nightfall or the unusual and artificial tones of electric lighting to the full light of day. Not just
that. In this analysis of the phenomenon of light that even fills the air, left to shine under our eyes acquiring thickness and dimension,
in this atomisation, the divisionists recognise in light a true physical dimension. But under the pretext of investigating the scientific
mechanism, of evoking an energetic vitality or the application of the technique to a “social” iconography, the divisionists always seek
the deep reflections of light on the human soul. “The shattered and dispersed image,” as he wrote in a historical monograph dedicated
to Angelo Morbelli Mirella Poggialini, one of the most astute scholars of Divisionism and often active within the rooms of the Tor-
tona picture gallery, “is recomposed on the canvas, objectively and metaphysically, by means of continuous subjectification, always
new to new eyes: and a way of collaborating in the creation of the image is left open to those who observe, since – especially when
looking at a divisionist painting – the spectator communicates a little of himself to the object observed, in addition to what his retina
(his and no-one else’s) sees and collects in the luminous dust in which form appears to be dispersed.”
The principle of splitting light, the structural basis of Divisionism, returns in another form in the Black paintings. Here, through
a sort of anti-painting (the canvasses are the outcome of the controlled pouring of paint), Raul Gabriel gives life to a shiny surface full
of meanders and clearings like an expansive and varied geography, called upon to collect the light in its variations of tone, intensity
and direction. Where the divisionists rationally analyse the whole in the various chromatic components, Gabriel shatters the whole
into as many integers that set the form vibrating. The divisionist juxtaposition, the outcome of an a priori mechanism, is replaced
here with a process implemented by the work itself. In both cases, however, the problem is always capturing the light.
The pictorial surface of the Black paintings is a film, a thin chemical film that contrasts with the blunt, inert black of the canvass.
Yet it has an apparent (real?) organic value. It is a sensitive skin, an extended and extendable surface capable of reacting to the envi-
ronment. The black film is a sensitive organ through which the body of the picture receives and even perceives light and reality. The
meanders that fill with light on one side show us the many possible “faces” of the panting, on the other and together, they are a real
46
epithelial fabric whose task is to protect, absorb and secrete. An epidermis that conceals and reveals, communicates and withholds.
In this lie the deepest processes of the painting of Raul Gabriel. Certainly, his works are the outcome of a complex operation in
which the margins of decision, control and risk are in flux and so the final result is evidence of an “event” even before the outcome of
the project. But the continuous change in time and space in the persistence of the given form ensure that the work is a “living body”.
According to the Brazilian pedagogue Paulo Freyre “el mundo no es, el mundo està siendo”. Replace the word “mundo” or world with
“painting” and you will have one of the best definitions of the work of Raul Gabriel.
The blacks and whites are united by the fact that, before being form, they are pure but not abstract space, provided internally with
their own articulation, elasticity and variable density. But the two series diverge in the structural dynamics. The Black paintings are a
fact of light to the extent they are a fact of space: where space is understood as real mass and not as simulation, an illusory phenome-
non or optical reconstruction. The whites, on the other hand, are a fact of space to the extent they are a fact of light. Light understood
in its twin nature as a wave and a particle. If the blacks reveal light by reflecting it, in the whites, Raul Gabriel works in reverse. Here,
a sort of magnetic or, rather, gravitational field attracts and absorbs the light, thickens it into an emulsion, giving it mass and volume.
It even makes it opaque (a phenomenon that makes its thickness clear, in the same way as the aerial perspective of Leonardo or the
atmospheric mists of Piccio) to demonstrate its tangibility. Form – often related in its fibrous structure more to the Writings than
the Black paintings - grows and becomes cartilage. Are the various blacks different forms of the same space? Are the various whites
different forms of the same light? It seems likely.
The White paintings, as Francesco Tedeschi had already realised, display strong points of contact with Xfiction (the most “classical”
outcome of Raul Gabriel in the video), where the transfiguration, or transendence, of matter into light is not celebrated but the re-
sistance and persistence of the body in light because light is also body. Some years ago, Gabriel presented an installation at the Jerome
Zodo Gallery in Milan (quite similar to one of his provocative statements) with a weightlifting barbell resting on the floor, entitling it
Light: a term that in English means both “light” and “lightness”. The viscosity of the whites not only gives space but also weight (the
pesanteur of Simone Weil) to the light, freeing it from the symbolism of disembodiment.
47
Raul Gabriel
Biography
Raul Gabriel was born in 1966 in the suburbs of Buenos Aires. Originally a musician, he switched to the visual arts in 2000. He
lives and works in Milan and London.
Francesco Tedeschi (Associate Professor of the History of Contemporary Art at the faculty of Literature and Philosophy of the Uni-
versità Cattolica): “Gabriel is a passionate and driven painter, just as he seemed fifteen years ago when he moved to Milan where, for some
years, he lived only for painting in a romantic and almost accursed way, undergoing all kinds of hardships. His immersion in chromatic
matter was then exclusive, like a vitalising bath. Painting from which, almost inevitably, the semblance of an image emerged, or perhaps
painting that originated from the image and did not succeed in denying it. He has never abandoned this double value, of the icon and its
denial, and it is still with him today, in what we can regard as another season of his art....”
Paolo Bolpagni (director of the Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti in Lucca.) :”Paradoxically, therefore,
it is in the Black paintings that we can see a meticulous study of the rendering of the phenomenon of light and its specific nature, in which
a theoretical kinship can be identified with the Divisionists’ research and methods (....) It should not therefore be surprising that Raul
Gabriel’s Black paintings are more “rich in light” than might be expected, as well as internally diversified by the degree of opacity.
Alessandro Beltrami ( art historian and journalist for the cultural pages of national newspaper “Avvenire”) writes: “In this lie the
deepest processes of the painting of Raul Gabriel. Certainly, his works are the outcome of a complex operation in which the margins
of decision, control and risk are in flux and so the final result is evidence of an “event” even before the outcome of the project. But
the continuous change in time and space in the persistence of the given form ensure that the work is a “living body”. According to
the Brazilian pedagogue Paulo Freyre “el mundo no es, el mundo està siendo”. Replace the word “mundo” or world with “painting”
and you will have one of the best definitions of the work of Raul Gabriel.
Biographies of the authors of the texts
Alessandro Beltrami is an art historian (he graduated with Maria Luisa Gatti Perer) and a journalist for the cultural pages of “Avvenire”,
where he covers a broad spectrum of contemporary arts as a critic and with investigations and reportage. He has published essays in
catalogues and articles in specialist magazines and has taken part in international conferences and study days on issues ranging from the
painting of the 18th
century to the relationship between the arts and the sacred in contemporary culture. In 2014, he edited a book on
the history and artistic heritage of Lodi Cathedral. He has a diploma in playing the piano.
Paolo Bolpagni is an art historian, cultural organiser and manager, university lecturer and curator.
After directing the Collezione Paolo VI - arte contemporanea museum, he is now director of the Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e
Carlo Ludovico Ragghianti in Lucca.
As a scholar, he has pursued certain specific areas of research in particular: the relationship between painting and music in the 19th
and
20th
centuries; Italian and European art between the end of the 19th
century and the beginning of the 20th
century (including aspects of
graphics and illustration); international abstractism up to the emergence of kinetic and programmed art; Italian and French art in the
fifties and sixties, including in its relationship with design; ‘visual scores’ and the verbo-visual studies of the neo-avante-garde; the rela-
tionship between art and the sacred dimension in the 20th
century.
He is one of the first art historians to make prodigious use of the new media: in 2011, he created a successful YouTube channel entitled
“Regola d’arte” (“State of the Art”). In 2013, he was awarded the Sulmona prize for art history.
LUCEBUIO  Raul Gabriel , low resolution, ex cotonificio delle piane-Fondazione Divisionismo Tortona-Museo Diocesano Tortona
LUCEBUIO  Raul Gabriel , low resolution, ex cotonificio delle piane-Fondazione Divisionismo Tortona-Museo Diocesano Tortona

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LUCEBUIO Raul Gabriel , low resolution, ex cotonificio delle piane-Fondazione Divisionismo Tortona-Museo Diocesano Tortona

  • 3.
  • 4. LUCEBUIO Raul Gabriel Tortona Museo Diocesano 8 ottobre - 26 novembre 2017 Ex Cotonificio Dellepiane 8 - 15 ottobre 2017
  • 5. LUCEBUIO RaulGabriel Progetto artistico promosso da: Museo Diocesano di Tortona, Fondazione C.R. Tortona, Comune di Tortona in occasione della “Settimana dell’arte e della musica” Tortona. Museo Diocesano. 8 ottobre - 26 novembre 2017 Ex Cotonificio Dellepiane. 8 - 15 ottobre 2017 Grafica catalogo Graziano Bertelegni Edo Edizioni Oltrepò via Emilia, 166 27058 Voghera (Pv) info@oltre.eu Stampa Pi.Me. - Pavia © 2017 Fondazione C.R. Tortona Stampato nel mese di Ottobre 2017 ISBN 9788897213154 In copertina: Gaetano Previati, La via del Calvario, 1913 ca, part., “il Divisionismo” Pinacoteca Fondazione C.R. Tortona Raul Gabriel, Danseuse #2, part., 2017 In copertina sul retro: Anton Maria Maragliano, Crocifisso, sec. XVIII, Museo Diocesano Tortona Raul Gabriel, Big Black, 2009, coll. privata
  • 6. 5 7 9 13 15 18 40 43 45 47 SOMMARIO Presentazione LUCEBUIO: la speranza oltre ogni oscurità Don Paolo Padrini Per una pittura della luce: dialoghi a distanza Paolo Bolpagni Spazio come luce come spazio. I Black e gli White painting di Raul Gabriel Alessandro Beltrami Docere et movere: arte antica e contemporanea a confronto con il sacro Alessandro Beltrami Catalogo opere Raul Gabriel Biografie For a painter of light: remote dialogues Paolo Bolpagni Space as light as space. The Black and White painting di Raul Gabriel Alessandro Beltrami Biographies
  • 7.
  • 8. 7 Nell’ambito delle manifestazioni legate alla figura di Lorenzo Perosi, illustre maestro e compositore originario di Tortona, i firmatari del Protocollo d’Intesa Perosi 2017 (Diocesi, Comune, Fondazione CR Tortona, Società Storica Pro Iulia Dertona e Famiglia orionina) hanno voluto proporre alcuni eventi legati all’arte figurativa ed alla musica, denominati “LUCEBUIO: la speranza oltre ogni oscurità”, convinti che non c’è luogo buio che non possa accogliere la speranza di una luce, non c’è luogo di morte che non possa diventare culla per una vita possibile, nella speranza. Il percorso di arte e di musica si realizza attraverso due esposizioni parallele e collegate, in luoghi distinti: l’ex Cotonificio Dellepiane e il Museo Diocesano. Significativa, anche in relazione alle tematiche, la scelta della location, ovvero l’area industriale dell’ex Cotonificio Dellepiane, un tempo viva dal punto di vista della produttività economica, ora in disuso, ma capace – con molte potenzialità inespresse – di diventare nuovamente luogo di incontro, cultura, promozione sociale. Qui è allestita dall’8 al 15 ottobre, nel fabbricato principale in fase di ristrutturazione, una personale dell’artista italo-argentino Raul Gabriel. Nel contempo si propone un percorso artistico presso il Museo Diocesano, nel quale si trovano a dialogare sullo stesso tema alcune opere appartenenti al Museo, alla Pinacoteca “il Divisionismo” della Fondazione Cassa di Risparmio diTortona e dello stesso artista Raul Gabriel. Tale esposizione vede quindi accanto a opere antiche, capolavori del Divisionismo e installazioni contemporanee. L’originale accostamento di queste opere si offre come stimolo per una sempre maggiore valorizzazione del nostro patrimonio artistico e culturale, motore di crescita sociale nel contesto odierno. Don Paolo Padrini Direttore Artistico Perosi 2017 LUCEBUIO: la speranza oltre ogni oscurità
  • 9. 8 Nella pagina a lato: Big Black #2, detail 2, 2009
  • 10. 9 La concezione della luce come entità ben precisa, degna di essere esaminata e studiata, risale alle origini della scienza moderna. Da sempre, però, in maniera più o meno consapevole, essa è uno degli elementi fondanti del linguaggio delle arti visive, in ogni epoca e civiltà. Può essere intesa in senso fisico, ottico, fenomenico, psicologico, oppure in chiave simbolica o religiosa. Le modalità della sua raffigurazione segnano le tappe di un itinerario storico che affonda le radici nei tempi più remoti: secondo una leggenda raccontata da Plinio il Vecchio, la pittura stessa sarebbe nata dal contraltare della luce, ossia dall’ombra. Lo studioso austriaco Hans Sedlmayr (1896-1984), esponente della grande scuola viennese, dedicò al tema della dimensione luminosa nell’espressione artistica alcuni scritti di straordinaria profondità, tra cui un breve e densissimo saggio1 che indaga la luce nella prospettiva della metafisica, della simbolica e della mistica, ma anche come fenomeno della natura e della tecnica. L’architet- tura stessa è letta da Sedlmayr secondo un’angolazione che ne evidenzia nessi a volte insospettabili: dal complesso di Stonehenge, con la sua pianta circolare e l’orientamento che ne denunciano un chiaro riferimento ai culti solari, alla piramide egizia, interpreta- ta nei termini di “luce versata” del dio Atum-Re. Nelle cattedrali gotiche le grandi aperture dei rosoni e la concezione dello spazio sono sorrette da una teologia della claritas, mentre in epoca barocca assistiamo al trionfo dei monumentali ostensori a raggiera. Ovviamente, come scrisse Sedlmayr, «dalla metafisica della luce […] fiorisce un’estetica della luce»2 , che portò a considerare quale elemento preponderante, nel giudizio valutativo, il grado di sfavillio dell’opera3 , sicché la scelta stessa dei materiali, nei di- pinti dal XIII al XV secolo, rispondeva spesso a tale criterio, per esempio con profusione dei fondi oro. Tutto ciò, del resto, non è valido soltanto per il Medioevo: anche nel luminismo di Leonardo da Vinci troviamo un forte sostrato metafisico, declinato però in senso neoplatonico-umanistico; invece, per la pittura di Jan Vermeer, Sedlmayr parla di una «mistica della luce secolarizzata»4 . Il progressivo distaccarsi dalla trascendenza tipico dell’età moderna e contemporanea si ripercuote sulla trasfigurazione 1 Hans Sedlmayr, La Luce nelle sue manifestazioni artistiche (1960), a cura di Roberto Masiero, Aesthetica, Palermo 1994. 2 Ibi, p. 64. 3 Cfr. Graziella Federici Vescovini, Le teorie della luce e della visione ottica dal IX al XV secolo. Studi sulla prospettiva medievale e altri saggi, Morlacchi, Perugia 20063. 4 Sedlmayr, cit., p. 69. Per una pittura della luce: dialoghi a distanza Paolo Bolpagni Nella pagina a lato: Raul Gabriel BODY #1 part., acrilico e resina su tela 2009
  • 11. 10 In alto: Bottega lombarda Compianto su Cristo Morto terracotta, 1570-80 Museo Diocesano di Tortona Sopra: Giuseppe Pellizza Il ritorno dei naufraghi al paese carboncino e matita su carta beige, 1894 “il Divisionismo” Pinacoteca Fondazione C.R. Tortona Sopra: Raul Gabriel DEPO #3 bitume, acrilici e grafite su tela 2014 artistica del dato luminoso, con vari e sfaccettati effetti: dall’esaltazione della percezione visiva effimera e dell’apparire mutevole e cangiante delle cose da parte degli Impressionisti, fino alle trasparenze di molti astrattisti e poi di Rothko e altri pittori; e se ampliamo il discorso ai nuovi media, noteremo che il tema della luce sarà spesso posto al centro dell’at- tenzione, tanto da potersi parlare di una vera e propria Light Art. La questione è fondamentale anche per il Divisionismo italiano: come ebbe a scrivere Giuseppe Pellizza da Volpedo, «certe idee trovano la loro espressione massima nei fenomeni luminosi»5 . È ben noto che la tecnica utilizzata dagli espo- nenti di questa corrente per esaltare nella sua pienezza e complessità il propagarsi della luce aveva una matrice scientifica, derivando dagli studi sul colore compiuti da personaggi come Michel Eugène Chevreul, Charles Henry e James Clerk Ma- 5 Cit. in Paul Nicholls, “… testimonianze tra loro correlate”, in Il Divisionismo. Pinacoteca Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, Skira - Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, Milano 2012, p. 23.
  • 12. 11 xwell. Una pennellata che scomponeva la materia cromatica in tratti sottili e minuscole linee disposte in filamenti e fitte trame consentiva a Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Angelo Morbelli, Emilio Longoni, Carlo Fornara e allo stesso Pellizza di ottenere effetti di straordinaria suggestione, restituendo immagini impregnate, per così dire, di una luminosità naturale e insieme trasfigurata. L’autonomia del Divisionismo dal Neoimpressionismo francese, che pure ne costituisce il presupposto e precedente storico, risulta infatti evidente sia nelle differenze tecniche (gli italiani non sono “puntinisti”), sia nei soggetti e nell’ethos, nello spirito di fondo, che non dà mai un’impressione di “calcolo” e fredda applicazione di princìpi precostituiti, ma lascia trasparire una partecipazione ideale ed emotiva. Potrebbe sembrare ardito il tentativo di accostare quegli esiti ai prodotti contemporanei dell’estro creativo di un artista come Raul Gabriel, con i suoi Black paintings e White paintings, opere che anzitutto rifuggono da una netta separazione tra figurazione e aniconismo. Due serie, peraltro, che muovono in direzioni diverse: i “bianchi”, con le loro traiettorie filamentose, gli aloni e i grumi segnici, alla ricerca di un’intima struttura del reale, evocata non per via di “somiglianze” o analogie, bensì di corrispettivi formali che denotano precise entità dell’essere fisico; i “neri”, densi di smalti rappresi e cor- rugamenti della superficie, pensati come indagini e sperimentazioni del puro fatto pittorico, del comporsi ottico e mentale della visione, del rifrangersi della luce sulla materia. Paradossalmente, quindi, è proprio nei Black paintings che possiamo ravvisare uno studio meticoloso della resa del fenomeno luminoso e della sua natura specifica, nella quale individuare un’ipotetica parentela con le ricerche e i metodi divisionisti. In primis, Raul Gabriel ci ricorda che in pittura non esiste il nero, ma che ci sono invece molti possibili e differenti neri. L’uso del termine, del resto, è convenzionale: posto che il “corpo nero” è un oggetto ideale della fisica, che assorbe tutta la radiazione elettromagnetica incidente senza rifletterla, ossia assorbendola interamente, occorre dire che in natura non troviamo corpi perfettamente “neri”. L’energia dei fotoni, ceduta agli elettroni, agli atomi e alle molecole del materiale, è sempre comunque “restituita” attraverso la rifrazione: la differenza tra un colore molto scuro e uno chiaro sta nella per- centuale di radiazione elettromagnetica che è riflessa dall’oggetto, assai bassa nel primo caso, alta nel secondo. Non deve perciò stupire che i Black paintings di Raul Gabriel siano più “ricchi di luce” di quanto ci si aspetterebbe, nonché diversi- ficati al proprio interno per grado di opacità. Il problema pittorico trattato in queste tele non è troppo dissimile da quello che si erano posti i Neoimpressionisti e i Divisionisti cercando di accrescere – tramite l’accostamento di piccole pennellate di colori puri – la luminosità delle proprie opere. Soltanto che Raul Gabriel persegue tale obiettivo per via di paradosso, mostrandoci come persino un dipinto giocato totalmente sul nero possa ottenere un effetto spettacolare e un’impressione di luce, grazie all’utilizzo degli smalti e alla loro irregolare e “biologica”6 disposizione sul supporto, che determina una vastissima gamma di sfumature, di dialettiche e opposizioni lucido-opaco. L’artista stesso così si esprime a proposito dei suoi Black paintings: «Nei miei neri il processo di “pittura della luce” sta nella base nera lucida e nella strutturazione di una “pelle” (le pennellate) che poi cattura la luce in seconda intenzione»7 . Raul Gabriel, si noti, parla di qualcosa di mobile e dinamico, del movimento della radiazione elettromagnetica, della mano che stende la materia cromatica, dell’occhio e del cervello di chi guarda e percepisce; insomma, se per i Divisionisti si trattava di accostamento, in lui ci troviamo di fronte a un processo, che non è mai risolto una volta per sempre, ma rende l’opera costantemente viva e, nelle sue intenzioni, dia- 6 Uso questo aggettivo perché l’intenzione sembra quella di creare, sopra il fondo uniforme, una sorta di membrana organica, come di un essere vivente. 7 Estratto da una nota inviata allo scrivente in data 31 luglio 2017.
  • 13. 12 Scuola emiliana Pietà (fine sec. XVII - inizi sec. XVIII) olio su tela Museo Diocesano Tortona Angelo Barabino La pietà olio su tela, 1932 “il Divisionismo” Pinacoteca Fondazione C.R. Tortona Raul Gabriel DEPO BLACK #1 bitume e acrilico su tela 2017 logante con l’osservatore. Dunque è un prosieguo ideale della “pittura della luce” di Pellizza e Previati, attuato, a oltre un secolo di distanza, con tutt’altro metodo, ma sulla base di finalità non tanto dissimili quali potrebbero apparire. Certo, nei Divisionisti le pennellate erano cromaticamente eterogenee, mentre nei Black paintings pur sempre e solo di nero si tratta, ma non bisogna dimenticare che comunque il nero è, per sintesi sottrattiva, la somma di tutti i colori, la risultante – che tutto racchiude – dell’intero spettro. In occasione di questa mostra a Tortona Raul Gabriel tenta anche un ulteriore parallelismo, avvicinando la sua Deposi- zione (della serie dei Writings) al carboncino e matita di Pellizza da Volpedo Il ritorno dei naufraghi al paese (o L’annegato, o I naufraghi) del 1894. Evidentemente sono mondi lontanissimi, ma, al di là di una struttura compositiva che rivela alcune consonanze, comune è l’idea di un’autonomia del disegno, che non è preparatorio a un successivo approdo pittorico, ma diventa esso stesso tema e sostanza dell’opera.
  • 14. 13 I Black painting e gli White painting sono probabilmente l’esito fino a ora più classico della pittura di Raul Gabriel. Non, evidentemente, nel senso di un’aspirazione al confronto con la tradizione, per quanto nobile: fatto improbabile se non impossibile per un artista che ha sempre guardato con sospetto l’istituzionalizzazione dei canoni estetici. Ma osservate nell’intero corso di una ricerca che si avvia a essere ventennale – tanto rispetto alle prime opere dove l’urgenza fisica della pittura si tramutava in una gestualità convulsa e così strabordante da occupare in modo totalizzante lo spazio, tanto rispet- to all’acidità dei polistiroli, tra le punte più avanzate della ricerca contemporanea, trascrizione tridimensionale di un gesto pittorico, o tanto ancora al calibrato nervosismo grafico delle Viae Crucis – i “neri” e i “bianchi” si staccano per magnilo- quenza monumentale (anche nel piccolo formato), radicale selezione dei mezzi e dei toni, rigore che appare come frutto di una sospensione e di un distacco. Si avverte quieta grandezza e nobile semplicità, ed è sensibile la forza del paradosso nello scriverlo in relazione a Gabriel, in una forma sempre drammatica. In questi lavori è assente quel rumore di fondo che invece altrove Raul Gabriel alza al massimo del volume possibile perché non ci dimentichiamo di che pasta è fatta la vita. Sono anche – e forse non è un caso – i lavori dove per la prima volta si fa aperto in Gabriel il confronto con il tema della luce. In maniera differente, perché dietro l’apparente specchio di yin e yang, come vedremo, neri e bianchi sono due serie con una relativa parentela reciproca. Tra i due, sono i Black painting a lavorare in maniera determinante con la luce, e a rivelarlo è proprio l’accostamento con le opere dei maestri del Divisionismo della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona. I pittori divisionisti non dipingono più il colore come se fosse una componente intrinseca della materia, ma come reazione della materia alla luce. Il colore contiene una variabile, una misura relativa dipendente dal timbro della luce, ed ecco perché alla piena luminosità del giorno preferiscono le ore estreme dell’alba e del crepuscolo o i toni inediti e artificiali dell’illuminazione elettrica. Non solo. In questa analisi del fenomeno luminoso che investe anche l’aria, la quale si mette a brillare sotto i nostri occhi acquisendo spessore e dimensione, in questa atomizzazione i divisionisti riconoscono alla luce una propria dimensione fisica. Ma anche sotto il pretesto di indagare il meccanismo scientifico, di evocare un vitalismo energetico o l’applicazione della tecnica a una iconografia “sociale”, i divisionisti cercano sempre i riflessi profondi della luce sull’animo umano. “L’immagine frantumata e dispersa – come scriveva in una storica monografia dedicata ad Angelo Morbelli Mirella Poggialini, una delle più acute studiose del Divisionismo e più volte attiva tra le sale della pinacoteca tortonese – si ricompone sulla tela, oggettiva e metafisica, per mezzo di una soggettivazione continua, sempre nuova ad occhi nuovi: e a chi guarda è lasciato modo di collaborare alla creazione dell’immagine, poiché – specialmente osservando un quadro divisionista – lo spettatore comunica all’oggetto guardato un po’ di sé, aggiunge a ciò che la sua retina (la sua e non altra) vede e raccoglie nel pulviscolo luminoso su cui pare sperdersi la forma”. Il principio di frazionamento della luce, base strutturale del Divisionismo, ritorna sotto altra forma nei Black painting. Spazio come luce come spazio. I Black e gli White painting di Raul Gabriel Alessandro Beltrami
  • 15. 14 Qui, attraverso una sorta di antipittura (le tele sono frutto di colate controllate di vernice) Raul Gabriel dà vita a una superficie lucida fitta di meandri e radure, come una estesa e variata geografia, chiamata a raccogliere la luce nelle sue va- riazioni di tono, intensità, direzione. Dove i divisionisti analizzano razionalmente il totale nelle varie componenti cromatiche, Gabriel frantuma l’intero in altrettanti interi che pongono la forma in vibrazione. All’accostamento divisionista, frutto di un meccanismo a priori, si sostituisce qui un processo messo in atto dall’opera stessa. In entrambi i casi però il problema è sempre catturare la luce. La superficie pittorica dei Black painting è un film, una sottile pellicola chimica che contrasta con il nero ottuso e inerte della tela. Eppure essa ha un apparente (reale?) valore organico. È una pelle sensibile, una superficie estesa ed estensibile capace di reagire all’ambiente. La pellicola nera è un organo sensitivo attraverso cui il corpo del quadro recepisce e persino percepisce la luce e la realtà. I meandri che si riempiono di luce da una parte ci mostrano i tanti “volti” possibili del quadro, dall’altra e insieme sono un vero e proprio tessuto epiteliale il cui compito è proteggere, assorbire, secernere. Un’epidermide che nasconde e rivela, comunica e trattiene. In questo sta la natura processuale più profonda della pittura di Raul Gabriel. Certo, i suoi lavori sono frutto di un’opera- zione complessa in cui i margini di decisione, controllo e aleatorietà sono fluttuanti e quindi il risultato finale è testimonianza di un “evento” prima ancora che esito progettuale. Ma il continuo mutare nel tempo e nello spazio nella persistenza della forma data fa sì che l’opera sia un “corpo vivo”. Secondo il pedagogo brasiliano Paulo Freyre “el mundo non es, el mundo està siendo”. Sostituite “quadro” a “mondo” e avrete una delle migliori definizioni del lavoro di Raul Gabriel. I neri e bianchi sono accomunati dal fatto che prima di essere forma sono spazio puro ma non astratto, dotato al suo interno di una propria articolazione, elasticità e variabile densità. Ma le due serie divergono nelle dinamiche strutturali. I Black painting sono un fatto di luce nella misura in cui sono un fatto di spazio: dove spazio è inteso come estensione reale e non come simulazione, fenomeno illusivo o ricostruzione ottica. I bianchi sono invece un fatto di spazio nella misura in cui sono un fatto di luce. Luce intesa nella sua duplice natura ondulatoria e corpuscolare. Come i neri rivelano la luce riflettendola, nei bianchi Raul Gabriel opera all’inverso. Qui una sorta di campo magnetico o, meglio, gravitazionale attrae e assorbe la luce, la addensa in un’emulsione, le dà massa e volume. La rende persino opaca (un fenomeno che ne rende evidente lo spessore, allo stesso modo della prospettiva aerea di Leonardo o delle brume atmosferiche del Piccio) per dimostrarne la tangibilità. La forma – spesso imparentata, nella struttura fibrosa, ai Writing più dei Black painting – cresce, si fa cartilagine. Sono i diversi neri diverse forme dello stesso spazio? Sono i diversi bianchi diverse forme della stessa luce? Appare probabile. I White painting, come già aveva intuito Francesco Tedeschi, presentano forti punti di contatto con Xfiction (l’esito più “classico” di Raul Gabriel nel video), dove non si celebra il trasfigurare della materia nella luce, ossia il trascendere, ma la resistenza e la persistenza del corpo nella luce perché anche la luce è corpo. Alcuni anni fa Gabriel aveva presentato alla Jerome Zodo Gallery di Milano un’installazione (assai simile a uno dei suoi provocatori statement) con un disco per bilanciere da palestra appoggiato sul pavimento, intitolandola Light: un termine che in inglese sta sia per “leggero” che per “luce”. La viscosità dei bianchi restituisce non solo spazio ma anche un peso (la pesanteur di Simone Weil) alla luce, liberandola dal simbolismo della disincarnazione.
  • 16. 15 Nel Museo diocesano di Tortona le tele di Raul Gabriel sono messe in dialogo con opere del XVI e XVII secolo. Quando si pongono a confronto sul piano del sacro un’opera d’arte antica con una moderna o contemporanea, una delle questioni che emerge è se e dove si possa riconoscere, al di là di fratture o connessioni stilistiche e linguistiche come pure al di là di una apparente comunanza iconografica, una vera continuità interna e profonda. Questo costringe a una riflessione su quale possa essere il cuore dell’“arte sacra” (usiamo qui per comodità il termine nella più diffusa delle accezioni, sebbene il tema richiederebbe una molteplicità di sfumature, da arte spirituale a religiosa, da arte a soggetto sacro fino a arte per e nella liturgia). Spesso ci si domanda se sia sufficiente che un dipinto contemporaneo abbia un titolo, una forma o una semplice suggestione che richiami, ad esempio, alla croce perché questo sia “sacro”. Più raramente, questa domanda viene rivolta alle opere del passato, per le quali si dà per assodata la “sacralità”. Invece è questa forse l’autentica questione. Il Compianto su Cristo Morto (1570-1580) in terracotta dipinta, proveniente dall’ex oratorio del Crocifisso, eredita la lunga tradizione dei compianti medievali e vi si riconosce la qualità retorica dei gruppi scultorei delle cappelle dei Sacri Monti. La Depo di Raul Gabriel è un grumo allungato, una forma che pare in cerca di se stessa. Le due opere, lontanissime tra loro, hanno in comune non una radice formale o estetica ma la capacità di generare empatia. Riusciamo a riconoscere nel nero tormentato di Gabriel il corpo di Cristo morto non perché lo sembri ma perché sentiamo esserlo, e nella sua verità più profonda: kenosis, dubbio, attesa. È proprio quanto accade, con altri mezzi, nel Compianto tardocinquecentesco. Lì l’artista non si è limitato a docere (visualizzare la storia sacra) né soltanto a movere (il pathos dell’episodio), ma ha scelto di docere movendo e movere docendo. È proprio nella disgiunzione tra docere e movere, e nel loro impoverimento, il problema di gran parte dell’arte sacra realizzata negli ultimi due secoli, più ancora che il disinteresse da parte della committenza verso l’evoluzione del linguaggio artistico. Il problema è l’aver pensato che quello dell’arte in ambito sacro fosse semplicemente un fatto di modelli iconografici (a cui non poteva non corrispondere la banalità dello stile). Un’immagine il cui unico scopo è la riconoscibilità dell’enunciato è solo apparentemente pedagogica perché in realtà semplice strumento mnemotecnico. Oppure, dall’altra parte, un’immagine popolarmente sentimentale la cui facile presa è dovuta alla sua stessa superficialità, che neppure rasenta la superficie di quel mistero che invece vorrebbe e dovrebbe rappresentare. Nessuna di queste vie è in grado né di docere né di movere autenticamente, ossia di convincere e sedimentare nel profondo il contenuto di cui sono portatrici: un’operazione che richiede invece un certo margine di rischio e ambizione. La secchezza del docere mnemotecnico e il languore del movere sentimentale sono perfettamente funzionali a un sistema centrato su una devozione fondata sull’adempimento rituale, mentre il docere movendo (e viceversa) ha la capacità di attivare in profondità e dare una direzione forte alla devozione più autentica e intima, tanto personale quanto comunitaria (nell’intrinseca debolezza della Docere et movere. Arte antica e contemporanea a confronto con il sacro Alessandro Beltrami
  • 17. 16 devozione rituale una volta privata del contesto che ne fornisce l’impalcatura sociale si può forse riconoscere uno dei fattori dell’erosione della pratica religiosa contemporanea). Questo è però un problema antico e sta ad esempio alla base, almeno in parte, delle querelle attorno ai dipinti di Caravaggio. Si confronti la Morte della Vergine con l’Assunta di Carlo Saraceni chiamata a sostituirla in Santa Maria della Scala, tanto abilmente dipinta quanto normalizzante rispetto all’immaginario devozionale. Ma quale delle due è teologicamente non solo più ricca ma anche più “corretta”? Potremmo fare ancora un passo ulteriore e individuare un gruppo di opere (particolarmente numeroso, forse persino maggioritario) la cui funzione è solo strumentale, essere cioè semplice “terminale visivo” di una preghiera. Qui non è più neppure questione né di movere né di docere perché l’opera non deve neppure “parlare”. Possiamo allora allargare l’orizzonte e ripensare i veri termini del confronto: che non è dunque tra arte antica e contemporanea sul sacro, ma di arte antica e contemporanea con il sacro. L’autentico docere non è un’operazione di conferma e irrobustimento di certezze ma l’apertura della coscienza: l’insegnamento di Cristo nei Vangeli è quanto di più destabilizzante abbia mai conosciuto la storia umana. In docere e, in misura ancora più trasparente, in movere c’è uno dei cardini del pensiero di Raul Gabriel: il movimento vitale generato da uno sbilanciamento. Il movere è dunque un cedere a se stessi, uno scivolare fuori dalle proprie rigidità, frante dal colpo d’ariete vibrato dal riconoscimento di una verità. La grande opera d’arte è la prova di tutto questo: non solo perché irradia attorno a sé un’onda destabilizzante nei confronti di chi osserva ma perché è anche rivelatrice rispetto alle opere che vi stanno attorno. Big black, il Grande nero di Raul Gabriel è uno di questi casi. A Tortona è accostato al Crocifisso di Anton Maria Maragliano (1664- 1739), una scultura tecnicamente eccellente e molto espressiva. Ma cosa accade davanti alla tela monumentale di Gabriel? Quest’ultima non è “davvero” una croce. È un grande segno a T, un tau forse, persino una forma uterina, eppure sono pochi i dubbi che si tratti di una croce e soprattutto del corpo crocefisso. Il Grande nero nega ogni appiglio narrativo, eppure trattiene chiusa nell’immane pressione dell’istante tutta la densità del racconto. Big black ha una potenza tellurica contro la quale nessuna opera debole riesce a conservare la sua maschera, rivelando così di essere figura e non icona, decorazione e non struttura, favola e non Storia. Se nel Grande nero noi identifichiamo la croce e soprattutto colui che vi è crocifisso, senza che essi appaiano in modo esplicito, è perché la forza di quest’opera risucchia insieme allo sguardo tutti noi stessi nella sua profondità. Identificazione è dunque un riconoscere che non è dato da un’apertura di credito ma da un moto irresistibile che porta il sé verso e dentro l’altro. Nella storia il cristianesimo ha sempre avuto chiaro che l’arte è un potente mezzo di identificazione. L’immagine del crocifisso è stata uno dei principali strumenti per consentire al fedele di identificarsi con Cristo, attivando quei processi di assimilazione di carattere empatico al cui studio ha dato un contributo essenziale Edith Stein. Ad esempio il crocifisso da tavolo o da inginocchiatoio, oggetto pressoché scomparso se non come soprammobile d’antiquariato, è lo specchio in cui il devoto contemplava la carne di Dio che è la propria, così che l’esperienza spirituale dell’uomo potesse identificarsi con quella fisica di Cristo. I processi empatici e il modo in cui attivarli sono resi evidenti ad esempio nelle numerose opere in cui si mostrano i santi in contemplazione di Gesù crocifisso, al punto da poter supporre che l’arte fornisse sia lo “strumento” che le “istruzioni per l’uso”. Si può osservare nella cronologia di queste iconografie un progressivo avvicinamento da parte del devoto al corpo di Cristo, dalla contemplazione a distanza (XV secolo) fino all’abbraccio e al bacio (XVII-XVIII): un’empatia che dalla consonanza spirituale arriva al contatto fisico. Spesso l’opera d’“arte sacra” viene descritta come un traino verso l’alto, quasi un “ascensore” di bellezza, oppure come
  • 18. 17 un luogo epifanico, dove Dio discende sulla terra. È invece il luogo di un incontro, quasi in parità (perché empatico è il moto divino verso la sua creatura), di una risonanza tra il corpo, la storia e il “presente” di Cristo e il corpo, la storia e il presente dell’uomo. Dunque l’arte sacra non è un problema di rendere “visibile l’invisibile”, semmai di “riconoscere ciò che è già visibile”: un atto che teologicamente si radica in tutti quei passi evangelici (dalla nascita a dopo la resurrezione) il cui cuore è l’agnizione di Gesù come il Cristo. Al di là delle differenti “retoriche”, nelle forme drammatiche e perfettamente modellate del Compianto o del Crocifisso di Anton Maria Maragliano di Tortona e in quelle esplose, nervose, dense di interrogativi di Raul Gabriel, sentiamo in azione proprio questo, ossia l’aprirsi di una finestra al cui interno, come in uno specchio, scrutiamo e riconosciamo un volto di verità che è anche il nostro. Anton Maria Maragliano Crocifisso sec. XVIII Museo Diocesano Tortona Raul Gabriel Big Black 2009 coll. privata
  • 19. 18
  • 20. 19 BIG BLACK bitume e acrilico su tela 2009 Nella pagina a lato: BIG BLACK #2 particolare
  • 21. 20 ZOO #14 acrilici bitume su tela 2009 MEMENTO #2 bitume e acrilico su tela 2013
  • 22. 21 ZOO #6 bitume e acrilico su tela 2013 ZOO #18 bitume e acrilico su tela 2013
  • 23. 22 ZOO #22 acrilici bitume su tela 2014 DEPO BLACK #1 bitume e acrilico su tela 2017
  • 24. 23
  • 25. 24
  • 26. 25 a sinistra: DANSEUSE#3 bitume e acrilico su tela 2017 a destra: DANSEUSE #2 particolare
  • 27. 26 a sinistra: DANSEUSE #2 particolare a destra: ZOO #44 bitume e acrilico su tela 2017
  • 28. 27
  • 29. 28
  • 30. 29 nella pagina a lato: ZOO #8 bitume e acrilico su tela 2013 a destra: ZOO #31 bitume e acrilico su tela 2013
  • 31. 30 WRITING #2 grafite, resina e bitume su tela 2009 WRITING #40 grafite, resina e bitume su tela 2016 nella pagina a lato: WRITING #28 bitume, acrilici e grafite su tela 2014
  • 32. 31
  • 33. 32 WRITING #35 grafite, resina e bitume su tela 2016 WRITING #15 grafite, resina e bitume su tela 2014
  • 34. 33 HORSE grafite, resina e bitume su tela 2015 SHE grafite, resina e bitume su tela 2010
  • 35. 34
  • 36. 35 FLO WHITE resina e acrilico su tela 2010 nella pagina a lato: WHITE HEART resine acrilici su tela 2013
  • 37. 36 BIG WHITE resina e acrilico su tela 2009 nella pagina a lato: WHITE#12 grafite resina bitume su tela 2015
  • 38. 37
  • 39. 38
  • 40. 39 nella pagina a lato: ZAYIN acrili resina su tela 2016 a destra: BODY #1 acrilic resina su tela 2009
  • 41. 40 “Raul Gabriel, artista italoargentino dalla sua felice posizione di outsider mette in crisi con le sue incursioni le strutture conso- lidate della contemporaneità”. (Alessandro Beltrami) Raul Gabriel nasce nel 1966 nei sobborghi di Buenos Aires. Da musicista passa alle arti visive nel 2000. Vive e lavora tra Milano e Londra. Di lui scrive Francesco Tedeschi (Professore associato di Storia dell’arte contemporanea, facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica): “Gabriel è pittore passionale e pulsionale, come si è presentato una quindicina d’anni fa, trasferen- dosi a Milano, dove per alcuni anni ha vissuto solo di pittura, in modo romantico e quasi maledetto, attraverso tutte le possibili privazioni. La sua immersione nella materia cromatica era allora esclusiva, come un bagno vitalizzante. Una pittura dalla quale emergeva, quasi inevitabilmente, una parvenza d’immagine, o forse una pittura che dall’immagine prendeva le mosse, per non riuscire a negarla. Questa doppia valenza, dell’icona e della sua negazione, non l’ha mai abbandonato e lo accompagna ancora oggi, in quella che possiamo considerare un’altra stagione della sua arte...” Paolo Bolpagni (Direttore della Fondazione Ragghianti di Lucca - arte contemporanea) scrive: “Nelle opere realizzate da questo singolare artista – argentino di nascita, italianissimo per ethos e formazione, ma corroborato da significative esperienze anglosassoni – troviamo non l’esistenza in quanto categoria astratta, bensì l’esistente che si incarna concretamente nella persona umana. Nemico giurato dell’assolutizzazione idolatrica del Concettuale e delle sue propaggini e filiazioni epigoniche, Raul Gabriel non vuole produrre una pittura filosofico-speculativa, ma ha deciso di fare i conti con il soggetto umano colto nella sua profondità enigmatica. Proprio in questo modo, però, ci aiuta a comprendere quel che accade intorno e in noi, suscitando inter- rogativi di ampia portata e conducendoci al di là dell’immediato e del visibile”. Alessandro Beltrami infine: “...In questo sta la natura processuale più profonda della pittura di Raul Gabriel. Certo, i suoi lavori sono frutto di un’operazione complessa in cui i margini di decisione, controllo e aleatorietà sono fluttuanti e quindi il ri- sultato finale è testimonianza di un “evento” prima ancora che esito progettuale. Ma il continuo mutare nel tempo e nello spazio nella persistenza della forma data fa sì che l’opera sia un “corpo vivo”. Secondo il pedagogo brasiliano Paulo Freyre “el mundo non es, el mundo està siendo”. Sostituite “quadro” a “mondo” e avrete una delle migliori definizioni del lavoro di Raul Gabriel”. Raul Gabriel Biografia
  • 42. 41 Alcune mostre (dal 2006 - 2017) 2006 “Raul Gabriel, Welcome to his planet”, a cura di Dafydd Roberts (Londra, Broadbent Gallery) 2007 “Raul Gabriel, Traffic Lights Concert”, (Milano, Spazio Oberdan) 2007 “Raul Gabriel, Grain Circles”, a cura di Gianluca Marziani (Roma, Galleria Pino Casagrande) 2007 “Raul Gabriel, Urban Trash”, (Milano, Grossetti arte contemporanea) 2008 “ Raul Gabriel, Colorenoncolore”, (Perugia galleria Armory) 2010 “Raul Gabriel, Silkocoons” progetto concept Via della Seta, (Shangai, World Expo) 2011 “Raul Gabriel, Bak2Berlin”, (Berlino, galleria Artmbassy) 2011“Raul Gabriel, GudBike”, a cura di Gianluca Marziani (Spoleto, Palazzo Collicola) 2012 “CUBE”, group show +50 del Cinquantenario della scultura a cura di Gianluca Marziani (Spoleto) 2012 “Raul Gabriel, Topos Tomie”, a cura di Paolo Bolpagni (Perugia, Palazzo Conestabile della Staffa) 2013 “Lumen Ray” group show internazionale (Milano, Jerome Zodo Gallery) 2013 “Raul Gabriel, Caro Cardo”, a cura di Francesco Tedeschi (Santa Maria degli Angeli, Museo della Porziuncola) 2013 “Raul Gabriel, Worm$” a cura di Guido Cabib (Milano, The Format contemporary art gallery) 2014 “OnetoOne”, (Pavia, Broletto Centro Arte Contemporanee) 2014 “Raul Gabriel, IL segno il Corpo Il Sacro” (Brescia, Museo Diocesano e Collezione Paolo VI Arte contemporanea) 2014 “Sinopie”, Raul Gabriel incontra Lucio Fontana, a cura di Paolo Biscottini (Milano, Museo Diocesano, Sala Lucio Fontana) 2014 “Raul Gabriel, Virtual Apraxia”, a cura di Roberto Diodato e Guido Cabib (Milano, The Format contemporary art gallery) 2015 “Raul Gabriel, Back2Berlin”, a cura di Haim Baharier (Milano, Auditorium San Fedele) 2015 “Raul Gabriel, Xfiction” (Brescia, Piazza della Loggia e Duomo Vecchio) 2016 ”Si Fece Carne”, group show internazionale con Nan Goldin, Mark Wallinger, Raul Gabriel, Adrian Paci e altri (Firenze Basilica Me- dicea di San Lorenzo) 2016 “XXI Triennale di Milano, “Design behind Design” (Milano , MUDI) 2017 “Raul Gabriel, The Glorious Nothing”, a cura di Nicoletta Castellaneta e Fondazione Rivolidue (Milano, Teatro Pacta Salone) Principali interventi e azioni artistico-filosofiche (dal 2010-2017) 2010 “I martedi critici”, Raul Gabriel , a cura di Alberto Dambruoso (Roma, I martedi critici) 2013 “Raul Gabriel, 5 chairs: Passaggi di Stato”, a cura di Roberto Diodato, Azione artistico-filosofica (Milano Dipartimento di Estetica, Universita Cattolica) 2015 “Raul Gabriel, The One Investigation”, a cura di Giancarlo Lacchin (Milano, Università Statale, Dipartimento di Filosofia) 2016 “Raul Gabriel, Distopia di una sedia”, a cura di Giancarlo Lacchin (Milano, Università Statale, Dipartimento di Filosofia) 2016 “Premio Michetti”, a cura di Luciano Caramel (Francavilla, Museo Michetti) 2017 “Filosofia e Arti Figurative”, dibattito con Giuseppe di Giacomo ordinario estetica della Sapienza e Raul Gabriel artista, a cura di Elio Franzini, ordinario di Estetica Università Statale di Milano (Milano, Casa della Cultura).
  • 43. 42 Alessandro Beltrami è storico dell’arte (si è laureato con Maria Luisa Gatti Perer) e giornalista delle pagine culturali di “Avvenire” dove, come critico e con inchieste e reportage, si occupa ad ampio spettro delle arti contemporanee. Ha pubblicato saggi in cataloghi e articoli in riviste specializzate e ha partecipato a convegni internazionali e giornate di studi su temi che spaziano dalla pittura del Settecento al rapporto tra arti e sacro nella contemporaneità. Nel 2014 ha curato un volume sulla storia e il patrimonio artistico della Cattedrale di Lodi. È diplomato in pianoforte. Paolo Bolpagni è uno storico dell’arte, organizzatore e manager culturale, docente universitario e curatore. Dopo aver diretto il museo Collezione Paolo VI - arte contemporanea, è ora direttore della Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti di Lucca. Come studioso, finora ha coltivato in particolare alcuni specifici settori di ricerca: i rapporti tra pittura e musica nel XIX e XX secolo; l’arte italiana ed europea tra fine ’800 e inizio ’900 (compresi gli aspetti della grafica e dell’illustrazione); l’astrattismo internazionale, fino agli esiti cinetici e programmati; l’arte italiana e francese degli anni ’50-’60, anche nelle sue relazioni con il design; le ‘partiture visive’ e le ricerche verbo-visuali delle neoavanguardie; i rapporti fra l’arte e la dimensione del sacro nel ’900. È uno dei primi storici dell’arte a usare ampiamente i nuovi media: nel 2011 ha creato un canale YouTube di successo, “Regola d’arte”. Ha vinto nel 2013 il Premio Sulmona per la storia dell’arte.
  • 44. 43 For a painter of light: remote dialogues Paolo Bolpagni The concept of light as a precise entity, worthy of examination and study, dates from the beginnings of modern science. In a more or less conscious way, however, it has always been one of the founding elements of the visual arts, in every age and culture. It can be understood in a physical, optical, phenomenal or psychological way, or in a symbolic or religious light. The methods of its depiction mark the stages of a historical itinerary that goes deep into the roots in the most remote times: according to a legend related by Pliny the Elder, a painting should be created by countering light, that is, with shade. The Austrian scholar, Hans Sedlmayr (1896-1984), an exponent of the great Viennese School, produced a number of papers of extraordinary depth dedicated to the theme of the dimension of light in artistic expression, including a short but very comprehensive essay1 that investigates light from the metaphysical, symbolic and mystical perspective but also as a phenomenon of nature and technique. Even architecture is read by Sedlmayr from a point of view that sometimes reveals unsuspected connections: from the complex of Stone- henge, with its circular layout and orientation that are a clear reference to sun worship to the Egyptian pyramid, interpreted in terms of “light poured” by the god Atum-Re. In Gothic cathedrals, the large openings of the rosettes and the concept of space are underpinned by a theology of claritas, while in the baroque epoch, we see the triumph of the monumental radiating monstrances. Obviously, as Sedlmayr wrote, “from the metaphysics of light […], an aesthetic of light blossoms”,2 which resulted in the degree to which the work3 shone being considered as the dominant element in judging the work, and so the choice of the materials in the paintings of the 13th to the 15th century often responded to this criterion, for example with a profusion of gold backgrounds. All this, moreover, is not only valid for the Middle Ages: we also find a strong metaphysical foundation in the luminosity of Leonardo da Vinci, expressed however in a neo-Platonic, humanistic sense; on the other hand, regarding the painting of Jan Vermeer, Sedlmayr speaks of a “mystic of secularised light”.4 The gradual detachment from the transcendence typical of the modern, contemporary era impacts on the artistic transfigura- tion of light, with various, multifaceted effects: from the enhancement of the ephemeral visual perception and the changeable and changing appearance of things by the Impressionists to the transparency of many abstract artists and later Rothko and other painters; and if we broaden the discussion to the new media, we see that the theme of light is often at the centre of attention, to the point of being able to speak of a true Light Art. The question is also fundamental for Italian Divisionism: as Giuseppe Pellizza da Volpedo wrote, “certain ideas find their utmost expression in luminous phenomenon”.5 It is well known that the technique used by the exponents of this movement was based on a scientific matrix in order to enhance the propagation of light in all its fullness and complexity, derived from the studies into col- our carried out by figures like Michel Eugène Chevreul, Charles Henry and James Clerk Maxwell. A brushstroke that broke down chromatic material into subtle stretches and miniscule lines arranged in filaments and thick textures enabled Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Angelo Morbelli, Emilio Longoni, Carlo Fornara and Pellizza to obtain extraordinarily evocative effects, producing images impregnated, so to speak, with natural luminosity and transfigured together. The independence of Divisionism from French Neo-impressionism, while constituting its premise and historic precedent, is in fact clear both in the technical differences (the Ital- 1 Hans Sedlmayr, La Luce nelle sue manifestazioni artistiche (1960), edited by Roberto Masiero, Aesthetica, Palermo 1994². 2 Ibi, p. 64. 3 See Graziella FedericiVescovini, Le teorie della luce e della visione ottica dal IX al XV secolo. Studi sulla prospettiva medievale e altri saggi, Morlacchi, Perugia 20063 . 4 Sedlmayr, cit., p. 69. 5 Cit. in Paul Nicholls, “… testimonianze tra loro correlate”, in il Divisionismo. Pinacoteca Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, Skira - Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, Milano 2012, p. 23.
  • 45. 44 ians are not “pointillists”), and in the subject and the ethos, the underlying spirit, which never gives an impression of “calculation” or the cold application of established principles but allows an ideal and emotional participation to transpire. The attempt to combine these outcomes with the contemporary products of the creative talent of an artist like Raul Gabriel, with his Black paintings and White paintings, works that shrink from a clear separation between figuration and aniconism, may seem bold. Two series, moreover, that move in different directions: the Whites, with their filamentous trajectories, halos and sign-like lumps, in the search for an intimate structure of the real, evoked not by way of “similarity” or analogy but rather by formal equiva- lents that denote precise entities of the physical being; the Blacks, thickened with dense enamels and corrugated surfaces, designed as investigations and experiments of pure pictorial fact, the optical and mental make-up of vision, of the refraction of light on matter. Paradoxically, therefore, it is in the Black paintings that we can see a meticulous study of the rendering of the phenomenon of light and its specific nature, in which a theoretical kinship can be identified with the Divisionists’ research and methods. Firstly, Raul Gabriel reminds us that black does not exist in painting but rather that there are many possible and different blacks. The use of the term, moreover, is conventional: given that the “black body” is an ideal object of physics, which absorbs all incident elec- tromagnetic radiation without reflecting it, that is, absorbing it entirely, it must be said that we do not find perfectly “black” bodies in nature. The energy of photons, transferred to the electrons, atoms and molecules of a material, is always “returned” through refraction: the difference between a very dark colour and a light one lies in the percentage of electromagnetic radiation that is reflected from the object, rather low in the first case and high in the second. It should not therefore be surprising that Raul Gabriel’s Black paintings are more “rich in light” than might be expected, as well as internally diversified by the degree of opacity. The pictorial problem tackled in these canvasses is not so dissimilar from that posed by the Neo-impressionists and the Divisionists trying to increase – through the combination of little brushstrokes of pure colours – the luminosity of their works. It is only that Raul Gabriel pursues this objective through paradox, showing us how even a painting totally in black can produce a spectacular effect and an impression of light, thanks to the use of the enamels and their irregular and “biological”6 arrangement on the medium, which leads to a vast range of shades, dialectics and shiny-opaque contrasts. The artist himself said of his Black paintings: “In my black paintings, the process of ‘painting with light’ lies in the shiny black base and the creation of a ‘skin’ (the brushstrokes) that then captures the reflected light”.7 Raul Gabriel, it is noted, spoke of something mobile and dynamic, of the movement of electromagnetic radiation, of the hand that spreads out the chromatic material, of the eye and the brain that look and perceive; in a nutshell, if the Divisionists deal with juxtaposition, in him we find ourselves looking at a process that is never resolved once and for all but makes the work constantly alive and, through his intentions, in dialogue with the observer. So it is an ideal continuation of the “painting of light” of Pellizza and Previati, implemented, more than a century later, by an entirely different method but on the basis of aims not so dissimilar as they may appear. Certainly, with the Divisionists, the brushstrokes were chromatically diverse while, in the Black paintings, they are always and only in black, but it must not be forgotten that black is, by subtractive synthesis, the sum of all the colours, the result – enclosing all – of the entire spectrum. On the occasion of this exhibition in Tortona, Raul Gabriel also attempts an additional parallelism, his Deposition (from the series of the Writings) coming close to the charcoal and pencil of Pellizza da Volpedo’s The return of the shipwrecked to the country (or The drowned, or The shipwrecked) of 1894. Clearly, they are worlds very far apart but, beyond a compositional layout that reveals certain convergences, they are united by the idea of the autonomy of drawing, not as preparation for a later pictorial result but as the theme and substance of the work. Paolo Bolpagni 6 I use this adjective because the intention seems to be to create, over a uniform background, a sort of organic membrane, like that of a living being. 7 Extract from a note sent to the writer on 31 July 2017.
  • 46. 45 Space as light as space. The Black and White paintings of Raul Gabriel Alessandro Beltrami The Black paintings and the White paintings are probably the most classical outcome so far of the painting of Raul Gabriel. Not, clearly, in the sense of an aspiration to be compared with tradition, however noble: something improbable if not impossible for an artist who has always looked on the institutionalisation of the aesthetic canons with suspicion. But observed over the entire course of a quest that is on its way to being twenty years long - as much regarding the early works, where the physical urgency of the painting was transformed into fitful gestures so extravagant as to totally occupy the space, as it regards the acidity of the polystyrene, among the most advance points of contemporary research, a three-dimensional transcription of a pictorial gesture, or as it regards the calibrated graphical tension of Viae Crucis – the “blacks” and the “whites” diverge through the monumental magniloquence (even in small for- mat) of the means and the colours, rigour that appears as the outcome of a suspension and a separation. Calm grandeur and noble simplicity are perceived, always in a dramatic form, and the force of the paradox in writing that in relation to Gabriel is tangible. In these works, there is the absence of the background noise that elsewhere Raul Gabriel raises to the loudest volume possible so that we do not forget what life is made of. These are also works – perhaps not by chance – where the encounter with the theme of light within Gabriel is revealed for the first time. In a different way because, behind the apparent mirror of yin and yang, as we will see, black and white are two series with a reciprocal kinship. Of the two, it is the Black paintings that work with light in a decisive way and, this is revealed by the juxtaposition with the masters of Divisionism of the Fondazione Cassa di Risparmio of Tortona. The divisionist painters no longer paint colour as if it were an intrinsic component of the material but as a reaction of the mate- rial to light. Colour contains a variable, a relative measurement dependent on the timbre of the light and this is why they prefer the extreme hours of the morning and nightfall or the unusual and artificial tones of electric lighting to the full light of day. Not just that. In this analysis of the phenomenon of light that even fills the air, left to shine under our eyes acquiring thickness and dimension, in this atomisation, the divisionists recognise in light a true physical dimension. But under the pretext of investigating the scientific mechanism, of evoking an energetic vitality or the application of the technique to a “social” iconography, the divisionists always seek the deep reflections of light on the human soul. “The shattered and dispersed image,” as he wrote in a historical monograph dedicated to Angelo Morbelli Mirella Poggialini, one of the most astute scholars of Divisionism and often active within the rooms of the Tor- tona picture gallery, “is recomposed on the canvas, objectively and metaphysically, by means of continuous subjectification, always new to new eyes: and a way of collaborating in the creation of the image is left open to those who observe, since – especially when looking at a divisionist painting – the spectator communicates a little of himself to the object observed, in addition to what his retina (his and no-one else’s) sees and collects in the luminous dust in which form appears to be dispersed.” The principle of splitting light, the structural basis of Divisionism, returns in another form in the Black paintings. Here, through a sort of anti-painting (the canvasses are the outcome of the controlled pouring of paint), Raul Gabriel gives life to a shiny surface full of meanders and clearings like an expansive and varied geography, called upon to collect the light in its variations of tone, intensity and direction. Where the divisionists rationally analyse the whole in the various chromatic components, Gabriel shatters the whole into as many integers that set the form vibrating. The divisionist juxtaposition, the outcome of an a priori mechanism, is replaced here with a process implemented by the work itself. In both cases, however, the problem is always capturing the light. The pictorial surface of the Black paintings is a film, a thin chemical film that contrasts with the blunt, inert black of the canvass. Yet it has an apparent (real?) organic value. It is a sensitive skin, an extended and extendable surface capable of reacting to the envi- ronment. The black film is a sensitive organ through which the body of the picture receives and even perceives light and reality. The meanders that fill with light on one side show us the many possible “faces” of the panting, on the other and together, they are a real
  • 47. 46 epithelial fabric whose task is to protect, absorb and secrete. An epidermis that conceals and reveals, communicates and withholds. In this lie the deepest processes of the painting of Raul Gabriel. Certainly, his works are the outcome of a complex operation in which the margins of decision, control and risk are in flux and so the final result is evidence of an “event” even before the outcome of the project. But the continuous change in time and space in the persistence of the given form ensure that the work is a “living body”. According to the Brazilian pedagogue Paulo Freyre “el mundo no es, el mundo està siendo”. Replace the word “mundo” or world with “painting” and you will have one of the best definitions of the work of Raul Gabriel. The blacks and whites are united by the fact that, before being form, they are pure but not abstract space, provided internally with their own articulation, elasticity and variable density. But the two series diverge in the structural dynamics. The Black paintings are a fact of light to the extent they are a fact of space: where space is understood as real mass and not as simulation, an illusory phenome- non or optical reconstruction. The whites, on the other hand, are a fact of space to the extent they are a fact of light. Light understood in its twin nature as a wave and a particle. If the blacks reveal light by reflecting it, in the whites, Raul Gabriel works in reverse. Here, a sort of magnetic or, rather, gravitational field attracts and absorbs the light, thickens it into an emulsion, giving it mass and volume. It even makes it opaque (a phenomenon that makes its thickness clear, in the same way as the aerial perspective of Leonardo or the atmospheric mists of Piccio) to demonstrate its tangibility. Form – often related in its fibrous structure more to the Writings than the Black paintings - grows and becomes cartilage. Are the various blacks different forms of the same space? Are the various whites different forms of the same light? It seems likely. The White paintings, as Francesco Tedeschi had already realised, display strong points of contact with Xfiction (the most “classical” outcome of Raul Gabriel in the video), where the transfiguration, or transendence, of matter into light is not celebrated but the re- sistance and persistence of the body in light because light is also body. Some years ago, Gabriel presented an installation at the Jerome Zodo Gallery in Milan (quite similar to one of his provocative statements) with a weightlifting barbell resting on the floor, entitling it Light: a term that in English means both “light” and “lightness”. The viscosity of the whites not only gives space but also weight (the pesanteur of Simone Weil) to the light, freeing it from the symbolism of disembodiment.
  • 48. 47 Raul Gabriel Biography Raul Gabriel was born in 1966 in the suburbs of Buenos Aires. Originally a musician, he switched to the visual arts in 2000. He lives and works in Milan and London. Francesco Tedeschi (Associate Professor of the History of Contemporary Art at the faculty of Literature and Philosophy of the Uni- versità Cattolica): “Gabriel is a passionate and driven painter, just as he seemed fifteen years ago when he moved to Milan where, for some years, he lived only for painting in a romantic and almost accursed way, undergoing all kinds of hardships. His immersion in chromatic matter was then exclusive, like a vitalising bath. Painting from which, almost inevitably, the semblance of an image emerged, or perhaps painting that originated from the image and did not succeed in denying it. He has never abandoned this double value, of the icon and its denial, and it is still with him today, in what we can regard as another season of his art....” Paolo Bolpagni (director of the Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti in Lucca.) :”Paradoxically, therefore, it is in the Black paintings that we can see a meticulous study of the rendering of the phenomenon of light and its specific nature, in which a theoretical kinship can be identified with the Divisionists’ research and methods (....) It should not therefore be surprising that Raul Gabriel’s Black paintings are more “rich in light” than might be expected, as well as internally diversified by the degree of opacity. Alessandro Beltrami ( art historian and journalist for the cultural pages of national newspaper “Avvenire”) writes: “In this lie the deepest processes of the painting of Raul Gabriel. Certainly, his works are the outcome of a complex operation in which the margins of decision, control and risk are in flux and so the final result is evidence of an “event” even before the outcome of the project. But the continuous change in time and space in the persistence of the given form ensure that the work is a “living body”. According to the Brazilian pedagogue Paulo Freyre “el mundo no es, el mundo està siendo”. Replace the word “mundo” or world with “painting” and you will have one of the best definitions of the work of Raul Gabriel. Biographies of the authors of the texts Alessandro Beltrami is an art historian (he graduated with Maria Luisa Gatti Perer) and a journalist for the cultural pages of “Avvenire”, where he covers a broad spectrum of contemporary arts as a critic and with investigations and reportage. He has published essays in catalogues and articles in specialist magazines and has taken part in international conferences and study days on issues ranging from the painting of the 18th century to the relationship between the arts and the sacred in contemporary culture. In 2014, he edited a book on the history and artistic heritage of Lodi Cathedral. He has a diploma in playing the piano. Paolo Bolpagni is an art historian, cultural organiser and manager, university lecturer and curator. After directing the Collezione Paolo VI - arte contemporanea museum, he is now director of the Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti in Lucca. As a scholar, he has pursued certain specific areas of research in particular: the relationship between painting and music in the 19th and 20th centuries; Italian and European art between the end of the 19th century and the beginning of the 20th century (including aspects of graphics and illustration); international abstractism up to the emergence of kinetic and programmed art; Italian and French art in the fifties and sixties, including in its relationship with design; ‘visual scores’ and the verbo-visual studies of the neo-avante-garde; the rela- tionship between art and the sacred dimension in the 20th century. He is one of the first art historians to make prodigious use of the new media: in 2011, he created a successful YouTube channel entitled “Regola d’arte” (“State of the Art”). In 2013, he was awarded the Sulmona prize for art history.