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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI
“LINK CAMPUS UNIVERSITY”
LAVORO 2.0 - SOCIAL RECRUITING E WEB
REPUTATION
RELATORE: CANDIDATO:
Chiar.mo Prof. Andrea Pugliese Andrea Niccolò Strummiello
ANNO ACCADEMICO 2014-15
2
INDICE
Introduzione
1° Capitolo - L’uso dei social network in Italia: tanto divertimento, poco business. Una
comparazione fra l’Italia ed il trend globale
1.1 Come si cerca lavoro oggi in Italia. Una comparazione con l’estero.
1.2 L’uso dei SN da parte dei recruiter all’estero
1.3 I job seeker “2.0” (non) sono tutti uguali
1.4 Social recruiting e capitale sociale.
1.5 Due diversi approcci al social recruiting: recruiter e job seeker
2° Capitolo - La rilevanza dell’uso dei social media nel matching fra candidati e
posizioni aperte
2.1 La cultura dell’uso dei SN fra i recruiter
2.2 La reale utilità di web e social network
2.3 Il social recruiting alla prova dei fatti: quando si assume e quando no
3° Capitolo - L’importanza della web (o digital) reputation
3.1 Misurare la reputazione è possibile
3.2 Una soluzione. Forse.
3.3 Come fare allora (sul web e sui social network)
3.4 Cura la brand reputation. Anche (e soprattutto) se non stai cercando un lavoro.
3.5 La reputation del recruiter e la sua “rete”: il networked recruiter
3.6 Come “attraggono” le aziende: employer branding
Bibliografia
3
INTRODUZIONE
La storia del lavoro, parallelamente all’evoluzione della tecnica e grazie alla costante
innovazione produttiva, ha fatto si che questa passasse da un modello cosiddetto
“fordista” a quello del “saper fare”. Oggi, nell’epoca del web il “saper fare”, però, non
può mancare di viaggiare in parallelo al “saper cercare” e al “saper valorizzare”. Entrano
così in gioco concetti quali la web reputation ed il social recruiting, introducendo nuovi
paradigmi e nuove mentalità, grazie al supporto dell’innovazione tecnologica.
Cosa intendiamo con questi due termini? La web reputation, intesa come la nostra carta
di identità online, vale tanto per le aziende ed i brand, quanto per i singoli (job seeker o
recruiter). Potremmo dire che è la nostra vetrina sul web, che raccoglie in maniera
dinamica (contenuti di testo e multimediali) la nostra storia ed un quadro descrittivo di
noi, composito, che evolve e assume un significato anche a seconda dei contesti. Come
tale, nell’epoca del web 2.0, la WR diventa la “prima impressione”, il proprio biglietto da
visita. Il social recruiting, invece, è l’attività di ricerca e selezione di candidati all’epoca
dei social network. Ma non si tratta solo di un’evoluzione dello strumento tecnologico
visto che, peraltro, il recruiting era già abbastanza web based grazie all’uso di portali e
siti dedicati. Il social recruiting impone così il paradigma e la logica dei social network,
determinando nuove dinamiche (come il networking e l’implementazione di reti sociali
avanzate) e nuove logiche (come il superamento della dicotomia privato-pubblico, o le
nuove modalità di valorizzazione di skills ed esperienze). Trattasi perciò di elementi oggi
irrinunciabili, tanto più oggigiorno in cui cercare lavoro è diventata un’attività sempre più
creativa.
Obiettivo del presente lavoro di tesi sarà perciò quello di analizzare questi trend, in Italia
e all’estero, per cercare di comprendere come sta riorganizzandosi il mondo del lavoro
alla luce della crisi (ormai superata?) e delle nuove sfide che ci impone il progresso
tecnologico e socio-culturale.
L’economia italiana continua a vacillare ma, al contempo è facile osservare che per chi è
già pronto a valutare nuovi percorsi lavorativi, la situazione appare più trasparente e
netta, proprio grazie ai trend oggetto di questo studio ed esattamente come avviene da
tempo all’estero. Infatti, «sempre più posizioni sono visibili online, dove è possibile
trovare una quantità di informazioni prima impensabile: informazioni sull’azienda, sulla
4
sua cultura e sul team, futuro manager incluso. Intanto, strumenti e processi nel settore
Talent Acquisition sono stati ridefiniti per individuare proattivamente i profili migliori
per il ruolo, anziché aspettare che siano i candidati a farsi avanti» (Linkedin Talent
Trends Italia 2014). Tutti questi elementi sono determinanti circa il modo in cui le
persone trovano e valutano le nuove opportunità di carriera e sul modo con cui chi si
occupa di selezione e risorse umane opera.
Tale obiettivo di ricerca è tanto più interessante quanto più questo s’inserisce nell’analisi
del Belpaese, che si presenta rispetto a tali fenomeni come una “anomalia”, per non dover
utilizzare la trita formula del “fanalino di coda”, del primo mondo. La ricerca si snoda
perciò attraverso alcuni quesiti, primo fra tutti, se la rigidità del mercato del lavoro
italiano può/potrà essere in qualche modo mitigata dall’azione di ricerca e di offerta del
lavoro tramite il web e attraverso la rete informale dei social newtork (?). Per non parlare
del fatto che l’incremento dell’uso del web e dei social network per la ricerca e l’offerta
di lavoro potrebbe ragionevolmente essere integrato nell’agenda digitale di cui il nostro
Paese si è dotata. Infatti, così come per altre soluzioni tecniche che verranno
implementate nei prossimi anni - Pec, fatturazione elettronica, firma digitale, etc. - anche
l’uso di questi applicati alla ricerca di lavoro consente un abbattimento dei costi e un
aumento della velocità, oltre che della tracciabilità, della misurabilità e, infine, una
riduzione dei costi. Peraltro, come è già realtà in Paesi come la Germania o il Regno
Unito, anche in Italia i Centri per l’Impiego (CPI) devono divenire sempre più degli
avamposti di marketing per matchare l’offerta e la domanda di lavoro; e in questo senso,
visti anche i vincoli dovuti ai bilanci nazionali e locali, l’uso degli strumenti web based
potrebbero consentire di realizzare tale missione? Forse si.
Ma è davvero così rivoluzionario il social recruiting al tempo della web reputation? Si.
Gli esempi potrebbero essere molti, ma basterebbe considerare che tramite i social
network, aziende e recruiter hanno a disposizione un bacino virtualmente illimitato di
candidati, in costante aumento e con dei profili sempre aggiornati. Con una sola ricerca si
riescono a trovare molti più candidati che non con i metodi tradizionali. Il risparmio, per
le aziende, rispetto ai servizi esterni di head-hunting è notevole, ed in tempo di crisi per
tutti non è insignifcante. Inoltre, il social recruiting supporta aziende e recruiter nei
processi di Talent Acquisition, Employer Branding e Comunicazione del proprio brand ad
5
un’audience mirata. Tradotto significa possibilità di targetizzare i candidati idonei,
ridurre i tempi e i costi dei processi legati alla gestione delle risorse umane, potenziare il
proprio brand e distinguersi rispetto alla concorrenza.
Le domande che l’analisi di questi due elementi – il social recruiting e la questione della
web/digital reputation – pone molti, moltissimi interrogativi. Le risposte non potranno
che essere il prodotto della sperimentazione e della spinta che, dal basso,
tradizionalmente contraddistingue il web. Ma, non solo dal “basso”. Perché anche
dall’alto – player privati e, più lentamente, anche quelli pubblici – non si resta a guardare,
e lo dimostra per esempio il fatto che i principali studi su cui tale lavoro è stato realizzato
siano frutto dei centri studio di operatori privati quali Linkedin e Adecco.
Tutti questi studi di settore dimostrano che i social media diverranno il nuovo mercato del
lavoro, magari anche con un piede nell’attività e nella funzione di orientamento al
lavoro? Ma, ad oggi, prassi e impatto di tutto questo non sono sempre chiari per job
seeker e recruiter, per quanto siano “2.0” appunto. Per certi versi – per deformazione
professionale, potremmo dire… – i recruiter sono forse un po’ più avanti dei job seeker
ma, in generale, parliamo di numeri in crescita. Per esempio, nel 2013 più della metà
(53%) dell’attività di recruiting ha riguardato internet, stimando una percentuale in
crescita fino al 61% per il 2014; il 29% dei job seeker è stato contattato tramite social
media, e un significativo 9% ha ricevuto tramite questi strumenti una offerta di lavoro; 1
job seeker su 2 utilizza i social media per ricercare lavoro, mentre li utilizzano per la loro
attività 7 recruiter su 10 (Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 –
Global Report). Parliamo già della metà del mondo del lavoro.
6
1° Capitolo - L’uso dei social network in Italia: tanto divertimento, poco business?
Una comparazione fra l’Italia ed il trend globale
1.1 Come si cerca lavoro oggi in Italia? Una comparazione con l’estero.
Siamo oggettivamente passati – anche in Italia, nonostante le maggiori resistenze – da un
modello di ricerca del lavoro (sia da parte delle aziende, che dei candidati) “post and
pray” (candidati e prega) ad un sistema più dinamico e di online network.
Se un tempo bastava affiggere un’offerta o farla pubblicare su un giornale di annunci, e
viceversa da parte del candidato, oggi lo scenario è profondamente mutato. E’ mutato
perché è mutato il mercato e, perciò, le interazioni fra (le curve di) domanda e di offerta
di lavoro. Siamo passati da una dinamica di “old
economy”:
…ad una di “new economy” in cui la ricerca/selezione di lavoro avviene così:
L’utilizzo dei social media in Italia per scopi di ricerca lavoro non è più un tabù come
dimostrano i dati Adecco1
, dove sul totale di chi utilizza i Social Network (89% degli
intervistati), il 67% li impiega anche per la ricerca di lavoro:
1
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers- Italia
(http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
7
Questo l’identikit del job seeker “social” italiano delineato dalla ricerca Adecco (2014):
Sempre dalla ricerca Adecco sopracitata, si nota come l’uso dei social media sia
generalmente più diffuso fra le donne e come queste percentuali crescano
significativamente al diminuire dell’età dell’intervistato. Ovviamente, poi, l’uso dei SN
aumenta se il job seeker è alla ricerca del suo primo lavoro (80%) o se trattasi di occupati
alla ricerca di un posto migliore (75%) e, infine, fra i disoccupati (73%).
I numeri2
ci dicono che nel 2014 il 56% dei job seeker italiani ha usato i social media per
distribuire il suo CV, il 23% è stato contattato almeno una volta da un recruiter mediante
questi stessi strumenti mentre (solo) il 7% ha ottenuto lavoro tramite i social media.
Anche in Italia, come all’estero, si osserva che l’uso dei SN per cercare lavoro è collegata
2
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers- Italia
(http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
8
al variare delle principali caratteristiche socio-demografiche dei job seeker, come
dimostra la ricerca Adecco:
L’utilizzo dei social media da parte di aziende e recruiter italiane per scopi, dunque,
professionali è ben rappresentato da questo grafico estratto dal rapporto Adecco:
9
Il problema, nel nostro Paese, sorge con le dimensioni aziendali. Infatti, se l’uso dei
social è piuttosto diffuso nelle grandi e nelle piccole aziende, la percentuale di
diffusione di questi nelle micro e nelle medie si dimezza:
(Fonte: Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers- Italia)
10
Da questo deriva, ovviamente, che il numero delle assunzioni fatte pel tramite di
internet (web tradizionale e social media) è differente a seconda delle dimensioni
aziendali, per cui le micro-imprese sono meno portate all’utilizzo di internet per la
ricerca del personale (32% sul totale delle assunzioni), mentre il numero aumenta
significativamente per le aziende con oltre 50 dipendenti:
(Fonte: Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers- Italia)
I dati dimostrano che i recruiter, in Italia, utilizzano ancora poco e male i social
network per fare recruiting. Ciononostante, fra i job seeker è via via più diffusa l’idea
che le aziende ricerchino “talenti” mediante i social media: lo pensa il 25%, ma il
31% è contrario3
. Guardando la ricerca Adecco del 2014 sul social recruiting4
si nota
3
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers- Italia
(http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
4
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 - Italia (http://www.adecco.com/industry-
insights/social-recruiting.aspx). L'indagine è stata svolta da Adecco intervistando tra il 18 marzo e il 2
giugno 2014 269 selezionatori italiani. Il campione è costituito prevalentemente da donne ( per il 64%),
11
come meno del 40% (il 30% se ci riferiamo al settore finanziario) dei recruiter
utilizza i social per scovare i candidati migliori e che quindi è il recruiting stesso il
settore ad essere più presente sui social media:
(Fonte: Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers- Italia)
Questo l’identikit del recruiter “social” italiano delineato dalla ricerca Adecco 2014:
nato tra il 1965 e l' '80 (59%), per lo più da laureati (77%), con almeno 5 anni di esperienza alle spalle
(70%).
12
Tuttavia la situazione italiana sembrerebbe far ben sperare a leggere i numeri forniti da
Adecco al riguardo dei recruiter che intenderanno utilizzare i SN nei prossimi 12 mesi5
,
significativamente in crescita secondo le stime.
1.2 L’uso dei SN da parte dei recruiter all’estero
In Italia «il 40% dei candidati utilizza Linkedin e più in generale i social per cercare o
cambiare il proprio posto di lavoro contro un appena decente 60% dei recruiter che lo
utilizza come strumento di lavoro. Già questo basterebbe a spiegare alcune cose del
sistema Italia (inteso come sistema fatto da noi italiani). In soldoni, c'è domanda ma
manca l'offerta»6
.
In realtà, anche a livello globale7
lo scenario non è molto più edificante se si considera
che il 40% dei job seeker trova lavoro grazie a contatti personali e attraverso il proprio
network, contro il 62% dei recruiter che trovano il loro miglior candidato mediante i
social (i dati Adecco 2014 parlano addirittura del 70% e che metà dell’attività di
recruitment è ormai web based). All’estero, infatti, le cose vanno un po’ meglio se
consideriamo che secondo una statistica di Jobvite8
l’86% del campione intervistato fra i
social job seeker ha almeno un account su uno dei principali Social Network. I dati sono
piuttosto emblematici:
• Il 76% del campione, ha trovato la sua attuale mansione attraverso Facebook;
• Il 40% del campione è stato contattato su Linkedin con una offerta di lavoro, ed il
34% ha condiviso un’opportunità di lavoro;
• Il 28% ha ricevuto una proposta di lavoro su Twitter.
5
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Recruiters- Italia
(http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
6
https://www.Linkedin.com/pulse/Linkedin-recruiters-ecco-come-mirko-saini
7
Jobvite - How Do Job Seekers Use Social Media? (http://linkhumans.com/social-recruiting/jobseekers-
social-media-study)
8
Jobvite - How Do Job Seekers Use Social Media? (http://linkhumans.com/social-recruiting/jobseekers-
social-media-study)
13
La situazione è ben diversa all’estero, dove - come dimostra la ricerca globale di Adecco
- a usare i social media (non solo Linkedin!) per cercare lavoro sono cinque persone su
dieci e sale al 70% la percentuale degli HR manager che li utilizzano in ufficio tutti i
giorni:
(Fonte: Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014)
Volendo considerar egli Stati Uniti come paradigma di uno dei Paesi più avanzati
nell’uso dei SN per cercare lavoro (passivamente o attivamente), avremmo questo
identikit9
:
9 Jobvite - How Do Job Seekers Use Social Media? (http://linkhumans.com/social-recruiting/jobseekers-
social-media-study)
14
1.3 I job seeker “2.0” (non) sono tutti uguali
Ovviamente no. Anche perché differenti Social Network implicano differenti opportunità
e modalità di azione10
. Tuttavia, è complicato trovare un fattore trasversale che possa
esemplificare e armonizzare a livello mondiale tutte le notevoli differenze presenti da
nazione a nazione. Sicuramente, però, uno dei fattori più interessanti (oltre al sesso e al
livello di studi) è l’età anagrafica del job seeker, cioè la discriminazione fondamentale fra
“Generazione Y” e non. Se consideriamo, per esempio, l’uso della tecnologia mobile per
il social recruiting, noteremo che solo il 3% degli over-55 sa come utilizzarli, contro il
33% della fascia 18-29 anni. Tuttavia, se consideriamo l’uso del SN più affermato per la
ricerca di lavoro (Linkedin), le differenze si abbattono notevolmente, e noteremo che il
10
Una divisione fondamentale fra i tre principali SN prevede che su Linkedin si curino i rapporti diretti, si
evidenzia la reputation, si qualificano le relazioni, e ci aggrega in Gruppi; Twitter: aggregatore di
informazioni, ricerche #job, #lavoro e simili; Facebook: ottima per lavorare sui ‘legami deboli’,
superficiale, costruisce e distrugge reputation (Cfr. Andrea Pugliese, lezione del 21 marzo).
15
17% dei 18-29 lo usa contro un significativo 10% degli over-55: una differenza tutt’altro
che abissale11
.
Le statistiche12
affermano che più il job seeker è giovane, molto formato e più hanno
probabilità di utilizzare i social media per cercare informazioni sulla capacità/esperienza
di dipendenti attuali in una società di interesse:
All’opposto di quanto fanno i “Millennials” (o Generation Y), i baby boomers (gli over-
50/55) non utilizzano i principali SN per cercare lavoro:
11
Jobvite, Job Seeker Nation Study 2015 (http://www.jobvite.com/wp-
content/uploads/2015/01/jobvite_jobseeker_nation_2015.pdf).
12
Jobvite, Job Seeker Nation Study 2015 (http://www.jobvite.com/wp-
content/uploads/2015/01/jobvite_jobseeker_nation_2015.pdf).
16
Sul fattore del livello di studi, tuttavia, non tutte le ricerche sono concordi. Alcune,
infatti, come quella di Adecco, sostengono che il livello di studi – così come l’età – non è
così determinante ai fini dell’uso dei social network a scopo di business:
(Fonte: Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014)
1.4 Social recruiting e capitale sociale.
Il social recruiting piace di più ai responsabili delle Risorse Umane, alla ricerca di nuovi
candidate, che ai candidati in cerca di offerte di lavoro. Infatti, sulla base dell’indagine
annuale di Adecco sul tema13
, si evidenzia che mentre metà dei recruiters si dice
soddisfatto dell’uso degli strumenti web e del social recruiting, fra i job seekers la
percentuale scende al 25% circa.
Un po’ più scontato è invece un altro risultato, cioè «il fatto che, per trovare lavoro, sia
necessario integrare le relazioni online con quelle offline. In questo modo si acquisisce
13
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 - Italia (http://www.adecco.com/industry-
insights/social-recruiting.aspx).
17
quello che è definito: “capitale sociale integrato”. Le relazioni online consentono infatti
non solo di costruire nuove relazioni con persone di status superiore, ma anche
incrementare la frequenza e la stabilità dei rapporti esistenti, approfondire la conoscenza
reciproca e intercettare più facilmente informazioni su offerte di lavoro disponibili»14
.
Infatti, utilizzando sempre i risultati della ricerca di Adecco, si evidenzia come in realtà
chi ha trovato effettivamente lavoro mediante il social recruiting o il web ha in realtà una
rete sociale già ricca15
, a dimostrazione di quanto pesi il capitale sociale pregresso dei
candidati16
, e del fatto che l’utilizzo dei social media per la ricerca di lavoro è meno
diffuso fra chi ha una rete debole (sia offline che online)17
.
Se l’uso di una piattaforma come Facebook è generalmente inteso come un’attività
afferente il tempo libero, diversa è la concezione che si ha, per esempio, di Linkedin. Job
seeker e recruiter, infatti, coltivano su uno strumento come questo delle reti sociali a
carattere professionale; su Facebook quasi sempre no. Quindi, per esempio, l’aggiunta
immotivata di “amici” su questo SN è inutile, oltre che malvisto, in quanto ogni “amico”
aggiunge – o toglie – valore alla nostra rete. Non è necessario conoscere tutti quanti ne
fanno parte ma, ognuno di questi, deve essere in qualche modo importante per la rete
sociale, soprattutto se parliamo di un job seeker.
Uno studio effettuato da Linkedin (Linkedin Italy Global Recruiting Trends 2013),
conferma questi dati, e afferma infatti che nel nostro Paese i SN professionali sono la
fonte in più rapida crescita per le assunzioni di qualità:
14
NinjaMarketing, Funziona il social recruiting in Italia? (www.ninjamarketing.it/2013/04/07/funziona-il-
social-recruiting-in-italia-infografica/).
15 Questa discorso vale a livello globale ed anche italiano. Su questo, però, è necessario fugare ogni
velleità. Infatti, anche parlando di rete online, non conta tanto la quantità/peso in numeri assoluti della
nostra rete, quanto la qualità. Per esempio, su Linkedin, non conterà avere “500+ collegamenti”, quanto
averne anche meno della metà ma tutti in linea con il nostro profilo e la nostra esperienza professionale.
16 La stessa ricerca dimostra, tuttavia, come anche a livello globale la stragrande maggioranza delle
persone in cerca di lavoro non è cosciente né di quanto siano importanti le reti sociali, né di quanto visibile
e accessibile (e a chi) sia il loro account. In generale, è statisticamente dimostrato che il primo canale per
l’incontro fra domanda ed offerta di lavoro è il passaparola: lo strumento “che fa rete” per antonomasia.
17
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers- Italia
(http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
18
Per fare un esempio “in casa”, si potrebbe citare il caso di Till Kaestner, Direttore
Commerciale di Linkedin per Germania, Austria e Svizzera che spiega così come ha
trovato il suo attuale impiego: «con l'aiuto della mia rete sociale! Ho appreso dalla
stampa che Linkedin intendeva ampliare le sue attività in Europa. Poiché la cosa mi
interessava, ho preso contatto con l'azienda tramite la mia rete online (con Linkedin, nota
bene). Il resto è stata pura formalità»18
.
Se mettiamo insieme la rete sociale e la misura dell’efficacia dei canali online per
l’incontro tra domanda e offerta, i risultati tradizionali (dove le voci “Parenti ed amici” ed
I “Contatti professionali precedenti” la fanno sempre da padroni…) vengono totalmente
sovvertiti. E’ stupefacente vedere come chi abbia una rete sociale ricca, nel 50% dei casi
trovi lavoro con un social network, mentre chi ha una rete sociale debole solo (si fa per
dire…) nel 22% dei casi19
. Insomma, una rete sociale ricca da il doppio delle possibilità
in più di trovare un lavoro grazie al social recruiting.
1.5 Due diversi approcci al social recruiting: recruiter e job seeker
L’approccio al social recruiting è molto diverso se analizzato dal punto di vista del
18
https://www.credit-suisse.com/it/it/news-and-expertise/topics/innovation.article.html/article/pwp/news-
and-expertise/2014/03/it/Linkedin-how-social-recruiting-works.html
19
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 - Italia (http://www.adecco.com/industry-
insights/social-recruiting.aspx).
19
recruiter o head hunter e del job seeker. Anzitutto, se parliamo di utilizzo dei social per
cercare forza lavoro, nonostante l’ampia gamma di piattaforme, la più utilizzata dai
recruiter è di gran lunga Linkedin. Invece, da parte dei job seeker prevale l’uso dei siti
specializzati e Linkedin non sembra uno degli strumenti più apprezzati. Esattamente
all’opposto di chi fa selezione. Chi fa selezione utilizza, infatti, Linkedin come uno dei
principali strumenti del recruiting “2.0”, al fine di migliorare soprattutto le basi del
recruiting stesso (ricerca, preselezione e assunzione dei migliori talenti), perché gli
obiettivi di selezione legati all’utilizzo dei social media sono qualitativi più che
quantitativi. Questi sono, infatti, gli obiettivi di selezione prefissati ricorrendo all’uso dei
social media:
(Fonte: Adecco, #SocialRecruiting, A global study/Recruiter. Report 2014 – Italia)
Dal punto di vista dei job seeker, secondo un recente studio20
, le piattaforme più usate
sono: Facebook (83%), Twitter (40%), Google+ (37%) e, infine, Linkedin (36%). Invece,
da quello dei recruiter: Linkedin (94%), Facebook (65%), Twitter (55%) e, ultimo,
Google+ (18%). La più grossa discrepanza la si rileva proprio su Linkedin, dove è
presente il 94% dei recruiter contro solo il 36% dei job seeker.
20
Jobvite - How Do Job Seekers Use Social Media? (http://linkhumans.com/social-recruiting/jobseekers-
social-media-study)
20
2° Capitolo - La rilevanza dell’uso dei social media nel matching fra candidati e
posizioni aperte
2.1 La cultura dell’uso dei SN fra i recruiter
Secondo alcuni osservatori21
, gli scarsi livelli di uso dei SN per motivi di lavoro
sarebbero dovuti anche alle policy aziendali in Italia sull'uso dei social, che
disincentivano (o impediscono del tutto) l’uso dei SN a scopi di recruiting. Policy
vecchie, orizzontali, che non differenziano l’uso da parte dei dipendenti dei SN,
impedendo così ai dipartimenti HR di utilizzarli a questi scopi, come dimostra questo
grafico:
Ne deriva che solo «il 36% delle aziende consiglia caldamente o obbliga i propri
recruiters ad utilizzare i social come strumento di lavoro […] Più l'azienda è piccola e
quindi maggiore sarebbe il bisogno di avvantaggiarsi nei confronti di quelle più grandi e
21
Mirko Saini, Linkedin & Recruiters: ecco come lo usano in Italia (conoscere per adeguarsi)
(https://www.Linkedin.com/pulse/Linkedin-recruiters-ecco-come-mirko-saini).
21
con mezzi finanziari maggiori, minore è l'input all'utilizzo del web e dei social»22
. E’
evidente come questa miopia sia dovuta alla considerazione – in se e per se corretta – che
Facebook e gli altri SN costruiscono statisticamente il fattore di maggior distrazione e
perdita di tempo dei dipendenti, tanto che il surf sul web supera pause caffè e sigarette sul
totale della giornata. E non stupisce, dunque, che solo il 24,8% dei recruiter ha ricevuto
adeguata formazione sull'uso dei social a scopi di recruiting. Non che nel resto del mondo
il livello sia particolarmente diverso, infatti a livello globale il 30% dei recruiter o di
coloro che lavorano in funzioni HR ha svolto corsi di formazione sui SN (ma un
significativo 61% non ha linee guida o sono disincentivati dall’utilizzare i SN)23
.
La situazione in Italia circa l’uso dei SN da parte dei recruiter a scopo professionale è
rappresentata da queste stime di Adecco:
Questi numeri fanno il pari col fatto che il 75% dei recruiter italiani non ha mai ricevuto
formazione in azienda per la selezione del personale tramite i social media24
. Tuttavia,
sempre dallo stesso rapporto, si apprende che l’attenzione delle aziende sui SN come
strumenti è maggiore se globalmente intesi; infatti monitorando se queste hanno o meno
delle linee guida/policy per l’uso (in generale) dei social media (es. casi critici) ben il
46% delle aziende afferma di averne una.
Ad ogni modo, pur utilizzandolo poco, lo strumenti dei social network è impiegato per
ricercare anzitutto i “migliori” candidati. Sempre dalla ricerca Adecco infatti
apprendiamo che oltre il 60% di tale attività è impiegata a individuare candidati mirati:
22
https://www.Linkedin.com/pulse/Linkedin-recruiters-ecco-come-mirko-saini
23
Adecco, #SocialRecruiting. A global study (2014) – global report (http://www.adecco.com/industry-
insights/social-recruiting.aspx).
24
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Recruiters- Italia
(http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
22
Una certa resistenza culturale, una scarsa alfabetizzazione digitale e molto altro,
sappiamo influiscono negativamente sull’uso professionale dei SN e sul social recruiting
in generale (sia dal lato dei job seeker che dei recruiter). Tuttavia, al di là delle apparenze
di facciata, la situazione italiana non sembrerebbe così distante dalla media mondiale. I
dati 2013 raccolti da Linkedin25
affermano che, in Italia e all’estero, la percezione dei
soggetti coinvolti è che i SN professionali avranno un impatto a lungo termine sul
recruiting:
25
Linkedin Italy Global Recruiting Trends 2013 (http://www.slideshare.net/Linkedin-talent-
solutions/global-recruiting-trends-2013-italy-italian).
23
Anche il rapporto Adecco 201426
è concorde nel rilevare il sempre maggior utilizzo dei
supporti web e social da parte dei recruiter, tanto che oltre il 50% delle attività di ricerca
del personale da parte delle aziende include già da ora il web, e si prevede che nel corso
del 2015 salirà al 70%.
2.2 La reale utilità di web e social network
Nel giro di pochi anni la risposta a questa domanda è profondamente cambiata in Italia e
la situazione va sempre più verso la media mondiale dove la metà dei job seeker ha
inviato una candidatura attraverso i social media, uno su tre è stato contattato online e
uno su dieci ha ricevuto una proposta27
. Superando una certa resistenza culturale e uno
scetticismo dovuto probabilmente alla volatilità ed alla (presunta) superficialità di tali
strumenti, anche nel nostro Paese negli ultimi anni il trend della ricerca di lavoro è andato
nella direzione del social recruiting.
Ovviamente non tutti i SN sono uguali ed altrettanto efficaci nella ricerca di lavoro.
Concentrandoci sui tre principali SN, come dimostra la ricerca di Jobvite, avremo che:
26
Adecco, #SocialRecruiting. A global study (2014) – global report (http://www.adecco.com/industry-
insights/social-recruiting.aspx).
27
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 (http://www.adecco.com/industry-
insights/social-recruiting.aspx).
24
Inaspettatamente, come evidenzia questo studio28
, non è Linkedin a farla da padrona fra i
job seeker che, quantitativamente, usano in maniera diretta o indiretta soprattutto
Facebook e Twitter per cercare opportunità di lavoro. Ovviamente, però, Linkedin è, e
resta, lo strumento universalmente più considerato come “serio” e idoneo alla ricerca di
lavoro, soprattutto per profili di un certo tipo. Questo studio, tuttavia, è la dimostrazione
della trasversalità che l’uso dei SN a scopo professionale consente: chi avrebbe, infatti,
mai pensato di poter trovare lavoro con un “tweet” fino a qualche anno fa? Infatti, sempre
lo stesso studio, dimostra che su Facebook e Twitter i job seeker sono maggiormente
propensi a barare sui loro profili, gonfiandoli un pò:
Soffermandoci su Linkedin, che è forse il SN per il recruiting più noto e diffuso, i dati
relativi l’Italia sono incoraggianti:
28
Jobvite, Job Seeker Nation Study 2015 (http://www.jobvite.com/wp-
content/uploads/2015/01/jobvite_jobseeker_nation_2015.pdf).
25
(Fonte: http://www.webcentrica.it/come-viene-utilizzato-Linkedin/)
Il 478 del campioni di intervistati afferma che segue pagine aziendali e le utilizza come
fonte di informazione per il proprio lavoro. Oltre alla possibilità di interagire direttamente
con l’azienda o con altri professionisti (77%), emerge come ai contenuti presenti sulle
pagine aziendali viene riconosciuto un valore superiore a quello prodotto da stampa e/o
recensioni29
.
Invece in Italia ha pochissima diffusione SlideShare che, all’estero, soprattutto per i
profili medio-alti, ha un ottimo eco e garantisce una significativa visibilità e crescita alla
propria reputation.
Permangono delle differenze dovute a vari fattori - dimensione dell’organizzazione,
provenienza geografica, mercato di riferimento, etc. -, tuttavia, la direzione è tracciata.
Sulla base della ricerca di Adecco sul social recruiting30
, emergono percentuali
significative; alla domanda se i social network hanno reso più facile la ricerca di lavoro, i
recruiter rispondono “si” al 50% (ma i “no” sono un altrettanto significativo 50%),
29
Mirko Saini, Conoscere come viene utilizzato Linkedin in Italia per avvantaggiarsene
(http://www.webcentrica.it/come-viene-utilizzato-Linkedin/).
30
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 - Italia (http://www.adecco.com/industry-
insights/social-recruiting.aspx).
26
mentre i job seekers solo per il 25%, quindi per il restante 75% la risposta è negativa. Se
la domanda viene poi incentrata su quali strumenti online hanno contribuito a tale ricerca,
si evidenzia come Linkedin rappresenti lo strumento preferito dei recruiter (78% delle
risposte affermative alla domanda se e quali canali online aiutano a matchare offerta e
domanda di lavoro), mentre per i candidati la fanno da padrona i siti specializzati (70%)
che, pure, sono però lo sono anche per i recruiter (72%).
In generale possiamo dire che sì, è utile il social recruiting, perché è uno strumento che
consente di andare incontro al trend/rapporto fra l’incremento delle assunzioni e
l’aumento dei budget. Infatti, poiché le assunzioni crescono proporzionalmente più
rapidamente dei budget, i recruiter devono utilizzare le risorse in modo più strategico e
perciò “centrare il colpo” al primo tentativo senza perdere tempo né energie, cosa che
proprio il social recruiting consente di fare:
(Fonte: Linkedin Italy Global Recruiting Trends 2013)
2.3 Il social recruiting alla prova dei fatti: quando si assume e quando no
Ovviamente è impossibile dire se e quanti nuovi lavoratori ogni anno siano assunti,
direttamente o indirettamente, grazie al social recruiting. Gli unici strumenti di
misurazione sono le indagini portate avanti dai centri studio e di analisi dei grandi player
27
del settore. Fra questi spicca sicuramente lo studio annuale di Adecco dedicato proprio al
social recruiting che dal 2010 analizza anche in Italia questo fenomeno.
Parlando dell’efficacia di tali strumenti, possiamo osservare che nel 2013 il 34% dei
recruiter intervistati ha assunto qualcuno utilizzando i social network. Tuttavia questa
cifra considerevole riguarda in qualche modo uno “zoccolo duro” di job seekers,
evidentemente poco trasversale e poco orizzontale se, fra i job seekers, solo il 7% dice di
conoscere qualcuno che abbia trovato lavoro grazie ai social network.
Comparato coi canali più tradizionali, dunque, il social recruiting conta (nel 2013, fonte
Adecco) il 30% in termini di efficacia per l’incontro di domanda ed offerta, quale somma
fra gli “Annunci online” (21%) ed i social network (9%). Tuttavia, “Parenti ed amici”
(52%) ed i “Contatti professionali precedenti” (42%) la fanno ancora da padroni.
28
3° Capitolo - L’importanza della web (o digital) reputation
In un contesto di sovrabbondanza di competenze (skills) e di offerta di lavoro, quello che
fa davvero la differenza, esattamente come fra un prodotto/servizio e l’altro, è la
reputazione. La reputazione oggi è “digitale” ed esiste al di là della volontà del singolo,
perché al di là della volontà di chiunque esiste – per ognuno di noi – una identità digitale
che non abbiamo appositamente creato ma che, di fatto, esiste.
L’offerta di lavoro e le candidature dei job seeker non sono immuni da ciò e, anzi, nella
logica dell’economia della reputazione, la reputation è un fattore determinante e non
secondario. Per questo, fare personal branding è doveroso per chi è in cerca di lavoro e,
come vedremo, anche per chi offre lavoro per conto terzi. Tanto più si diffonde l’uso dei
social network, anche grazie a smartphone e tablet, nonché a costi dei servizi di telefonia
e web sempre più alla portata di tutti, e tanto più il problema della web (e quindi anche
“social” o più genericamente “digital”) reputation, diventa irrinunciabile. La serata
trascorsa con gli amici a bere, o le stravaganze delle proprie vacanze estive, infatti,
possono diventare il discrimine fra la possibilità di avere un lavoro o meno. Circa «il
14% dei selezionatori utilizza i canali online per informarsi sulle relazioni professionali
del candidato»31
e, magari, incappa invece nelle foto dell’ultima sbronza con gli amici.
Difatti, le statistiche dimostrano che «nel 12% dei casi (i recruiter) si sono trovati ad
escludere dei candidati per le informazioni che hanno reperito in rete»32
. La ricerca
Adecco dimostra che il 77% dei recruiter monitora il nome del candidato sul web e sulla
base di questi risultati conduce la sua selezione. Dato confermato da uno dei vertici di
Linkedin Europa che ammette che «più della metà delle aziende esegue controlli di
background sui candidati; grazie a Internet, anche questi ultimi sono divenuti molto più
semplici»33
. Il fenomeno è così diffuso che, da anni, vige ormai in Germania una legge
dello stato che vieta alle imprese di indagare (senza autorizzazione) sui profili social non
31
NinjaMarketing, Funziona il social recruiting in Italia? (www.ninjamarketing.it/2013/04/07/funziona-il-
social-recruiting-in-italia-infografica/)
32
NinjaMarketing, Funziona il social recruiting in Italia? (www.ninjamarketing.it/2013/04/07/funziona-il-
social-recruiting-in-italia-infografica/)
33https://www.credit-suisse.com/it/it/news-and-expertise/topics/innovation.article.html/article/pwp/news-
and-expertise/2014/03/it/Linkedin-how-social-recruiting-works.html
29
aventi un evidente scopo di business per scoprire dati e informazioni su un potenziale
candidato34
. Questi i numeri secondo una ricerca di Reppler35
sul tema:
Da queste risposte, a seconda dell’esito di ciò che si è trovato sul candidato, può
conseguire un rifiuto della candidatura che sfiora il 70% dei casi:
34 Andrea Malan, La Germania tutela la privacy: stretta sui controlli online, in “Il Sole 24 Ore”, 25 agosto
2010.
35
UnderCover Recruiter, How Employers Use Social Media To Screen Applicants
(http://theundercoverrecruiter.com/infographic-how-recruiters-use-social-media-screen-applicants/)
30
…oppure un’assunzione, in una proporzione esattamente speculare:
31
Soffermandoci sull’Italia, vedremo che circa un recruiter su quattro sostiene di aver
escluso almeno una volta un candidato a causa delle informazioni, foto o dei contenuti
presenti sui profili social di un job seeker36
. Tuttavia c’è un significativo 75% di recruiter
che sostengono di non averlo mai fatto. Questi, in ogni caso, i principali SN e strumenti
online per effettuare queste ricerche da parte di recruiter e aziende37
:
36
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Recruiters- Italia
(http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
37
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Recruiters- Italia
(http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
32
3.1 Misurare la reputazione è possibile
In un contesto di crisi finanziaria, l’economia della reputazione – non essendo vincolata
alla produzione (diretta) di beni o servizi – è, invece, in espansione. La “fiducia”, infatti,
assume un valore maggiore in un contesto di incertezza e instabilità.
Nascono anche per questo strumenti di misurazione, come il position generator o
piattaforme/algoritmi come Mevalutate. Il position generator è lo strumento di
misurazione del capitale sociale offline/online di una persona più diffuso nella letteratura
scientifica. Questo permette di identificare tale capitale a partire dall’identificazione delle
figure professionali che rientrano nella sua rete, attribuendo a ogni professione un peso
proporzionale alla posizione occupata nella scala di prestigio sociale38
. Mevaluate è
la prima banca etica online della reputazione, fondata su documenti certi e caratterizzata
da un controllo pubblico diffuso. Il progetto, tutto italiano, punta a valorizzare la
reputazione di singoli e aziende dando a questa un valore economico.
Attraverso una serie di algoritmi, Mev, prendendo in considerazione solo documenti
verificati, è in grado di individuare un rating della reputazione che consente
di determinare in maniera affidabile il grado di fiducia che può essere riposto in un
individuo, un’impresa, un’istituzione pubblica o privata, dall’agenzia immobiliare alla
banca con cui contrarre un mutuo. Insomma, presto i commenti e le recensioni degli
38
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers- Italia
(http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
33
utenti su cui basiamo i nostri giudizi prima di comprare beni o servizi, soprattutto on line,
potrebbero essere superati.
Quando parliamo di web reputation, che ne possa sembrare, parliamo perciò di un
qualcosa di molto tangibile e reale, pertanto misurabile. Lo dimostra anche il cosiddetto
algoritmo di Klout, attraverso il quale è stato elaborato un sistema che consente di
collegare i propri account social al profilo Klout39
per conoscere quanto si è influenti e
come si riesce a dirigere l'opinione degli altri.
La web reputation, dunque, sta assumendo sempre più i contorni di una vera e propria
logica di mercato, come dimostra l’adozione di strumenti per la sua misurazione. La web
reputation può essere misurata, dunque, divenire merce di scambio avente un valore in sé.
E’ la teoria espressa nel libro Gratis di Chris Anderson40
, direttore di Wired America, che
associa la web reputation alla situazione di quelli che definisce come “mercati non
monetari”. Secondo Anderson qui non è prevista la transazione economica, perché
moneta di scambio con cui si da/riceve reputazione è l’attenzione, misurabile come il
minutaggio che il nostro pubblico decide di donarci dedicandolo alla lettura, condivisione
dei nostri contenuti. E’ l’attenzione che sta alla base della reputazione, di tutti: aziende e
singoli. In questo sistema diventa “valore” la reputazione, ed il suo accrescimento
attraverso la divulgazione (gratuita) di contenuti. Il guadagno sta nel fatto che la
reputazione così acquisita si trasformerà in opportunità di business, non direttamente
collegabili ma comunque evidentemente contigue come, per esempio, la possibilità di
essere contatti da un recruiter che si sarà imbattuto nel profilo di quella persona anche e
soprattutto grazie alla sua influence sul web. Anche (e soprattutto) sul web, infatti,
valgono le regole della cosiddetta riprova sociale (o Social proof) che, anzi, sul web
assume delle fattezze formali e che si sviluppa sulla base di regole definite e
matematiche41
. La web reputation funziona perché sul web «una quantità enorme di
39
Nata nel 2009, Klout è un'applicazione web che permette di calcolare – con un punteggio da 0 a 100 – il
proprio livello di influenza sui social network. Più alto il punteggio, naturalmente, maggiore sarà la propria
fama su Facebook, Twitter etc. Basta collegare gli account social con il profilo della piattaforma di calcolo
per sapere quale sia l'influenza che si esercita sulle persone che ci seguono.
40
http://www.amazon.it/Gratis-Chris-Anderson/dp/881704279X
41
Questo meccanismo è riconoscibile nelle recensioni di Google, in Tripadvisor o nei “like” di una
fanpage. Lo stesso algoritmo di Facebook lo tiene in considerazione per scegliere quali contenuti farci
34
persone produce contenuti non necessariamente per trarne un qualche profitto economico
in maniera diretta e, volendo parlare di mercato e quindi di attori (relativamente)
razionali, potremmo dire che queste persone producono contenuti per ottenere un
“profitto implicito” costituito il più delle volte semplicemente dal fatto di esistere ed
essere visibili nel villaggio globale: una “remunerazione” del lavoro che è stata
necessario compiere per creare e rendere disponibili quei contenuti»42
.
E’ la conseguenza degli assunti di Herbert Simon, che scriveva nel 1971 «in un mondo in
cui l’informazione è abbondante, si presenterà la scarsità di qualcos’altro, di qualcosa che
l’informazione consuma. Quel qualcosa è l’attenzione. Non è difficile immaginare come
l’abbondanza d’informazioni crei scarsità d’attenzione nel pubblico. Volendo mettere in
conto anche il problema della qualità dell’informazione il quadro peggiora
ulteriormente»43
. Secondo Anderson, dunque, se il denaro smette di essere il segnale
principale nel mercato, al suo posto sorgono due fattori monetari: appunto l’economia
dell’attenzione e l’economia della reputazione. Concentrare dunque l’attenzione su di sé e
sui propri obiettivi, attraverso la propria rete sociale, utilizzando gli strumenti del web,
diventa lo strumento di job seeker e recruiter.
3.2 Una soluzione. Forse.
Una prima soluzione per tutelare la propria brand reputation è applicare una policy
personale di privacy finalizzata a separare il personale dal lavorativo, per evitare che foto
o video che riguardino un candidato possano influenzare negativamente il recruiter. Sono
i fatti che ci dimostrano come ciò sia necessario, visto che il 46% degli intervistati in uno
studio di Jobvite44
ha affermato di aver modificato le proprie impostazioni di privacy sui
Social Network, arrivando in alcuni casi a rimuovere del tutto un loro profilo sui social o
degli specifici contenuti. Ma come è possibile operare in maniera chirurgica e totalmente
sicura questa divisione? E’ impossibile. Impossibile non solo perché fra indicizzazione
dei motori di ricerca e “tracce” telematiche (dai tag sui SN, fino ai commenti fatti anni fa
vedere nel nostro news feed o quali pagine suggerirci. “Se piace a tante persone (che conosci)
probabilmente piacerà anche te” è in sintesi la domanda che si pone prima di proporci un contenuto.
42 C. Anderson, La coda lunga, Codice Edizioni, 2007, p. 67.
43 Chiara Lo Cascio, Economia della reputazione (http://www.dillinger.it/economia-della-reputazione-
50141.html).
44
Jobvite, How Do Job Seekers Use Social Media? (http://linkhumans.com/social-recruiting/jobseekers-
social-media-study)
35
su qualche forum di opinione sul web), è tecnicamente impossibile cancellare un
qualcosa di poco opportuno che ci riguarda. E’ altresì impossibile perché, sempre più
spesso, la ricerca e l’offerta di lavoro passa – formalmente ed informalmente – tramite il
web ed i social network in particolare. Infatti, se job seeker e recruiter differiscono, e non
poco, nel concepire modalità e strumenti del social recruiting, la ricerca di Adecco già
citata, dimostra che sulla digital reputation c’è piena convergenza di vedute fra le due
categorie: «il 70% delle persone verifica le informazioni personali che circolano online
“googlando” il proprio nome così come il 77% dei recruiter inserisce il nominativo di un
candidato su un motore di ricerca per raccogliere maggiori elementi di valutazione»45
.
Sempre la ricerca Adecco 2014 dedicata ai job seeker afferma che in Italia non vengono
quasi mai pubblicati autoscatti o foto in atteggiamenti controversi, o commenti legati ad
attività in violazione dei regolamenti universitari o dei luoghi di lavoro, come dimostra
questa tabella:
3.3 Come fare allora (sul web e sui social network)
La risposta sta solo nel curare la propria attività/vita web e social avendo in mente il
concetto della personal/web reputation, esattamente come fossimo un brand che vuole
così tutelare il proprio business e la propria immagine sul mercato. L’analogia, per
quanto a tratti forzata, è l’unica che spiega il senso e l’importanza della web (e social)
45
NinjaMarketing, Funziona il social recruiting in Italia? (www.ninjamarketing.it/2013/04/07/funziona-il-
social-recruiting-in-italia-infografica/)
36
reputation oggi per chi è in cerca di lavoro (job seeker) e, all’inverso, per chi cerca
candidati (recruiter).
Quasi sempre, come abbiamo detto, per completare le informazioni presenti all’interno
del CV di un candidato, i recruiters sono soliti “googlare” il candidato. Ciò significa che
il nome di questo viene ricercato sul celebre motore di ricerca per cercare, così,
informazioni complementari e non necessariamente legate alla sua attività professionale o
alla sua esperienza, ma che possono in pari tempo fornire informazioni utili a farsi
un’idea del candidato stesso. A questo punto tornano di attualità commenti o foto di anni
fa, ma che diventano irrimediabilmente scandalose agli occhi del recruiter, piuttosto che
interventi in forum e chat di cui il web conserva (cinicamente!) traccia.
Realizzare una pulizia del proprio nome su “Big G” (Google) è impossibile, oggi.
Esistono delle web agency in grado di aiutarci in questa attività, ma sono care ed il
risultato non è certo. Decisamente più economico e più confacente alla logica stessa di
Google (cosiddetta “indicizzazione”) è quella di creare delle azioni di contrasto a tali
risultati. Se, per esempio, i primi 10 risultati della ricerca su Google vogliono essere
cancellati o spostati verso il fondo dei risultati, occorrerà creare dei contenuti “positivi”
aventi in sé il nome del candidato, e valorizzare questi risultati per dargli “punti in
classifica” coerenti con la logica di Google che premia e da visibilità ad alcuni risultati
piuttosto che ad altri. Ovviamente, così come vale la possibilità che il recruiter scorga
degli indizi negativi sul conto del candidato, è altresì possibile lasciare invece delle tracce
positive. Per esempio, quello che sembra fare molta reputation è il cosiddetto blog
tecnico o tematico, ovvero un classico blog dove è però possibile al candidato dimostrare
una specifica conoscenza tecnica, o skills, che altrimenti non sarebbe possibile cogliere,
oppure, hobby collateralmente connessi a una ipotetica mansione46
.
Che si sia reso noto al selezionatore (o sui siti specializzati) il proprio profilo sui vari
social network, è opportuno in ogni caso procedere a isolare i contenuti delle proprie
pagine social dalla possibilità a tutti di raggiungere i contenuti ivi presenti. Il social
network potenzialmente più insidioso da questo punto di vista è Facebook, ma anche
Instagram. La soluzione più semplice, prima di procedere alla rimozione dei contenuti
46
Sono tantissimi i casi di blogger o di Youtuber che, partiti con tutorial e consigli, sono finiti a lavorare
per grandissimi brand multinazionali.
37
(cosa tecnicamente impossibile in toto, perché al momento del caricamento dei contenuti
si cede automaticamente la proprietà degli stessi ai social che ci ospitano…), è quella di
impostare dei filtri circa la “pubblicità” di tali contenuti, limitandoli alla sola rete di
amici.
Al di là dell’omissione/cancellazione di certi contenuti dai vari profili sui SN, il
potenziale candidato deve difendersi anche da un’altra insidia legata all’uso dei SN:
l’eclettismo di diverse identità su altrettanti social network. Infatti, non è normalmente
ben visto dai recruiter che uno stesso utente abbia, per esempio, uno stile ed una identità
su Facebook del tutto incompatibile con l’immagine dello stesso su Linkedin. L’assenza
di una immagine coordinata (e non, ovviamente, piatta e livellata) potrebbe in certi casi
essere quasi peggio che non avere qualche scheletro (social) nell’armadio.
3.4 Cura la brand reputation. Anche (e soprattutto) se non stai cercando un lavoro.
Le statistiche affermano che la maggior parte di coloro i quali sono quotidianamente
preoccupati dalla cura della propria brand reputation sono, in realtà, alla ricerca di lavoro.
Gran parte degli utenti di Linkedin, per fare un esempio relativo il business social
network più diffuso, non è alla ricerca di un lavoro anche se non si definiscono “candidati
attivi”. Allora perché si servono della piattaforma? Infatti «meno del 20% è realmente
alla ricerca di un nuovo impiego. Il restante 80% cura le sue relazioni in rete, guarda cosa
fa la sua cerchia di amici o legge articoli di settore. Lo scopo delle aziende è contattare
questi candidati passivi nel modo giusto e al momento giusto»47
. Secondo Linkedin il
60% dei migliori recruiter si concentrerebbe, infatti, sui talenti passivi48
, motivo per cui il
celebre SN consiglia di sviluppare la cultura dell’headhunting “proattivo” e del pensare a
lungo termine, anche perché i candidati passivi sono il 120% più propensi a scegliere un
lavoro con un impatto concreto49
e possono perciò essere stimolati proprio mettendo in
risalto proattivamente la posizione lavorativa ricercata da parte del recruiter.
E’ evidente come oggi la continua gestione della carriera sia divenuta un’abitudine
47
Simon Brunner, Linkedin: come funziona il social recruiting (https://www.credit-suisse.com/it/it/news-
and-expertise/topics/innovation.article.html/article/pwp/news-and-expertise/2014/03/it/Linkedin-how-
social-recruiting-works.html).
48
Linkedin, Come trasformare la cultura del recruiting (https://business.Linkedin.com/it-it/talent-
solutions/best-practice-recruiting).
49
Linkedin Talent Solutions, Getting To Know Passive Talent (http://lnkd.in/PT-infographic1).
38
consolidata, sia che si tratti di candidati attivi che passivi. Ciò è stato dovuto anche agli
effetti della cosiddetta “crisi”: chi ha perso il lavoro si è ovviamente attivato per la
ricerca, in ogni modo, di una nuova opportunità; mentre chi un lavoro ce l’ha, ha
comunque sentito la sua situazione più precaria di quanto non fosse 5 o più anni fa. In
generale, quasi tutti i professionisti si dedicano mensilmente a una qualche attività legata
all’avanzamento di carriera, «la maggioranza coltiva relazioni e tiene aggiornati i propri
curriculum e profili professionali, e una buona percentuale degli intervistati tiene
d’occhio le opportunità di carriera e le offerte potenzialmente interessanti», e solo l’11%
dichiara di non aver svolto nessuna delle attività elencate dalla ricerca Adecco dedicata ai
job seeker qui sotto:
Parliamo di un’attività, dunque, che non si ferma mai, una tensione che fa si che il 38%
dei job seeker cerchino costantemente nuove opportunità di lavori durante i loro
spostamenti quotidiani, il 30% mentre svolge il suo impiego e, addirittura, un 18% lo fa
costantemente… in bagno!50
50 Jobvite, Job Seeker Nation Study 2015 (http://www.jobvite.com/wp-
content/uploads/2015/01/jobvite_jobseeker_nation_2015.pdf).
39
In generale – soprattutto per i settori più qualificati o dirigenziali – i candidati più ambiti
dalle aziende sono quelli che hanno un’occupazione fissa, per cui l’obiettivo diviene
attrarli verso di loro. Lo dimostra anche questa tabella estratta dal rapporto 2014 di
Adecco sul social recruiting51
:
Analizzando i risultati della prima riga, è evidente come i recruiter utilizzino i SN
51
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 - Italia (http://www.adecco.com/industry-
insights/social-recruiting.aspx).
40
soprattutto per cercare chi un lavoro non sta cercandolo (“candidati passivi”). Curare la
propria reputazione e guardarsi intorno, dunque, è doveroso anche se non si è
tecnicamente un job seeker: bisogna avere sempre la propensione e la mentalità di
quest’ultimo. Del resto non bisogna farsi ingannare dalla dicotomia tra candidati
“passivi” e candidati “attivi”, perché la maggior parte dei lavoratori (o aspiranti tali)
prenderebbe (sempre) in considerazione una nuova offerta di lavoro:
(Fonte: Linkedin Talent Trends Italia 2014)
Chiariti questi aspetti si capisce come, implicitamente, chi cura la propria brand
reputation sia, a conti fatti, nella posizione di chi cerca lavoro o, quantomeno, ne assume
la medesima visibilità. Del resto, questa attitudine sta diventando sempre più consolidata
e connaturata a chi usa i SN a scopi professionali o, più genericamente, di networking.
Come conferma anche una ricerca di Linkedin del 2014 dedicata all’Italia «circa il 27%
degli intervistati dice di essere attivamente in cerca di un nuovo ruolo, e solo il 13% ha
risposto di non essere interessato a un nuovo lavoro. Il 46% si dichiara disponibile a
parlare con un recruiter, mentre il 15% sta indagando sulla propria rete», al punto che si
lo iato fra “candidati attivi” e “passivi” sta concettualmente diminuendo
41
progressivamente. 52
Questo anche perché il criterio della soddisfazione professionale
(uno dei primi motivi per cui si lascia o si cerca un impiego in Italia) è sempre meno
determinante, tanto che si può spesso catturare l’attenzione di un candidato passivo
offrendogli semplicemente un’opportunità di carriera migliore. Ma, allo stesso tempo, per
gli stessi motivi, la soddisfazione non è garanzia di fedeltà, in Italia così come
(soprattutto) all’estero, come dimostra il fatto che oltre la metà dei candidati attivi
dichiara in realtà di essere soddisfatto del proprio ruolo attuale:53
Dunque, in questo la media italiana è assolutamente in linea con la media mondiale54
,
dove circa il 25% dei candidati (attivi) si dice attivamente impegnato nella ricerca di un
nuovo lavoro, il 45% (dei passivi) si dice aperto a interagire con un recruiter, mentre un
15% (idem) è attivo nella costruzione di un proprio network. Solo un 15% (idem) si dice
del tutto disinteressato nella ricerca di nuovo lavoro o nel valutare opportunità connesse.
52
Linkedin Talent Trends Italia 2014 (https://business.Linkedin.com/it-it/talent-solutions/c/14/6/talent-
trends-report).
53
Linkedin Talent Trends Italia 2014 (https://business.Linkedin.com/it-it/talent-solutions/c/14/6/talent-
trends-report).
54 Linkedin Talent Trends 2014 (World) (https://business.Linkedin.com/talent-solutions/c/14/3/talent-
trends/2014).
42
In generale, è ovvio ravvisare che i candidati attivi hanno livelli considerevolmente più
elevati di non soddisfazione circa la loro mansione, rispetto a quelli passivi, tanto in Italia
quanto all’estero.
3.5 La reputation del recruiter e la sua “rete”: il networked recruiter
Il concetto di reputation è trasversale e riguarda, ormai, sempre più anche i recruiter. Se
questa cosa è meno sentita in Italia, molto forte lo è invece all’estero. Immaginiamo,
infatti, uno strumento come Linkedin che, tecnicamente, consente a un qualunque utente
di mettersi direttamente in contatto con i più alti vertici di un’azienda e/o con il
responsabile di quella funzione/dipartimento per cui vorrebbe candidarsi: questo
“isolerebbe” in un colpo solo tutto il mondo delle risorse umane. Una tale logica sovverte
lo schema classico del gerarchismo aziendale in cui i cv, usualmente, sono ricevuti e
vagliati dall’HR e, poi, in un secondo momento da un eventuale responsabile di funzione:
Una situazione di questo tipo, di per se emblematica, obbliga chi si occupa di HR
stabilmente o come collaboratore esterno di un’azienda, di avere una sua riconoscibilità
ed un prestigio (reputation, appunto) tale da consentirgli di evitare o quantomeno
contenere questo scavalcamento potenzialmente generalizzato.
Oltre alla reputation, però, il mondo dei recruiter sta definendosi anche intorno ad un
nuovo concetto, quello di “networked recruiter”. A dimostrazione del fatto che la rete
sociale non conta solo per chi offre lavoro, ma anche per chi cerca i candidati più idonei
per quella posizione.
Un buon recruiter sa di non poter contare, soprattutto se parliamo di realtà aziendali
complesse o di posizioni aperte di alto profilo, solo sui suoi contatti diretti. Il recruiter 2.0
è sempre più un “networked recruiter”, forte cioè allo stesso modo, uguale e contrario del
job seeker, di una rete sociale e professionale significativa. A questa nuova, ma sempre
43
più diffusa, figura di recruiter è richiesto55
anzitutto di strutturare e consolidare la sua
posizione/ruolo in azienda stabilendo contatti permanenti con i responsabili delle diverse
funzioni aziendali, anche quando non si è attivi nella ricerca di personale, per
comprendere le esigenze dell’azienda e la sua organizzazione, nonché l’esito delle
assunzioni precedenti. Altro aspetto sempre più richiesto è lo sviluppo e la valorizzazione
del suo team interno, al fine di sollecitare le segnalazioni di potenziali candidati (non
necessariamente attivi) onde di selezionare i migliori candidati nelle loro reti.
Importante è anche lo stile che il recruiter deve assumere nella sua attività di networking,
evitando di sembrare un venditore, veicolando con sincerità ed in maniera mirata le sue
azioni. Questo perché tutto concorre a sviluppare il brand personale del recruiter, la cui
reputation diventa poi un’arma di selezione a tuti gli effetti (sia online che offline), anche
e soprattutto in un sistema dove l’80% dei professionisti nel mondo sono considerati
“passivi” ed occorre per cui tenere sempre uno spiraglio aperto verso tutti i potenziali
candidati, ivi compresi quelli che oggi non sono i più idonei a rivestire quella specifica
posizione.
Non solo. Perché il web, come spesso accade, si è spontaneamente organizzato (dal
basso) per valutare – a sua volta – i recruiter e, perciò, le aziende. Il progetto del sito
Wetfeet56
è un esempio di questo. Un portale dove vengono recensiti i colloqui di lavoro
con le aziende e le impressioni ricavate dai recruiter che, per quanto tuteli la regola
dell’anonimato, espone molto di più le aziende (i cui nomi sono pubblici) ma soprattutto i
recruiter (i cui nomi non vengono divulgati, ma che diventano abbastanza identificabili
all’interno delle aziende stesse e per gli addetti ai lavori…).
Infine, il ruolo del recruiter rischia di essere frustrato o limitato dalla nascita di nuove
piattaforme che mettono in contatto il job seeker direttamente con l’azienda. E’ il caso di
Whatchado.com una piattaforma video molto particolare che, dichiarando come suo
obiettivo la ricerca e l’ottenimento del lavoro ideale, offre una vetrina permanente alle
aziende che non solo consente loro di fare employer branding tramite dei
55
Linkedin, L’approccio vincente con i candidati passivi (https://business.Linkedin.com/it-it/talent-
solutions/best-practice-recruiting).
56
www.wetfeet.com
44
testimonial/ambasciatori genuini e credibili (i loro dipendenti), ma consente anche di
accattivarsi l’interesse e l’attenzione di un pubblico che non avrebbe potuto, altrimenti,
intercettare. Soprattutto, è una piattaforma che non alimenta l’attività dei recruiter.
3.6 Come “attraggono” le aziende: employer branding
Come mai vediamo ogni giorno persone che su auto, moto, caschi, etc. esibiscono con
fierezza la celebre mela di Apple ma, nessuno che, invece, esibisce adesivi di Samsung o
LG? La motivazione non è da individuare nella qualità tecnica dei prodotti degli uni o
degli altri, ma nel sentiment, nell’alchimia, che Apple è stata in grado di creare e che è
molto difficile da replicare: unica. Siamo diventati tutti dei Singol Opinion Leader, cioè
singole persone che decidono se quel brand ha senso, se i prodotti sui quali è impresso,
sono utili, se le promesse che quella comunicazione enuncia le mantiene e merita quindi
rispetto, reputazione, fiducia: nessuno compra più a scatola chiusa. Questo esempio, oltre
che valido sul piano del marketing B2C (destinato cioè al cliente finale), vale anche nel
B2B, ovvero nei confronti dei lavoratori (o potenziali) di una data società: è il cosiddetto
Employer Branding (EB) anche detto Talent Brand, nella sua accezione più recente e più
social57
. Per analogia, potremmo dire che, a parità di offerta e ruolo proposto, un ipotetico
candidato sceglierà probabilmente Apple piuttosto che la “Tizio&Caio SpA” anche e
soprattutto per quel lavoro di marketing che ha arricchito l’azienda nel suo
posizionamento sulla cosiddetta “economia della reputazione”. Secondo una ricerca di
Linkedin «i professionisti di tutto il mondo concordano su una cosa: nel considerare un
nuovo impiego, il fattore più importante è che l’azienda sia riconosciuta come un buon
posto per lavorare (in altre parole, che l’azienda abbia un solido talent brand)»58
, al punto
che oltre il 50% dei professionisti sono concordi nel ritenere che l’ottima reputazione
dell’azienda come luogo di lavoro è il principale motivo per la scelta del datore di lavoro:
57
L’employer brand era il messaggio che veniva trasmesso sul mercato e aggiornato periodicamente.
Oggi quel messaggio viene fruito e amplificato, e talvolta messo apertamente in discussione, in tempo
reale in base alle esperienze vissute dalle persone con la tua azienda. Il talent brand è una versione
altamente sociale e completamente pubblica dell’employer brand che incorpora quello che i talenti
pensano, percepiscono e condividono dell’azienda come luogo di lavoro.
58
Linkedin Talent Trends Italia 2014 (https://business.Linkedin.com/it-it/talent-solutions/c/14/6/talent-
trends-report).
45
(Fonte: Linkedin Talent Trends Italia 2014)
L’EB è «sia una minaccia concorrenziale, sia un vantaggio competitivo»59
e, quindi, non
può essere tralasciato dalle imprese di oggi. Sicuramente fra «le ragioni per cui investire
nell’employer brand, “aumento della concorrenza” ed “espansione geografica” hanno
registrato l'aumento maggiore rispetto all'anno scorso (2012): dal 10% al 35%»60
a
riprova del fatto che sempre più aziende ci credono e si attivano su questo ambito.
Sempre secondo la ricerca realizzata da Linkedin, infatti, il 62% degli intervistati61
crede
che l’employer branding abbia un impatto significativo sulla capacità di assumere i
migliori talenti e la prima minaccia concorrenziale percepita dalle aziende in questo
ambito risulterebbe proprio l’investimento nell’EB da parte dei loro competitors. Tanto
che il 18% dei datori di lavoro italiani misura regolarmente la qualità dell’employer
brand in maniera quantificabile (contro il 33% a livello mondiale)62
. Questo ha
determinato che il 91% delle aziende ha incrementato o mantenuto costante il suo
investimento nel talent brand nel 2012, nonostante la crisi63
. Inoltre, sempre da ricerche
effettuate da Linkedin64
, scopriamo che investendo nell’employer branding si possono
arrivare a ridurre del 50% i costi legati alle assunzioni e ridurre fino al 28% il tasso di
rotazione.
Spesso sono gli stessi recruiter ad avere potere decisionale sull’employer brand: il 61% di
loro lo controlla direttamente o insieme a un’altra funzione, come il reparto marketing.
Tuttavia, circa il 50% dei recruiter, in generale, non capisce o non conosce esattamente il
59 Linkedin Italy Global Recruiting Trends 2013 (http://www.slideshare.net/Linkedin-talent-
solutions/global-recruiting-trends-2013-italy-italian).
60
Linkedin Italy Global Recruiting Trends 2013 (http://www.slideshare.net/Linkedin-talent-
solutions/global-recruiting-trends-2013-italy-italian).
61
Indagine condotta su 3300 leader del settore acquisizione talenti.
62
Circa la misurazione dell’employer branding cfr. Linkedin, Guida all’employer brand, p.43 e seguenti
(https://business.Linkedin.com/it-it/talent-solutions/c/14/2/guida-employer-brand).
63
Linkedin Talent Solutions, The State of Employer Branding (http://lnkd.in/stateofeb). A tal proposito,
Linkedin ha sviluppato un proprio indicatore definito “Talent Brand Index”.
64
Eda Gultekin, What’s the Value of Your Employment Brand? (http://lnkd.in/valueofEB).
46
proprio employer brand65
. Ma indipendentemente da chi tiene le redini, una ricerca di
Linkedin66
ha rilevato che le aziende con forti talent brand hanno tre cose in comune:
consenso da parte dei dirigenti, dati a sostegno della propria visione e una solida
cooperazione interfunzionale.
Per quanto riguarda il nostro Paese, le statistiche 2013 (Linkedin)67
sull’approccio delle
aziende italiane all’EB sono chiare:
Da tutto ciò deriva un uso notevole dei SN per la promozione dell’EB, che nel 2013,
sempre dalla medesima ricerca, diventano, appunto, il principale canale per la
promozione di questo:
65
Corporate Leadership Council, Smart Sourcing: How Talent Advisors Use Sourcing Intelligence to
Extend Recruiting’s Influence.
66
Linkedin Talent Solutions, The State of Employer Branding (http:// lnkd.in/stateofeb).
67
Linkedin Italy Global Recruiting Trends 2013
(http://www.slideshare.net/Linkedin-talent-solutions/global-recruiting-trends-2013-italy-italian).
47
Collegato a questo è perciò il concetto di Employment Advertising, processo attraverso
cui l'organizzazione promuove le opportunità di lavoro aperte, come se i posti di lavoro
fossero dei prodotti, e l'azienda dovesse promuoverli grazie a strategie di marketing, al
fine di farne percepire il forte valore distintivo. L’esempio classico è quello della
cosiddetta “Googleness”, termine coniato appunto per delineare l’appettibilità di lavorare
a Google68
.
Tutto questo non è secondario, soprattutto quando parliamo di risorse con funzioni
dirigenti o altamente qualificate. E, rimanendo sempre sull’esempio Apple/Samsung/LG,
come anche la recente cronaca ci insegna69
, avere una determinata risorsa in un
determinato ruolo, può significare per queste aziende la differenza fra un fatturato in
attivo o in perdita, fra il successo o meno di un prodotto. Non è un caso che «i servizi
Risorse Umane stanno facendo sempre più ciò che già da tempo si sono prefissi i reparti
di marketing e vendita: esaltare le qualità dell'azienda. Devono sviluppare il marchio del
datore di lavoro. Ma nelle odierne aziende, spesso queste competenze non sono ancora
68
Cfr. anche il film “Gli Stagisti” (“The internship”, USA 2013).
69
E’ interessante notare come in questo caso la cronaca giudiziaria non si sia occupata di questi colossi del
settore tecnologico per la “solita” guerra di brevetti e spionaggio industriale. Stavolta ad essere oggetto
della condanna dei tribunali americani è l’accordo, segreto, fra tutti i maggiori player del settore finalizzato
ad evitare di combattersi per sottrarsi vicendevolmente i reciproci dipendenti. Cfr.
http://www.nytimes.com/2015/01/15/technology/silicon-valley-antitrust-case-settlement-poaching-
engineers.html?_r=2
48
diffuse. Tra postare un annuncio e garantire una presenza consistente sui social media c'è
un abisso. Sembra tutto lavoro in più, ma i vantaggi in termini di efficienza sono enormi:
oggi è possibile rivolgersi a molte più persone contemporaneamente o a un preciso
gruppo target»70
.
Il risultato finale è che le aziende devono raccontarsi, con schiettezza ed onestà,
esattamente come è richiesto fare al candidato in sede di colloquio o di assestment.
Presentarsi ai candidati, convincendoli dell’opportunità e della convenienza a prestare il
proprio lavoro a quella determinata impresa e non ad un’altra.
Un altro degli strumenti utilizzati dalle aziende per implementare il proprio employer
branding è il cosiddetto Entreprise Social Network (ESN). Questo strumento, come per
esempio Facebook at Work o Yammer di Microsoft, nasce anzitutto per migliorare la
comunicazione interna dell’azienda ma, come ricaduta, determina un incremento
nell’economia della reputazione dell’impresa a tutti i livelli. Infatti, a livello esterno, una
cultura intra-aziendale di questo tipo sarà naturalmente propensa a proiettare una
valorizzazione ed una promozione del brand dell’impresa.
Oltre all’ESN, una azienda presente sui social (p. es. Linkedin) non può esimersi dal
coordinare l’immagine di sè che trasmette tramite i profili dei suoi dipendenti. Infatti
«realizzare e alimentare con contenuti di qualità la propria pagina aziendale in Linkedin e
poi disinteressarsi di ciò che i propri dirigenti o il proprio staff fanno e dicono sulla
piattaforma è come avere a bordo della propria barca rematori che, o se ne stanno con le
mani in mano (perché senza remi) o, non avendo istruzioni adeguate, remano in direzioni
diverse»71
.
In conclusione, circa il senso e le dinamiche connesse alla reputazione (del job seeker, del
recruiter e dell’azienda) potremmo riepilogare schematicamente il processo in questo
modo:
70 Simon Brunner, Linkedin: come funziona il social recruiting (https://www.credit-suisse.com/it/it/news-
and-expertise/topics/innovation.article.html/article/pwp/news-and-expertise/2014/03/it/Linkedin-how-
social-recruiting-works.html)
71
Mirko Saini, Linkedin e aziende: l’importanza dei profili dei dipendenti
(http://www.webcentrica.it/Linkedin-e-aziende-l-importanza-dei-profili-dei-dipendenti/)
49
50
BIBLIOGRAFIA
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 – Global Report
(http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers – Italia
(http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
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(http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Recruiters- Italia
(http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
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(http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
Andrea Malan, La Germania tutela la privacy: stretta sui controlli online, in “Il Sole 24
Ore”, 25 agosto 2010.
Andrea Pugliese, lezioni svolte nell’ambito del Management dei Servizi e delle Politiche
per il Lavoro (a.a. 2014/15)
Chiara Lo Cascio, Economia della reputazione (http://www.dillinger.it/economia-della-
reputazione-50141.html).
Cipriano Moneta, La rivoluzione dei social media
Cipriano Moneta, Business Networking
Cipriano Moneta, Reputazione digitale
Cipriano Moneta, L’impatto sulle organizzazioni
Corporate Leadership Council, Smart Sourcing: How Talent Advisors Use Sourcing
Intelligence to Extend Recruiting’s Influence.
Eda Gultekin, What’s the Value of Your Employment Brand? (http://lnkd.in/valueofEB).
Jobvite - How Do Job Seekers Use Social Media? (http://linkhumans.com/social-
recruiting/jobseekers-social-media-study).
51
Jobvite, Job Seeker Nation Study 2015 (http://www.jobvite.com/wp-
content/uploads/2015/01/jobvite_jobseeker_nation_2015.pdf).
Jobvite, Do You Suffer From Social Recruiting Paranoia?
(http://www.jobvite.com/blog/suffer-social-recruiting-paranoia/).
Jorgen Sundberg, How Recruiters & Job Seekers Use Social Media
(http://jorgensundberg.net/study-recruiters-job-seekers-use-social-media/).
Linkedin Italy Global Recruiting Trends 2013 (http://www.slideshare.net/Linkedin-
talent-solutions/global-recruiting-trends-2013-italy-italian).
Linkedin Talent Trends Italia 2014
(https://business.Linkedin.com/it-it/talent-solutions/c/14/6/talent-trends-report).
Linkedin Talent Trends 2014 (World)
(https://business.Linkedin.com/talent-solutions/c/14/3/talent-trends/2014).
Linkedin Italy Global Recruiting Trends 2013
(http://www.slideshare.net/Linkedin-talent-solutions/global-recruiting-trends-2013-italy-
italian).
Linkedin, Guida all’employer brand
(https://business.Linkedin.com/it-it/talent-solutions/c/14/2/guida-employer-brand).
Linkedin Talent Solutions, The State of Employer Branding (http://lnkd.in/stateofeb).
Linkedin, L’approccio vincente con i candidati passivi (https://business.Linkedin.com/it-
it/talent-solutions/best-practice-recruiting)
Linkedin, Come trasformare la cultura del recruiting (https://business.Linkedin.com/it-
it/talent-solutions/best-practice-recruiting).
Linkedin Talent Solutions, Getting To Know Passive Talent
(http://lnkd.in/PT-infographic1).
Linkedin Talent Solutions, The State of Employer Branding (http:// lnkd.in/stateofeb).
Linkedin Recruiter per le agenzie di ricerca e selezione (https://business.Linkedin.com/it-
it/talent-solutions/best-practice-recruiting?u=0)
Linkedin, L’approccio vincente con i candidati passivi (https://business.Linkedin.com/it-
it/talent-solutions/best-practice-recruiting?u=0)
52
Linkedin, I 5 trend dell’acquisizione di talenti che è bene conoscere
(http://www.slideshare.net/Linkedin-talent-solutions/global-recruiting-trends-2013-italy-
italian).
Mirko Saini, Linkedin & Recruiters: ecco come lo usano in Italia (conoscere per
adeguarsi) (https://www.Linkedin.com/pulse/Linkedin-recruiters-ecco-come-mirko-
saini)
Mirko Saini, Conoscere come viene utilizzato Linkedin in Italia per avvantaggiarsene
(http://www.webcentrica.it/come-viene-utilizzato-Linkedin/)
Mirko Saini, Linkedin e aziende: l’importanza dei profili dei dipendenti
(http://www.webcentrica.it/Linkedin-e-aziende-l-importanza-dei-profili-dei-dipendenti/)
NinjaMarketing, Funziona il social recruiting in Italia?
(www.ninjamarketing.it/2013/04/07/funziona-il-social-recruiting-in-italia-infografica/)
Shawn Levy (regista), Gli Stagisti (titolo originale The internship, USA 2013).
Simon Brunner, Linkedin: come funziona il social recruiting (https://www.credit-
suisse.com/it/it/news-and-expertise/topics/innovation.article.html/article/pwp/news-and-
expertise/2014/03/it/Linkedin-how-social-recruiting-works.html)
UnderCover Recruiter, How Employers Use Social Media To Screen Applicants
(http://theundercoverrecruiter.com/infographic-how-recruiters-use-social-media-screen-
applicants/)
David Streitfield, Bigger Settlement Said to Be Reached in Silicon Valley Antitrust Case
(http://www.nytimes.com/2015/01/15/technology/silicon-valley-antitrust-case-
settlement-poaching-engineers.html?_r=2)

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  • 2. 2 INDICE Introduzione 1° Capitolo - L’uso dei social network in Italia: tanto divertimento, poco business. Una comparazione fra l’Italia ed il trend globale 1.1 Come si cerca lavoro oggi in Italia. Una comparazione con l’estero. 1.2 L’uso dei SN da parte dei recruiter all’estero 1.3 I job seeker “2.0” (non) sono tutti uguali 1.4 Social recruiting e capitale sociale. 1.5 Due diversi approcci al social recruiting: recruiter e job seeker 2° Capitolo - La rilevanza dell’uso dei social media nel matching fra candidati e posizioni aperte 2.1 La cultura dell’uso dei SN fra i recruiter 2.2 La reale utilità di web e social network 2.3 Il social recruiting alla prova dei fatti: quando si assume e quando no 3° Capitolo - L’importanza della web (o digital) reputation 3.1 Misurare la reputazione è possibile 3.2 Una soluzione. Forse. 3.3 Come fare allora (sul web e sui social network) 3.4 Cura la brand reputation. Anche (e soprattutto) se non stai cercando un lavoro. 3.5 La reputation del recruiter e la sua “rete”: il networked recruiter 3.6 Come “attraggono” le aziende: employer branding Bibliografia
  • 3. 3 INTRODUZIONE La storia del lavoro, parallelamente all’evoluzione della tecnica e grazie alla costante innovazione produttiva, ha fatto si che questa passasse da un modello cosiddetto “fordista” a quello del “saper fare”. Oggi, nell’epoca del web il “saper fare”, però, non può mancare di viaggiare in parallelo al “saper cercare” e al “saper valorizzare”. Entrano così in gioco concetti quali la web reputation ed il social recruiting, introducendo nuovi paradigmi e nuove mentalità, grazie al supporto dell’innovazione tecnologica. Cosa intendiamo con questi due termini? La web reputation, intesa come la nostra carta di identità online, vale tanto per le aziende ed i brand, quanto per i singoli (job seeker o recruiter). Potremmo dire che è la nostra vetrina sul web, che raccoglie in maniera dinamica (contenuti di testo e multimediali) la nostra storia ed un quadro descrittivo di noi, composito, che evolve e assume un significato anche a seconda dei contesti. Come tale, nell’epoca del web 2.0, la WR diventa la “prima impressione”, il proprio biglietto da visita. Il social recruiting, invece, è l’attività di ricerca e selezione di candidati all’epoca dei social network. Ma non si tratta solo di un’evoluzione dello strumento tecnologico visto che, peraltro, il recruiting era già abbastanza web based grazie all’uso di portali e siti dedicati. Il social recruiting impone così il paradigma e la logica dei social network, determinando nuove dinamiche (come il networking e l’implementazione di reti sociali avanzate) e nuove logiche (come il superamento della dicotomia privato-pubblico, o le nuove modalità di valorizzazione di skills ed esperienze). Trattasi perciò di elementi oggi irrinunciabili, tanto più oggigiorno in cui cercare lavoro è diventata un’attività sempre più creativa. Obiettivo del presente lavoro di tesi sarà perciò quello di analizzare questi trend, in Italia e all’estero, per cercare di comprendere come sta riorganizzandosi il mondo del lavoro alla luce della crisi (ormai superata?) e delle nuove sfide che ci impone il progresso tecnologico e socio-culturale. L’economia italiana continua a vacillare ma, al contempo è facile osservare che per chi è già pronto a valutare nuovi percorsi lavorativi, la situazione appare più trasparente e netta, proprio grazie ai trend oggetto di questo studio ed esattamente come avviene da tempo all’estero. Infatti, «sempre più posizioni sono visibili online, dove è possibile trovare una quantità di informazioni prima impensabile: informazioni sull’azienda, sulla
  • 4. 4 sua cultura e sul team, futuro manager incluso. Intanto, strumenti e processi nel settore Talent Acquisition sono stati ridefiniti per individuare proattivamente i profili migliori per il ruolo, anziché aspettare che siano i candidati a farsi avanti» (Linkedin Talent Trends Italia 2014). Tutti questi elementi sono determinanti circa il modo in cui le persone trovano e valutano le nuove opportunità di carriera e sul modo con cui chi si occupa di selezione e risorse umane opera. Tale obiettivo di ricerca è tanto più interessante quanto più questo s’inserisce nell’analisi del Belpaese, che si presenta rispetto a tali fenomeni come una “anomalia”, per non dover utilizzare la trita formula del “fanalino di coda”, del primo mondo. La ricerca si snoda perciò attraverso alcuni quesiti, primo fra tutti, se la rigidità del mercato del lavoro italiano può/potrà essere in qualche modo mitigata dall’azione di ricerca e di offerta del lavoro tramite il web e attraverso la rete informale dei social newtork (?). Per non parlare del fatto che l’incremento dell’uso del web e dei social network per la ricerca e l’offerta di lavoro potrebbe ragionevolmente essere integrato nell’agenda digitale di cui il nostro Paese si è dotata. Infatti, così come per altre soluzioni tecniche che verranno implementate nei prossimi anni - Pec, fatturazione elettronica, firma digitale, etc. - anche l’uso di questi applicati alla ricerca di lavoro consente un abbattimento dei costi e un aumento della velocità, oltre che della tracciabilità, della misurabilità e, infine, una riduzione dei costi. Peraltro, come è già realtà in Paesi come la Germania o il Regno Unito, anche in Italia i Centri per l’Impiego (CPI) devono divenire sempre più degli avamposti di marketing per matchare l’offerta e la domanda di lavoro; e in questo senso, visti anche i vincoli dovuti ai bilanci nazionali e locali, l’uso degli strumenti web based potrebbero consentire di realizzare tale missione? Forse si. Ma è davvero così rivoluzionario il social recruiting al tempo della web reputation? Si. Gli esempi potrebbero essere molti, ma basterebbe considerare che tramite i social network, aziende e recruiter hanno a disposizione un bacino virtualmente illimitato di candidati, in costante aumento e con dei profili sempre aggiornati. Con una sola ricerca si riescono a trovare molti più candidati che non con i metodi tradizionali. Il risparmio, per le aziende, rispetto ai servizi esterni di head-hunting è notevole, ed in tempo di crisi per tutti non è insignifcante. Inoltre, il social recruiting supporta aziende e recruiter nei processi di Talent Acquisition, Employer Branding e Comunicazione del proprio brand ad
  • 5. 5 un’audience mirata. Tradotto significa possibilità di targetizzare i candidati idonei, ridurre i tempi e i costi dei processi legati alla gestione delle risorse umane, potenziare il proprio brand e distinguersi rispetto alla concorrenza. Le domande che l’analisi di questi due elementi – il social recruiting e la questione della web/digital reputation – pone molti, moltissimi interrogativi. Le risposte non potranno che essere il prodotto della sperimentazione e della spinta che, dal basso, tradizionalmente contraddistingue il web. Ma, non solo dal “basso”. Perché anche dall’alto – player privati e, più lentamente, anche quelli pubblici – non si resta a guardare, e lo dimostra per esempio il fatto che i principali studi su cui tale lavoro è stato realizzato siano frutto dei centri studio di operatori privati quali Linkedin e Adecco. Tutti questi studi di settore dimostrano che i social media diverranno il nuovo mercato del lavoro, magari anche con un piede nell’attività e nella funzione di orientamento al lavoro? Ma, ad oggi, prassi e impatto di tutto questo non sono sempre chiari per job seeker e recruiter, per quanto siano “2.0” appunto. Per certi versi – per deformazione professionale, potremmo dire… – i recruiter sono forse un po’ più avanti dei job seeker ma, in generale, parliamo di numeri in crescita. Per esempio, nel 2013 più della metà (53%) dell’attività di recruiting ha riguardato internet, stimando una percentuale in crescita fino al 61% per il 2014; il 29% dei job seeker è stato contattato tramite social media, e un significativo 9% ha ricevuto tramite questi strumenti una offerta di lavoro; 1 job seeker su 2 utilizza i social media per ricercare lavoro, mentre li utilizzano per la loro attività 7 recruiter su 10 (Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 – Global Report). Parliamo già della metà del mondo del lavoro.
  • 6. 6 1° Capitolo - L’uso dei social network in Italia: tanto divertimento, poco business? Una comparazione fra l’Italia ed il trend globale 1.1 Come si cerca lavoro oggi in Italia? Una comparazione con l’estero. Siamo oggettivamente passati – anche in Italia, nonostante le maggiori resistenze – da un modello di ricerca del lavoro (sia da parte delle aziende, che dei candidati) “post and pray” (candidati e prega) ad un sistema più dinamico e di online network. Se un tempo bastava affiggere un’offerta o farla pubblicare su un giornale di annunci, e viceversa da parte del candidato, oggi lo scenario è profondamente mutato. E’ mutato perché è mutato il mercato e, perciò, le interazioni fra (le curve di) domanda e di offerta di lavoro. Siamo passati da una dinamica di “old economy”: …ad una di “new economy” in cui la ricerca/selezione di lavoro avviene così: L’utilizzo dei social media in Italia per scopi di ricerca lavoro non è più un tabù come dimostrano i dati Adecco1 , dove sul totale di chi utilizza i Social Network (89% degli intervistati), il 67% li impiega anche per la ricerca di lavoro: 1 Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers- Italia (http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
  • 7. 7 Questo l’identikit del job seeker “social” italiano delineato dalla ricerca Adecco (2014): Sempre dalla ricerca Adecco sopracitata, si nota come l’uso dei social media sia generalmente più diffuso fra le donne e come queste percentuali crescano significativamente al diminuire dell’età dell’intervistato. Ovviamente, poi, l’uso dei SN aumenta se il job seeker è alla ricerca del suo primo lavoro (80%) o se trattasi di occupati alla ricerca di un posto migliore (75%) e, infine, fra i disoccupati (73%). I numeri2 ci dicono che nel 2014 il 56% dei job seeker italiani ha usato i social media per distribuire il suo CV, il 23% è stato contattato almeno una volta da un recruiter mediante questi stessi strumenti mentre (solo) il 7% ha ottenuto lavoro tramite i social media. Anche in Italia, come all’estero, si osserva che l’uso dei SN per cercare lavoro è collegata 2 Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers- Italia (http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
  • 8. 8 al variare delle principali caratteristiche socio-demografiche dei job seeker, come dimostra la ricerca Adecco: L’utilizzo dei social media da parte di aziende e recruiter italiane per scopi, dunque, professionali è ben rappresentato da questo grafico estratto dal rapporto Adecco:
  • 9. 9 Il problema, nel nostro Paese, sorge con le dimensioni aziendali. Infatti, se l’uso dei social è piuttosto diffuso nelle grandi e nelle piccole aziende, la percentuale di diffusione di questi nelle micro e nelle medie si dimezza: (Fonte: Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers- Italia)
  • 10. 10 Da questo deriva, ovviamente, che il numero delle assunzioni fatte pel tramite di internet (web tradizionale e social media) è differente a seconda delle dimensioni aziendali, per cui le micro-imprese sono meno portate all’utilizzo di internet per la ricerca del personale (32% sul totale delle assunzioni), mentre il numero aumenta significativamente per le aziende con oltre 50 dipendenti: (Fonte: Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers- Italia) I dati dimostrano che i recruiter, in Italia, utilizzano ancora poco e male i social network per fare recruiting. Ciononostante, fra i job seeker è via via più diffusa l’idea che le aziende ricerchino “talenti” mediante i social media: lo pensa il 25%, ma il 31% è contrario3 . Guardando la ricerca Adecco del 2014 sul social recruiting4 si nota 3 Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers- Italia (http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx). 4 Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 - Italia (http://www.adecco.com/industry- insights/social-recruiting.aspx). L'indagine è stata svolta da Adecco intervistando tra il 18 marzo e il 2 giugno 2014 269 selezionatori italiani. Il campione è costituito prevalentemente da donne ( per il 64%),
  • 11. 11 come meno del 40% (il 30% se ci riferiamo al settore finanziario) dei recruiter utilizza i social per scovare i candidati migliori e che quindi è il recruiting stesso il settore ad essere più presente sui social media: (Fonte: Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers- Italia) Questo l’identikit del recruiter “social” italiano delineato dalla ricerca Adecco 2014: nato tra il 1965 e l' '80 (59%), per lo più da laureati (77%), con almeno 5 anni di esperienza alle spalle (70%).
  • 12. 12 Tuttavia la situazione italiana sembrerebbe far ben sperare a leggere i numeri forniti da Adecco al riguardo dei recruiter che intenderanno utilizzare i SN nei prossimi 12 mesi5 , significativamente in crescita secondo le stime. 1.2 L’uso dei SN da parte dei recruiter all’estero In Italia «il 40% dei candidati utilizza Linkedin e più in generale i social per cercare o cambiare il proprio posto di lavoro contro un appena decente 60% dei recruiter che lo utilizza come strumento di lavoro. Già questo basterebbe a spiegare alcune cose del sistema Italia (inteso come sistema fatto da noi italiani). In soldoni, c'è domanda ma manca l'offerta»6 . In realtà, anche a livello globale7 lo scenario non è molto più edificante se si considera che il 40% dei job seeker trova lavoro grazie a contatti personali e attraverso il proprio network, contro il 62% dei recruiter che trovano il loro miglior candidato mediante i social (i dati Adecco 2014 parlano addirittura del 70% e che metà dell’attività di recruitment è ormai web based). All’estero, infatti, le cose vanno un po’ meglio se consideriamo che secondo una statistica di Jobvite8 l’86% del campione intervistato fra i social job seeker ha almeno un account su uno dei principali Social Network. I dati sono piuttosto emblematici: • Il 76% del campione, ha trovato la sua attuale mansione attraverso Facebook; • Il 40% del campione è stato contattato su Linkedin con una offerta di lavoro, ed il 34% ha condiviso un’opportunità di lavoro; • Il 28% ha ricevuto una proposta di lavoro su Twitter. 5 Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Recruiters- Italia (http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx). 6 https://www.Linkedin.com/pulse/Linkedin-recruiters-ecco-come-mirko-saini 7 Jobvite - How Do Job Seekers Use Social Media? (http://linkhumans.com/social-recruiting/jobseekers- social-media-study) 8 Jobvite - How Do Job Seekers Use Social Media? (http://linkhumans.com/social-recruiting/jobseekers- social-media-study)
  • 13. 13 La situazione è ben diversa all’estero, dove - come dimostra la ricerca globale di Adecco - a usare i social media (non solo Linkedin!) per cercare lavoro sono cinque persone su dieci e sale al 70% la percentuale degli HR manager che li utilizzano in ufficio tutti i giorni: (Fonte: Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014) Volendo considerar egli Stati Uniti come paradigma di uno dei Paesi più avanzati nell’uso dei SN per cercare lavoro (passivamente o attivamente), avremmo questo identikit9 : 9 Jobvite - How Do Job Seekers Use Social Media? (http://linkhumans.com/social-recruiting/jobseekers- social-media-study)
  • 14. 14 1.3 I job seeker “2.0” (non) sono tutti uguali Ovviamente no. Anche perché differenti Social Network implicano differenti opportunità e modalità di azione10 . Tuttavia, è complicato trovare un fattore trasversale che possa esemplificare e armonizzare a livello mondiale tutte le notevoli differenze presenti da nazione a nazione. Sicuramente, però, uno dei fattori più interessanti (oltre al sesso e al livello di studi) è l’età anagrafica del job seeker, cioè la discriminazione fondamentale fra “Generazione Y” e non. Se consideriamo, per esempio, l’uso della tecnologia mobile per il social recruiting, noteremo che solo il 3% degli over-55 sa come utilizzarli, contro il 33% della fascia 18-29 anni. Tuttavia, se consideriamo l’uso del SN più affermato per la ricerca di lavoro (Linkedin), le differenze si abbattono notevolmente, e noteremo che il 10 Una divisione fondamentale fra i tre principali SN prevede che su Linkedin si curino i rapporti diretti, si evidenzia la reputation, si qualificano le relazioni, e ci aggrega in Gruppi; Twitter: aggregatore di informazioni, ricerche #job, #lavoro e simili; Facebook: ottima per lavorare sui ‘legami deboli’, superficiale, costruisce e distrugge reputation (Cfr. Andrea Pugliese, lezione del 21 marzo).
  • 15. 15 17% dei 18-29 lo usa contro un significativo 10% degli over-55: una differenza tutt’altro che abissale11 . Le statistiche12 affermano che più il job seeker è giovane, molto formato e più hanno probabilità di utilizzare i social media per cercare informazioni sulla capacità/esperienza di dipendenti attuali in una società di interesse: All’opposto di quanto fanno i “Millennials” (o Generation Y), i baby boomers (gli over- 50/55) non utilizzano i principali SN per cercare lavoro: 11 Jobvite, Job Seeker Nation Study 2015 (http://www.jobvite.com/wp- content/uploads/2015/01/jobvite_jobseeker_nation_2015.pdf). 12 Jobvite, Job Seeker Nation Study 2015 (http://www.jobvite.com/wp- content/uploads/2015/01/jobvite_jobseeker_nation_2015.pdf).
  • 16. 16 Sul fattore del livello di studi, tuttavia, non tutte le ricerche sono concordi. Alcune, infatti, come quella di Adecco, sostengono che il livello di studi – così come l’età – non è così determinante ai fini dell’uso dei social network a scopo di business: (Fonte: Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014) 1.4 Social recruiting e capitale sociale. Il social recruiting piace di più ai responsabili delle Risorse Umane, alla ricerca di nuovi candidate, che ai candidati in cerca di offerte di lavoro. Infatti, sulla base dell’indagine annuale di Adecco sul tema13 , si evidenzia che mentre metà dei recruiters si dice soddisfatto dell’uso degli strumenti web e del social recruiting, fra i job seekers la percentuale scende al 25% circa. Un po’ più scontato è invece un altro risultato, cioè «il fatto che, per trovare lavoro, sia necessario integrare le relazioni online con quelle offline. In questo modo si acquisisce 13 Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 - Italia (http://www.adecco.com/industry- insights/social-recruiting.aspx).
  • 17. 17 quello che è definito: “capitale sociale integrato”. Le relazioni online consentono infatti non solo di costruire nuove relazioni con persone di status superiore, ma anche incrementare la frequenza e la stabilità dei rapporti esistenti, approfondire la conoscenza reciproca e intercettare più facilmente informazioni su offerte di lavoro disponibili»14 . Infatti, utilizzando sempre i risultati della ricerca di Adecco, si evidenzia come in realtà chi ha trovato effettivamente lavoro mediante il social recruiting o il web ha in realtà una rete sociale già ricca15 , a dimostrazione di quanto pesi il capitale sociale pregresso dei candidati16 , e del fatto che l’utilizzo dei social media per la ricerca di lavoro è meno diffuso fra chi ha una rete debole (sia offline che online)17 . Se l’uso di una piattaforma come Facebook è generalmente inteso come un’attività afferente il tempo libero, diversa è la concezione che si ha, per esempio, di Linkedin. Job seeker e recruiter, infatti, coltivano su uno strumento come questo delle reti sociali a carattere professionale; su Facebook quasi sempre no. Quindi, per esempio, l’aggiunta immotivata di “amici” su questo SN è inutile, oltre che malvisto, in quanto ogni “amico” aggiunge – o toglie – valore alla nostra rete. Non è necessario conoscere tutti quanti ne fanno parte ma, ognuno di questi, deve essere in qualche modo importante per la rete sociale, soprattutto se parliamo di un job seeker. Uno studio effettuato da Linkedin (Linkedin Italy Global Recruiting Trends 2013), conferma questi dati, e afferma infatti che nel nostro Paese i SN professionali sono la fonte in più rapida crescita per le assunzioni di qualità: 14 NinjaMarketing, Funziona il social recruiting in Italia? (www.ninjamarketing.it/2013/04/07/funziona-il- social-recruiting-in-italia-infografica/). 15 Questa discorso vale a livello globale ed anche italiano. Su questo, però, è necessario fugare ogni velleità. Infatti, anche parlando di rete online, non conta tanto la quantità/peso in numeri assoluti della nostra rete, quanto la qualità. Per esempio, su Linkedin, non conterà avere “500+ collegamenti”, quanto averne anche meno della metà ma tutti in linea con il nostro profilo e la nostra esperienza professionale. 16 La stessa ricerca dimostra, tuttavia, come anche a livello globale la stragrande maggioranza delle persone in cerca di lavoro non è cosciente né di quanto siano importanti le reti sociali, né di quanto visibile e accessibile (e a chi) sia il loro account. In generale, è statisticamente dimostrato che il primo canale per l’incontro fra domanda ed offerta di lavoro è il passaparola: lo strumento “che fa rete” per antonomasia. 17 Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers- Italia (http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
  • 18. 18 Per fare un esempio “in casa”, si potrebbe citare il caso di Till Kaestner, Direttore Commerciale di Linkedin per Germania, Austria e Svizzera che spiega così come ha trovato il suo attuale impiego: «con l'aiuto della mia rete sociale! Ho appreso dalla stampa che Linkedin intendeva ampliare le sue attività in Europa. Poiché la cosa mi interessava, ho preso contatto con l'azienda tramite la mia rete online (con Linkedin, nota bene). Il resto è stata pura formalità»18 . Se mettiamo insieme la rete sociale e la misura dell’efficacia dei canali online per l’incontro tra domanda e offerta, i risultati tradizionali (dove le voci “Parenti ed amici” ed I “Contatti professionali precedenti” la fanno sempre da padroni…) vengono totalmente sovvertiti. E’ stupefacente vedere come chi abbia una rete sociale ricca, nel 50% dei casi trovi lavoro con un social network, mentre chi ha una rete sociale debole solo (si fa per dire…) nel 22% dei casi19 . Insomma, una rete sociale ricca da il doppio delle possibilità in più di trovare un lavoro grazie al social recruiting. 1.5 Due diversi approcci al social recruiting: recruiter e job seeker L’approccio al social recruiting è molto diverso se analizzato dal punto di vista del 18 https://www.credit-suisse.com/it/it/news-and-expertise/topics/innovation.article.html/article/pwp/news- and-expertise/2014/03/it/Linkedin-how-social-recruiting-works.html 19 Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 - Italia (http://www.adecco.com/industry- insights/social-recruiting.aspx).
  • 19. 19 recruiter o head hunter e del job seeker. Anzitutto, se parliamo di utilizzo dei social per cercare forza lavoro, nonostante l’ampia gamma di piattaforme, la più utilizzata dai recruiter è di gran lunga Linkedin. Invece, da parte dei job seeker prevale l’uso dei siti specializzati e Linkedin non sembra uno degli strumenti più apprezzati. Esattamente all’opposto di chi fa selezione. Chi fa selezione utilizza, infatti, Linkedin come uno dei principali strumenti del recruiting “2.0”, al fine di migliorare soprattutto le basi del recruiting stesso (ricerca, preselezione e assunzione dei migliori talenti), perché gli obiettivi di selezione legati all’utilizzo dei social media sono qualitativi più che quantitativi. Questi sono, infatti, gli obiettivi di selezione prefissati ricorrendo all’uso dei social media: (Fonte: Adecco, #SocialRecruiting, A global study/Recruiter. Report 2014 – Italia) Dal punto di vista dei job seeker, secondo un recente studio20 , le piattaforme più usate sono: Facebook (83%), Twitter (40%), Google+ (37%) e, infine, Linkedin (36%). Invece, da quello dei recruiter: Linkedin (94%), Facebook (65%), Twitter (55%) e, ultimo, Google+ (18%). La più grossa discrepanza la si rileva proprio su Linkedin, dove è presente il 94% dei recruiter contro solo il 36% dei job seeker. 20 Jobvite - How Do Job Seekers Use Social Media? (http://linkhumans.com/social-recruiting/jobseekers- social-media-study)
  • 20. 20 2° Capitolo - La rilevanza dell’uso dei social media nel matching fra candidati e posizioni aperte 2.1 La cultura dell’uso dei SN fra i recruiter Secondo alcuni osservatori21 , gli scarsi livelli di uso dei SN per motivi di lavoro sarebbero dovuti anche alle policy aziendali in Italia sull'uso dei social, che disincentivano (o impediscono del tutto) l’uso dei SN a scopi di recruiting. Policy vecchie, orizzontali, che non differenziano l’uso da parte dei dipendenti dei SN, impedendo così ai dipartimenti HR di utilizzarli a questi scopi, come dimostra questo grafico: Ne deriva che solo «il 36% delle aziende consiglia caldamente o obbliga i propri recruiters ad utilizzare i social come strumento di lavoro […] Più l'azienda è piccola e quindi maggiore sarebbe il bisogno di avvantaggiarsi nei confronti di quelle più grandi e 21 Mirko Saini, Linkedin & Recruiters: ecco come lo usano in Italia (conoscere per adeguarsi) (https://www.Linkedin.com/pulse/Linkedin-recruiters-ecco-come-mirko-saini).
  • 21. 21 con mezzi finanziari maggiori, minore è l'input all'utilizzo del web e dei social»22 . E’ evidente come questa miopia sia dovuta alla considerazione – in se e per se corretta – che Facebook e gli altri SN costruiscono statisticamente il fattore di maggior distrazione e perdita di tempo dei dipendenti, tanto che il surf sul web supera pause caffè e sigarette sul totale della giornata. E non stupisce, dunque, che solo il 24,8% dei recruiter ha ricevuto adeguata formazione sull'uso dei social a scopi di recruiting. Non che nel resto del mondo il livello sia particolarmente diverso, infatti a livello globale il 30% dei recruiter o di coloro che lavorano in funzioni HR ha svolto corsi di formazione sui SN (ma un significativo 61% non ha linee guida o sono disincentivati dall’utilizzare i SN)23 . La situazione in Italia circa l’uso dei SN da parte dei recruiter a scopo professionale è rappresentata da queste stime di Adecco: Questi numeri fanno il pari col fatto che il 75% dei recruiter italiani non ha mai ricevuto formazione in azienda per la selezione del personale tramite i social media24 . Tuttavia, sempre dallo stesso rapporto, si apprende che l’attenzione delle aziende sui SN come strumenti è maggiore se globalmente intesi; infatti monitorando se queste hanno o meno delle linee guida/policy per l’uso (in generale) dei social media (es. casi critici) ben il 46% delle aziende afferma di averne una. Ad ogni modo, pur utilizzandolo poco, lo strumenti dei social network è impiegato per ricercare anzitutto i “migliori” candidati. Sempre dalla ricerca Adecco infatti apprendiamo che oltre il 60% di tale attività è impiegata a individuare candidati mirati: 22 https://www.Linkedin.com/pulse/Linkedin-recruiters-ecco-come-mirko-saini 23 Adecco, #SocialRecruiting. A global study (2014) – global report (http://www.adecco.com/industry- insights/social-recruiting.aspx). 24 Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Recruiters- Italia (http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
  • 22. 22 Una certa resistenza culturale, una scarsa alfabetizzazione digitale e molto altro, sappiamo influiscono negativamente sull’uso professionale dei SN e sul social recruiting in generale (sia dal lato dei job seeker che dei recruiter). Tuttavia, al di là delle apparenze di facciata, la situazione italiana non sembrerebbe così distante dalla media mondiale. I dati 2013 raccolti da Linkedin25 affermano che, in Italia e all’estero, la percezione dei soggetti coinvolti è che i SN professionali avranno un impatto a lungo termine sul recruiting: 25 Linkedin Italy Global Recruiting Trends 2013 (http://www.slideshare.net/Linkedin-talent- solutions/global-recruiting-trends-2013-italy-italian).
  • 23. 23 Anche il rapporto Adecco 201426 è concorde nel rilevare il sempre maggior utilizzo dei supporti web e social da parte dei recruiter, tanto che oltre il 50% delle attività di ricerca del personale da parte delle aziende include già da ora il web, e si prevede che nel corso del 2015 salirà al 70%. 2.2 La reale utilità di web e social network Nel giro di pochi anni la risposta a questa domanda è profondamente cambiata in Italia e la situazione va sempre più verso la media mondiale dove la metà dei job seeker ha inviato una candidatura attraverso i social media, uno su tre è stato contattato online e uno su dieci ha ricevuto una proposta27 . Superando una certa resistenza culturale e uno scetticismo dovuto probabilmente alla volatilità ed alla (presunta) superficialità di tali strumenti, anche nel nostro Paese negli ultimi anni il trend della ricerca di lavoro è andato nella direzione del social recruiting. Ovviamente non tutti i SN sono uguali ed altrettanto efficaci nella ricerca di lavoro. Concentrandoci sui tre principali SN, come dimostra la ricerca di Jobvite, avremo che: 26 Adecco, #SocialRecruiting. A global study (2014) – global report (http://www.adecco.com/industry- insights/social-recruiting.aspx). 27 Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 (http://www.adecco.com/industry- insights/social-recruiting.aspx).
  • 24. 24 Inaspettatamente, come evidenzia questo studio28 , non è Linkedin a farla da padrona fra i job seeker che, quantitativamente, usano in maniera diretta o indiretta soprattutto Facebook e Twitter per cercare opportunità di lavoro. Ovviamente, però, Linkedin è, e resta, lo strumento universalmente più considerato come “serio” e idoneo alla ricerca di lavoro, soprattutto per profili di un certo tipo. Questo studio, tuttavia, è la dimostrazione della trasversalità che l’uso dei SN a scopo professionale consente: chi avrebbe, infatti, mai pensato di poter trovare lavoro con un “tweet” fino a qualche anno fa? Infatti, sempre lo stesso studio, dimostra che su Facebook e Twitter i job seeker sono maggiormente propensi a barare sui loro profili, gonfiandoli un pò: Soffermandoci su Linkedin, che è forse il SN per il recruiting più noto e diffuso, i dati relativi l’Italia sono incoraggianti: 28 Jobvite, Job Seeker Nation Study 2015 (http://www.jobvite.com/wp- content/uploads/2015/01/jobvite_jobseeker_nation_2015.pdf).
  • 25. 25 (Fonte: http://www.webcentrica.it/come-viene-utilizzato-Linkedin/) Il 478 del campioni di intervistati afferma che segue pagine aziendali e le utilizza come fonte di informazione per il proprio lavoro. Oltre alla possibilità di interagire direttamente con l’azienda o con altri professionisti (77%), emerge come ai contenuti presenti sulle pagine aziendali viene riconosciuto un valore superiore a quello prodotto da stampa e/o recensioni29 . Invece in Italia ha pochissima diffusione SlideShare che, all’estero, soprattutto per i profili medio-alti, ha un ottimo eco e garantisce una significativa visibilità e crescita alla propria reputation. Permangono delle differenze dovute a vari fattori - dimensione dell’organizzazione, provenienza geografica, mercato di riferimento, etc. -, tuttavia, la direzione è tracciata. Sulla base della ricerca di Adecco sul social recruiting30 , emergono percentuali significative; alla domanda se i social network hanno reso più facile la ricerca di lavoro, i recruiter rispondono “si” al 50% (ma i “no” sono un altrettanto significativo 50%), 29 Mirko Saini, Conoscere come viene utilizzato Linkedin in Italia per avvantaggiarsene (http://www.webcentrica.it/come-viene-utilizzato-Linkedin/). 30 Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 - Italia (http://www.adecco.com/industry- insights/social-recruiting.aspx).
  • 26. 26 mentre i job seekers solo per il 25%, quindi per il restante 75% la risposta è negativa. Se la domanda viene poi incentrata su quali strumenti online hanno contribuito a tale ricerca, si evidenzia come Linkedin rappresenti lo strumento preferito dei recruiter (78% delle risposte affermative alla domanda se e quali canali online aiutano a matchare offerta e domanda di lavoro), mentre per i candidati la fanno da padrona i siti specializzati (70%) che, pure, sono però lo sono anche per i recruiter (72%). In generale possiamo dire che sì, è utile il social recruiting, perché è uno strumento che consente di andare incontro al trend/rapporto fra l’incremento delle assunzioni e l’aumento dei budget. Infatti, poiché le assunzioni crescono proporzionalmente più rapidamente dei budget, i recruiter devono utilizzare le risorse in modo più strategico e perciò “centrare il colpo” al primo tentativo senza perdere tempo né energie, cosa che proprio il social recruiting consente di fare: (Fonte: Linkedin Italy Global Recruiting Trends 2013) 2.3 Il social recruiting alla prova dei fatti: quando si assume e quando no Ovviamente è impossibile dire se e quanti nuovi lavoratori ogni anno siano assunti, direttamente o indirettamente, grazie al social recruiting. Gli unici strumenti di misurazione sono le indagini portate avanti dai centri studio e di analisi dei grandi player
  • 27. 27 del settore. Fra questi spicca sicuramente lo studio annuale di Adecco dedicato proprio al social recruiting che dal 2010 analizza anche in Italia questo fenomeno. Parlando dell’efficacia di tali strumenti, possiamo osservare che nel 2013 il 34% dei recruiter intervistati ha assunto qualcuno utilizzando i social network. Tuttavia questa cifra considerevole riguarda in qualche modo uno “zoccolo duro” di job seekers, evidentemente poco trasversale e poco orizzontale se, fra i job seekers, solo il 7% dice di conoscere qualcuno che abbia trovato lavoro grazie ai social network. Comparato coi canali più tradizionali, dunque, il social recruiting conta (nel 2013, fonte Adecco) il 30% in termini di efficacia per l’incontro di domanda ed offerta, quale somma fra gli “Annunci online” (21%) ed i social network (9%). Tuttavia, “Parenti ed amici” (52%) ed i “Contatti professionali precedenti” (42%) la fanno ancora da padroni.
  • 28. 28 3° Capitolo - L’importanza della web (o digital) reputation In un contesto di sovrabbondanza di competenze (skills) e di offerta di lavoro, quello che fa davvero la differenza, esattamente come fra un prodotto/servizio e l’altro, è la reputazione. La reputazione oggi è “digitale” ed esiste al di là della volontà del singolo, perché al di là della volontà di chiunque esiste – per ognuno di noi – una identità digitale che non abbiamo appositamente creato ma che, di fatto, esiste. L’offerta di lavoro e le candidature dei job seeker non sono immuni da ciò e, anzi, nella logica dell’economia della reputazione, la reputation è un fattore determinante e non secondario. Per questo, fare personal branding è doveroso per chi è in cerca di lavoro e, come vedremo, anche per chi offre lavoro per conto terzi. Tanto più si diffonde l’uso dei social network, anche grazie a smartphone e tablet, nonché a costi dei servizi di telefonia e web sempre più alla portata di tutti, e tanto più il problema della web (e quindi anche “social” o più genericamente “digital”) reputation, diventa irrinunciabile. La serata trascorsa con gli amici a bere, o le stravaganze delle proprie vacanze estive, infatti, possono diventare il discrimine fra la possibilità di avere un lavoro o meno. Circa «il 14% dei selezionatori utilizza i canali online per informarsi sulle relazioni professionali del candidato»31 e, magari, incappa invece nelle foto dell’ultima sbronza con gli amici. Difatti, le statistiche dimostrano che «nel 12% dei casi (i recruiter) si sono trovati ad escludere dei candidati per le informazioni che hanno reperito in rete»32 . La ricerca Adecco dimostra che il 77% dei recruiter monitora il nome del candidato sul web e sulla base di questi risultati conduce la sua selezione. Dato confermato da uno dei vertici di Linkedin Europa che ammette che «più della metà delle aziende esegue controlli di background sui candidati; grazie a Internet, anche questi ultimi sono divenuti molto più semplici»33 . Il fenomeno è così diffuso che, da anni, vige ormai in Germania una legge dello stato che vieta alle imprese di indagare (senza autorizzazione) sui profili social non 31 NinjaMarketing, Funziona il social recruiting in Italia? (www.ninjamarketing.it/2013/04/07/funziona-il- social-recruiting-in-italia-infografica/) 32 NinjaMarketing, Funziona il social recruiting in Italia? (www.ninjamarketing.it/2013/04/07/funziona-il- social-recruiting-in-italia-infografica/) 33https://www.credit-suisse.com/it/it/news-and-expertise/topics/innovation.article.html/article/pwp/news- and-expertise/2014/03/it/Linkedin-how-social-recruiting-works.html
  • 29. 29 aventi un evidente scopo di business per scoprire dati e informazioni su un potenziale candidato34 . Questi i numeri secondo una ricerca di Reppler35 sul tema: Da queste risposte, a seconda dell’esito di ciò che si è trovato sul candidato, può conseguire un rifiuto della candidatura che sfiora il 70% dei casi: 34 Andrea Malan, La Germania tutela la privacy: stretta sui controlli online, in “Il Sole 24 Ore”, 25 agosto 2010. 35 UnderCover Recruiter, How Employers Use Social Media To Screen Applicants (http://theundercoverrecruiter.com/infographic-how-recruiters-use-social-media-screen-applicants/)
  • 30. 30 …oppure un’assunzione, in una proporzione esattamente speculare:
  • 31. 31 Soffermandoci sull’Italia, vedremo che circa un recruiter su quattro sostiene di aver escluso almeno una volta un candidato a causa delle informazioni, foto o dei contenuti presenti sui profili social di un job seeker36 . Tuttavia c’è un significativo 75% di recruiter che sostengono di non averlo mai fatto. Questi, in ogni caso, i principali SN e strumenti online per effettuare queste ricerche da parte di recruiter e aziende37 : 36 Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Recruiters- Italia (http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx). 37 Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Recruiters- Italia (http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
  • 32. 32 3.1 Misurare la reputazione è possibile In un contesto di crisi finanziaria, l’economia della reputazione – non essendo vincolata alla produzione (diretta) di beni o servizi – è, invece, in espansione. La “fiducia”, infatti, assume un valore maggiore in un contesto di incertezza e instabilità. Nascono anche per questo strumenti di misurazione, come il position generator o piattaforme/algoritmi come Mevalutate. Il position generator è lo strumento di misurazione del capitale sociale offline/online di una persona più diffuso nella letteratura scientifica. Questo permette di identificare tale capitale a partire dall’identificazione delle figure professionali che rientrano nella sua rete, attribuendo a ogni professione un peso proporzionale alla posizione occupata nella scala di prestigio sociale38 . Mevaluate è la prima banca etica online della reputazione, fondata su documenti certi e caratterizzata da un controllo pubblico diffuso. Il progetto, tutto italiano, punta a valorizzare la reputazione di singoli e aziende dando a questa un valore economico. Attraverso una serie di algoritmi, Mev, prendendo in considerazione solo documenti verificati, è in grado di individuare un rating della reputazione che consente di determinare in maniera affidabile il grado di fiducia che può essere riposto in un individuo, un’impresa, un’istituzione pubblica o privata, dall’agenzia immobiliare alla banca con cui contrarre un mutuo. Insomma, presto i commenti e le recensioni degli 38 Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers- Italia (http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx).
  • 33. 33 utenti su cui basiamo i nostri giudizi prima di comprare beni o servizi, soprattutto on line, potrebbero essere superati. Quando parliamo di web reputation, che ne possa sembrare, parliamo perciò di un qualcosa di molto tangibile e reale, pertanto misurabile. Lo dimostra anche il cosiddetto algoritmo di Klout, attraverso il quale è stato elaborato un sistema che consente di collegare i propri account social al profilo Klout39 per conoscere quanto si è influenti e come si riesce a dirigere l'opinione degli altri. La web reputation, dunque, sta assumendo sempre più i contorni di una vera e propria logica di mercato, come dimostra l’adozione di strumenti per la sua misurazione. La web reputation può essere misurata, dunque, divenire merce di scambio avente un valore in sé. E’ la teoria espressa nel libro Gratis di Chris Anderson40 , direttore di Wired America, che associa la web reputation alla situazione di quelli che definisce come “mercati non monetari”. Secondo Anderson qui non è prevista la transazione economica, perché moneta di scambio con cui si da/riceve reputazione è l’attenzione, misurabile come il minutaggio che il nostro pubblico decide di donarci dedicandolo alla lettura, condivisione dei nostri contenuti. E’ l’attenzione che sta alla base della reputazione, di tutti: aziende e singoli. In questo sistema diventa “valore” la reputazione, ed il suo accrescimento attraverso la divulgazione (gratuita) di contenuti. Il guadagno sta nel fatto che la reputazione così acquisita si trasformerà in opportunità di business, non direttamente collegabili ma comunque evidentemente contigue come, per esempio, la possibilità di essere contatti da un recruiter che si sarà imbattuto nel profilo di quella persona anche e soprattutto grazie alla sua influence sul web. Anche (e soprattutto) sul web, infatti, valgono le regole della cosiddetta riprova sociale (o Social proof) che, anzi, sul web assume delle fattezze formali e che si sviluppa sulla base di regole definite e matematiche41 . La web reputation funziona perché sul web «una quantità enorme di 39 Nata nel 2009, Klout è un'applicazione web che permette di calcolare – con un punteggio da 0 a 100 – il proprio livello di influenza sui social network. Più alto il punteggio, naturalmente, maggiore sarà la propria fama su Facebook, Twitter etc. Basta collegare gli account social con il profilo della piattaforma di calcolo per sapere quale sia l'influenza che si esercita sulle persone che ci seguono. 40 http://www.amazon.it/Gratis-Chris-Anderson/dp/881704279X 41 Questo meccanismo è riconoscibile nelle recensioni di Google, in Tripadvisor o nei “like” di una fanpage. Lo stesso algoritmo di Facebook lo tiene in considerazione per scegliere quali contenuti farci
  • 34. 34 persone produce contenuti non necessariamente per trarne un qualche profitto economico in maniera diretta e, volendo parlare di mercato e quindi di attori (relativamente) razionali, potremmo dire che queste persone producono contenuti per ottenere un “profitto implicito” costituito il più delle volte semplicemente dal fatto di esistere ed essere visibili nel villaggio globale: una “remunerazione” del lavoro che è stata necessario compiere per creare e rendere disponibili quei contenuti»42 . E’ la conseguenza degli assunti di Herbert Simon, che scriveva nel 1971 «in un mondo in cui l’informazione è abbondante, si presenterà la scarsità di qualcos’altro, di qualcosa che l’informazione consuma. Quel qualcosa è l’attenzione. Non è difficile immaginare come l’abbondanza d’informazioni crei scarsità d’attenzione nel pubblico. Volendo mettere in conto anche il problema della qualità dell’informazione il quadro peggiora ulteriormente»43 . Secondo Anderson, dunque, se il denaro smette di essere il segnale principale nel mercato, al suo posto sorgono due fattori monetari: appunto l’economia dell’attenzione e l’economia della reputazione. Concentrare dunque l’attenzione su di sé e sui propri obiettivi, attraverso la propria rete sociale, utilizzando gli strumenti del web, diventa lo strumento di job seeker e recruiter. 3.2 Una soluzione. Forse. Una prima soluzione per tutelare la propria brand reputation è applicare una policy personale di privacy finalizzata a separare il personale dal lavorativo, per evitare che foto o video che riguardino un candidato possano influenzare negativamente il recruiter. Sono i fatti che ci dimostrano come ciò sia necessario, visto che il 46% degli intervistati in uno studio di Jobvite44 ha affermato di aver modificato le proprie impostazioni di privacy sui Social Network, arrivando in alcuni casi a rimuovere del tutto un loro profilo sui social o degli specifici contenuti. Ma come è possibile operare in maniera chirurgica e totalmente sicura questa divisione? E’ impossibile. Impossibile non solo perché fra indicizzazione dei motori di ricerca e “tracce” telematiche (dai tag sui SN, fino ai commenti fatti anni fa vedere nel nostro news feed o quali pagine suggerirci. “Se piace a tante persone (che conosci) probabilmente piacerà anche te” è in sintesi la domanda che si pone prima di proporci un contenuto. 42 C. Anderson, La coda lunga, Codice Edizioni, 2007, p. 67. 43 Chiara Lo Cascio, Economia della reputazione (http://www.dillinger.it/economia-della-reputazione- 50141.html). 44 Jobvite, How Do Job Seekers Use Social Media? (http://linkhumans.com/social-recruiting/jobseekers- social-media-study)
  • 35. 35 su qualche forum di opinione sul web), è tecnicamente impossibile cancellare un qualcosa di poco opportuno che ci riguarda. E’ altresì impossibile perché, sempre più spesso, la ricerca e l’offerta di lavoro passa – formalmente ed informalmente – tramite il web ed i social network in particolare. Infatti, se job seeker e recruiter differiscono, e non poco, nel concepire modalità e strumenti del social recruiting, la ricerca di Adecco già citata, dimostra che sulla digital reputation c’è piena convergenza di vedute fra le due categorie: «il 70% delle persone verifica le informazioni personali che circolano online “googlando” il proprio nome così come il 77% dei recruiter inserisce il nominativo di un candidato su un motore di ricerca per raccogliere maggiori elementi di valutazione»45 . Sempre la ricerca Adecco 2014 dedicata ai job seeker afferma che in Italia non vengono quasi mai pubblicati autoscatti o foto in atteggiamenti controversi, o commenti legati ad attività in violazione dei regolamenti universitari o dei luoghi di lavoro, come dimostra questa tabella: 3.3 Come fare allora (sul web e sui social network) La risposta sta solo nel curare la propria attività/vita web e social avendo in mente il concetto della personal/web reputation, esattamente come fossimo un brand che vuole così tutelare il proprio business e la propria immagine sul mercato. L’analogia, per quanto a tratti forzata, è l’unica che spiega il senso e l’importanza della web (e social) 45 NinjaMarketing, Funziona il social recruiting in Italia? (www.ninjamarketing.it/2013/04/07/funziona-il- social-recruiting-in-italia-infografica/)
  • 36. 36 reputation oggi per chi è in cerca di lavoro (job seeker) e, all’inverso, per chi cerca candidati (recruiter). Quasi sempre, come abbiamo detto, per completare le informazioni presenti all’interno del CV di un candidato, i recruiters sono soliti “googlare” il candidato. Ciò significa che il nome di questo viene ricercato sul celebre motore di ricerca per cercare, così, informazioni complementari e non necessariamente legate alla sua attività professionale o alla sua esperienza, ma che possono in pari tempo fornire informazioni utili a farsi un’idea del candidato stesso. A questo punto tornano di attualità commenti o foto di anni fa, ma che diventano irrimediabilmente scandalose agli occhi del recruiter, piuttosto che interventi in forum e chat di cui il web conserva (cinicamente!) traccia. Realizzare una pulizia del proprio nome su “Big G” (Google) è impossibile, oggi. Esistono delle web agency in grado di aiutarci in questa attività, ma sono care ed il risultato non è certo. Decisamente più economico e più confacente alla logica stessa di Google (cosiddetta “indicizzazione”) è quella di creare delle azioni di contrasto a tali risultati. Se, per esempio, i primi 10 risultati della ricerca su Google vogliono essere cancellati o spostati verso il fondo dei risultati, occorrerà creare dei contenuti “positivi” aventi in sé il nome del candidato, e valorizzare questi risultati per dargli “punti in classifica” coerenti con la logica di Google che premia e da visibilità ad alcuni risultati piuttosto che ad altri. Ovviamente, così come vale la possibilità che il recruiter scorga degli indizi negativi sul conto del candidato, è altresì possibile lasciare invece delle tracce positive. Per esempio, quello che sembra fare molta reputation è il cosiddetto blog tecnico o tematico, ovvero un classico blog dove è però possibile al candidato dimostrare una specifica conoscenza tecnica, o skills, che altrimenti non sarebbe possibile cogliere, oppure, hobby collateralmente connessi a una ipotetica mansione46 . Che si sia reso noto al selezionatore (o sui siti specializzati) il proprio profilo sui vari social network, è opportuno in ogni caso procedere a isolare i contenuti delle proprie pagine social dalla possibilità a tutti di raggiungere i contenuti ivi presenti. Il social network potenzialmente più insidioso da questo punto di vista è Facebook, ma anche Instagram. La soluzione più semplice, prima di procedere alla rimozione dei contenuti 46 Sono tantissimi i casi di blogger o di Youtuber che, partiti con tutorial e consigli, sono finiti a lavorare per grandissimi brand multinazionali.
  • 37. 37 (cosa tecnicamente impossibile in toto, perché al momento del caricamento dei contenuti si cede automaticamente la proprietà degli stessi ai social che ci ospitano…), è quella di impostare dei filtri circa la “pubblicità” di tali contenuti, limitandoli alla sola rete di amici. Al di là dell’omissione/cancellazione di certi contenuti dai vari profili sui SN, il potenziale candidato deve difendersi anche da un’altra insidia legata all’uso dei SN: l’eclettismo di diverse identità su altrettanti social network. Infatti, non è normalmente ben visto dai recruiter che uno stesso utente abbia, per esempio, uno stile ed una identità su Facebook del tutto incompatibile con l’immagine dello stesso su Linkedin. L’assenza di una immagine coordinata (e non, ovviamente, piatta e livellata) potrebbe in certi casi essere quasi peggio che non avere qualche scheletro (social) nell’armadio. 3.4 Cura la brand reputation. Anche (e soprattutto) se non stai cercando un lavoro. Le statistiche affermano che la maggior parte di coloro i quali sono quotidianamente preoccupati dalla cura della propria brand reputation sono, in realtà, alla ricerca di lavoro. Gran parte degli utenti di Linkedin, per fare un esempio relativo il business social network più diffuso, non è alla ricerca di un lavoro anche se non si definiscono “candidati attivi”. Allora perché si servono della piattaforma? Infatti «meno del 20% è realmente alla ricerca di un nuovo impiego. Il restante 80% cura le sue relazioni in rete, guarda cosa fa la sua cerchia di amici o legge articoli di settore. Lo scopo delle aziende è contattare questi candidati passivi nel modo giusto e al momento giusto»47 . Secondo Linkedin il 60% dei migliori recruiter si concentrerebbe, infatti, sui talenti passivi48 , motivo per cui il celebre SN consiglia di sviluppare la cultura dell’headhunting “proattivo” e del pensare a lungo termine, anche perché i candidati passivi sono il 120% più propensi a scegliere un lavoro con un impatto concreto49 e possono perciò essere stimolati proprio mettendo in risalto proattivamente la posizione lavorativa ricercata da parte del recruiter. E’ evidente come oggi la continua gestione della carriera sia divenuta un’abitudine 47 Simon Brunner, Linkedin: come funziona il social recruiting (https://www.credit-suisse.com/it/it/news- and-expertise/topics/innovation.article.html/article/pwp/news-and-expertise/2014/03/it/Linkedin-how- social-recruiting-works.html). 48 Linkedin, Come trasformare la cultura del recruiting (https://business.Linkedin.com/it-it/talent- solutions/best-practice-recruiting). 49 Linkedin Talent Solutions, Getting To Know Passive Talent (http://lnkd.in/PT-infographic1).
  • 38. 38 consolidata, sia che si tratti di candidati attivi che passivi. Ciò è stato dovuto anche agli effetti della cosiddetta “crisi”: chi ha perso il lavoro si è ovviamente attivato per la ricerca, in ogni modo, di una nuova opportunità; mentre chi un lavoro ce l’ha, ha comunque sentito la sua situazione più precaria di quanto non fosse 5 o più anni fa. In generale, quasi tutti i professionisti si dedicano mensilmente a una qualche attività legata all’avanzamento di carriera, «la maggioranza coltiva relazioni e tiene aggiornati i propri curriculum e profili professionali, e una buona percentuale degli intervistati tiene d’occhio le opportunità di carriera e le offerte potenzialmente interessanti», e solo l’11% dichiara di non aver svolto nessuna delle attività elencate dalla ricerca Adecco dedicata ai job seeker qui sotto: Parliamo di un’attività, dunque, che non si ferma mai, una tensione che fa si che il 38% dei job seeker cerchino costantemente nuove opportunità di lavori durante i loro spostamenti quotidiani, il 30% mentre svolge il suo impiego e, addirittura, un 18% lo fa costantemente… in bagno!50 50 Jobvite, Job Seeker Nation Study 2015 (http://www.jobvite.com/wp- content/uploads/2015/01/jobvite_jobseeker_nation_2015.pdf).
  • 39. 39 In generale – soprattutto per i settori più qualificati o dirigenziali – i candidati più ambiti dalle aziende sono quelli che hanno un’occupazione fissa, per cui l’obiettivo diviene attrarli verso di loro. Lo dimostra anche questa tabella estratta dal rapporto 2014 di Adecco sul social recruiting51 : Analizzando i risultati della prima riga, è evidente come i recruiter utilizzino i SN 51 Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 - Italia (http://www.adecco.com/industry- insights/social-recruiting.aspx).
  • 40. 40 soprattutto per cercare chi un lavoro non sta cercandolo (“candidati passivi”). Curare la propria reputazione e guardarsi intorno, dunque, è doveroso anche se non si è tecnicamente un job seeker: bisogna avere sempre la propensione e la mentalità di quest’ultimo. Del resto non bisogna farsi ingannare dalla dicotomia tra candidati “passivi” e candidati “attivi”, perché la maggior parte dei lavoratori (o aspiranti tali) prenderebbe (sempre) in considerazione una nuova offerta di lavoro: (Fonte: Linkedin Talent Trends Italia 2014) Chiariti questi aspetti si capisce come, implicitamente, chi cura la propria brand reputation sia, a conti fatti, nella posizione di chi cerca lavoro o, quantomeno, ne assume la medesima visibilità. Del resto, questa attitudine sta diventando sempre più consolidata e connaturata a chi usa i SN a scopi professionali o, più genericamente, di networking. Come conferma anche una ricerca di Linkedin del 2014 dedicata all’Italia «circa il 27% degli intervistati dice di essere attivamente in cerca di un nuovo ruolo, e solo il 13% ha risposto di non essere interessato a un nuovo lavoro. Il 46% si dichiara disponibile a parlare con un recruiter, mentre il 15% sta indagando sulla propria rete», al punto che si lo iato fra “candidati attivi” e “passivi” sta concettualmente diminuendo
  • 41. 41 progressivamente. 52 Questo anche perché il criterio della soddisfazione professionale (uno dei primi motivi per cui si lascia o si cerca un impiego in Italia) è sempre meno determinante, tanto che si può spesso catturare l’attenzione di un candidato passivo offrendogli semplicemente un’opportunità di carriera migliore. Ma, allo stesso tempo, per gli stessi motivi, la soddisfazione non è garanzia di fedeltà, in Italia così come (soprattutto) all’estero, come dimostra il fatto che oltre la metà dei candidati attivi dichiara in realtà di essere soddisfatto del proprio ruolo attuale:53 Dunque, in questo la media italiana è assolutamente in linea con la media mondiale54 , dove circa il 25% dei candidati (attivi) si dice attivamente impegnato nella ricerca di un nuovo lavoro, il 45% (dei passivi) si dice aperto a interagire con un recruiter, mentre un 15% (idem) è attivo nella costruzione di un proprio network. Solo un 15% (idem) si dice del tutto disinteressato nella ricerca di nuovo lavoro o nel valutare opportunità connesse. 52 Linkedin Talent Trends Italia 2014 (https://business.Linkedin.com/it-it/talent-solutions/c/14/6/talent- trends-report). 53 Linkedin Talent Trends Italia 2014 (https://business.Linkedin.com/it-it/talent-solutions/c/14/6/talent- trends-report). 54 Linkedin Talent Trends 2014 (World) (https://business.Linkedin.com/talent-solutions/c/14/3/talent- trends/2014).
  • 42. 42 In generale, è ovvio ravvisare che i candidati attivi hanno livelli considerevolmente più elevati di non soddisfazione circa la loro mansione, rispetto a quelli passivi, tanto in Italia quanto all’estero. 3.5 La reputation del recruiter e la sua “rete”: il networked recruiter Il concetto di reputation è trasversale e riguarda, ormai, sempre più anche i recruiter. Se questa cosa è meno sentita in Italia, molto forte lo è invece all’estero. Immaginiamo, infatti, uno strumento come Linkedin che, tecnicamente, consente a un qualunque utente di mettersi direttamente in contatto con i più alti vertici di un’azienda e/o con il responsabile di quella funzione/dipartimento per cui vorrebbe candidarsi: questo “isolerebbe” in un colpo solo tutto il mondo delle risorse umane. Una tale logica sovverte lo schema classico del gerarchismo aziendale in cui i cv, usualmente, sono ricevuti e vagliati dall’HR e, poi, in un secondo momento da un eventuale responsabile di funzione: Una situazione di questo tipo, di per se emblematica, obbliga chi si occupa di HR stabilmente o come collaboratore esterno di un’azienda, di avere una sua riconoscibilità ed un prestigio (reputation, appunto) tale da consentirgli di evitare o quantomeno contenere questo scavalcamento potenzialmente generalizzato. Oltre alla reputation, però, il mondo dei recruiter sta definendosi anche intorno ad un nuovo concetto, quello di “networked recruiter”. A dimostrazione del fatto che la rete sociale non conta solo per chi offre lavoro, ma anche per chi cerca i candidati più idonei per quella posizione. Un buon recruiter sa di non poter contare, soprattutto se parliamo di realtà aziendali complesse o di posizioni aperte di alto profilo, solo sui suoi contatti diretti. Il recruiter 2.0 è sempre più un “networked recruiter”, forte cioè allo stesso modo, uguale e contrario del job seeker, di una rete sociale e professionale significativa. A questa nuova, ma sempre
  • 43. 43 più diffusa, figura di recruiter è richiesto55 anzitutto di strutturare e consolidare la sua posizione/ruolo in azienda stabilendo contatti permanenti con i responsabili delle diverse funzioni aziendali, anche quando non si è attivi nella ricerca di personale, per comprendere le esigenze dell’azienda e la sua organizzazione, nonché l’esito delle assunzioni precedenti. Altro aspetto sempre più richiesto è lo sviluppo e la valorizzazione del suo team interno, al fine di sollecitare le segnalazioni di potenziali candidati (non necessariamente attivi) onde di selezionare i migliori candidati nelle loro reti. Importante è anche lo stile che il recruiter deve assumere nella sua attività di networking, evitando di sembrare un venditore, veicolando con sincerità ed in maniera mirata le sue azioni. Questo perché tutto concorre a sviluppare il brand personale del recruiter, la cui reputation diventa poi un’arma di selezione a tuti gli effetti (sia online che offline), anche e soprattutto in un sistema dove l’80% dei professionisti nel mondo sono considerati “passivi” ed occorre per cui tenere sempre uno spiraglio aperto verso tutti i potenziali candidati, ivi compresi quelli che oggi non sono i più idonei a rivestire quella specifica posizione. Non solo. Perché il web, come spesso accade, si è spontaneamente organizzato (dal basso) per valutare – a sua volta – i recruiter e, perciò, le aziende. Il progetto del sito Wetfeet56 è un esempio di questo. Un portale dove vengono recensiti i colloqui di lavoro con le aziende e le impressioni ricavate dai recruiter che, per quanto tuteli la regola dell’anonimato, espone molto di più le aziende (i cui nomi sono pubblici) ma soprattutto i recruiter (i cui nomi non vengono divulgati, ma che diventano abbastanza identificabili all’interno delle aziende stesse e per gli addetti ai lavori…). Infine, il ruolo del recruiter rischia di essere frustrato o limitato dalla nascita di nuove piattaforme che mettono in contatto il job seeker direttamente con l’azienda. E’ il caso di Whatchado.com una piattaforma video molto particolare che, dichiarando come suo obiettivo la ricerca e l’ottenimento del lavoro ideale, offre una vetrina permanente alle aziende che non solo consente loro di fare employer branding tramite dei 55 Linkedin, L’approccio vincente con i candidati passivi (https://business.Linkedin.com/it-it/talent- solutions/best-practice-recruiting). 56 www.wetfeet.com
  • 44. 44 testimonial/ambasciatori genuini e credibili (i loro dipendenti), ma consente anche di accattivarsi l’interesse e l’attenzione di un pubblico che non avrebbe potuto, altrimenti, intercettare. Soprattutto, è una piattaforma che non alimenta l’attività dei recruiter. 3.6 Come “attraggono” le aziende: employer branding Come mai vediamo ogni giorno persone che su auto, moto, caschi, etc. esibiscono con fierezza la celebre mela di Apple ma, nessuno che, invece, esibisce adesivi di Samsung o LG? La motivazione non è da individuare nella qualità tecnica dei prodotti degli uni o degli altri, ma nel sentiment, nell’alchimia, che Apple è stata in grado di creare e che è molto difficile da replicare: unica. Siamo diventati tutti dei Singol Opinion Leader, cioè singole persone che decidono se quel brand ha senso, se i prodotti sui quali è impresso, sono utili, se le promesse che quella comunicazione enuncia le mantiene e merita quindi rispetto, reputazione, fiducia: nessuno compra più a scatola chiusa. Questo esempio, oltre che valido sul piano del marketing B2C (destinato cioè al cliente finale), vale anche nel B2B, ovvero nei confronti dei lavoratori (o potenziali) di una data società: è il cosiddetto Employer Branding (EB) anche detto Talent Brand, nella sua accezione più recente e più social57 . Per analogia, potremmo dire che, a parità di offerta e ruolo proposto, un ipotetico candidato sceglierà probabilmente Apple piuttosto che la “Tizio&Caio SpA” anche e soprattutto per quel lavoro di marketing che ha arricchito l’azienda nel suo posizionamento sulla cosiddetta “economia della reputazione”. Secondo una ricerca di Linkedin «i professionisti di tutto il mondo concordano su una cosa: nel considerare un nuovo impiego, il fattore più importante è che l’azienda sia riconosciuta come un buon posto per lavorare (in altre parole, che l’azienda abbia un solido talent brand)»58 , al punto che oltre il 50% dei professionisti sono concordi nel ritenere che l’ottima reputazione dell’azienda come luogo di lavoro è il principale motivo per la scelta del datore di lavoro: 57 L’employer brand era il messaggio che veniva trasmesso sul mercato e aggiornato periodicamente. Oggi quel messaggio viene fruito e amplificato, e talvolta messo apertamente in discussione, in tempo reale in base alle esperienze vissute dalle persone con la tua azienda. Il talent brand è una versione altamente sociale e completamente pubblica dell’employer brand che incorpora quello che i talenti pensano, percepiscono e condividono dell’azienda come luogo di lavoro. 58 Linkedin Talent Trends Italia 2014 (https://business.Linkedin.com/it-it/talent-solutions/c/14/6/talent- trends-report).
  • 45. 45 (Fonte: Linkedin Talent Trends Italia 2014) L’EB è «sia una minaccia concorrenziale, sia un vantaggio competitivo»59 e, quindi, non può essere tralasciato dalle imprese di oggi. Sicuramente fra «le ragioni per cui investire nell’employer brand, “aumento della concorrenza” ed “espansione geografica” hanno registrato l'aumento maggiore rispetto all'anno scorso (2012): dal 10% al 35%»60 a riprova del fatto che sempre più aziende ci credono e si attivano su questo ambito. Sempre secondo la ricerca realizzata da Linkedin, infatti, il 62% degli intervistati61 crede che l’employer branding abbia un impatto significativo sulla capacità di assumere i migliori talenti e la prima minaccia concorrenziale percepita dalle aziende in questo ambito risulterebbe proprio l’investimento nell’EB da parte dei loro competitors. Tanto che il 18% dei datori di lavoro italiani misura regolarmente la qualità dell’employer brand in maniera quantificabile (contro il 33% a livello mondiale)62 . Questo ha determinato che il 91% delle aziende ha incrementato o mantenuto costante il suo investimento nel talent brand nel 2012, nonostante la crisi63 . Inoltre, sempre da ricerche effettuate da Linkedin64 , scopriamo che investendo nell’employer branding si possono arrivare a ridurre del 50% i costi legati alle assunzioni e ridurre fino al 28% il tasso di rotazione. Spesso sono gli stessi recruiter ad avere potere decisionale sull’employer brand: il 61% di loro lo controlla direttamente o insieme a un’altra funzione, come il reparto marketing. Tuttavia, circa il 50% dei recruiter, in generale, non capisce o non conosce esattamente il 59 Linkedin Italy Global Recruiting Trends 2013 (http://www.slideshare.net/Linkedin-talent- solutions/global-recruiting-trends-2013-italy-italian). 60 Linkedin Italy Global Recruiting Trends 2013 (http://www.slideshare.net/Linkedin-talent- solutions/global-recruiting-trends-2013-italy-italian). 61 Indagine condotta su 3300 leader del settore acquisizione talenti. 62 Circa la misurazione dell’employer branding cfr. Linkedin, Guida all’employer brand, p.43 e seguenti (https://business.Linkedin.com/it-it/talent-solutions/c/14/2/guida-employer-brand). 63 Linkedin Talent Solutions, The State of Employer Branding (http://lnkd.in/stateofeb). A tal proposito, Linkedin ha sviluppato un proprio indicatore definito “Talent Brand Index”. 64 Eda Gultekin, What’s the Value of Your Employment Brand? (http://lnkd.in/valueofEB).
  • 46. 46 proprio employer brand65 . Ma indipendentemente da chi tiene le redini, una ricerca di Linkedin66 ha rilevato che le aziende con forti talent brand hanno tre cose in comune: consenso da parte dei dirigenti, dati a sostegno della propria visione e una solida cooperazione interfunzionale. Per quanto riguarda il nostro Paese, le statistiche 2013 (Linkedin)67 sull’approccio delle aziende italiane all’EB sono chiare: Da tutto ciò deriva un uso notevole dei SN per la promozione dell’EB, che nel 2013, sempre dalla medesima ricerca, diventano, appunto, il principale canale per la promozione di questo: 65 Corporate Leadership Council, Smart Sourcing: How Talent Advisors Use Sourcing Intelligence to Extend Recruiting’s Influence. 66 Linkedin Talent Solutions, The State of Employer Branding (http:// lnkd.in/stateofeb). 67 Linkedin Italy Global Recruiting Trends 2013 (http://www.slideshare.net/Linkedin-talent-solutions/global-recruiting-trends-2013-italy-italian).
  • 47. 47 Collegato a questo è perciò il concetto di Employment Advertising, processo attraverso cui l'organizzazione promuove le opportunità di lavoro aperte, come se i posti di lavoro fossero dei prodotti, e l'azienda dovesse promuoverli grazie a strategie di marketing, al fine di farne percepire il forte valore distintivo. L’esempio classico è quello della cosiddetta “Googleness”, termine coniato appunto per delineare l’appettibilità di lavorare a Google68 . Tutto questo non è secondario, soprattutto quando parliamo di risorse con funzioni dirigenti o altamente qualificate. E, rimanendo sempre sull’esempio Apple/Samsung/LG, come anche la recente cronaca ci insegna69 , avere una determinata risorsa in un determinato ruolo, può significare per queste aziende la differenza fra un fatturato in attivo o in perdita, fra il successo o meno di un prodotto. Non è un caso che «i servizi Risorse Umane stanno facendo sempre più ciò che già da tempo si sono prefissi i reparti di marketing e vendita: esaltare le qualità dell'azienda. Devono sviluppare il marchio del datore di lavoro. Ma nelle odierne aziende, spesso queste competenze non sono ancora 68 Cfr. anche il film “Gli Stagisti” (“The internship”, USA 2013). 69 E’ interessante notare come in questo caso la cronaca giudiziaria non si sia occupata di questi colossi del settore tecnologico per la “solita” guerra di brevetti e spionaggio industriale. Stavolta ad essere oggetto della condanna dei tribunali americani è l’accordo, segreto, fra tutti i maggiori player del settore finalizzato ad evitare di combattersi per sottrarsi vicendevolmente i reciproci dipendenti. Cfr. http://www.nytimes.com/2015/01/15/technology/silicon-valley-antitrust-case-settlement-poaching- engineers.html?_r=2
  • 48. 48 diffuse. Tra postare un annuncio e garantire una presenza consistente sui social media c'è un abisso. Sembra tutto lavoro in più, ma i vantaggi in termini di efficienza sono enormi: oggi è possibile rivolgersi a molte più persone contemporaneamente o a un preciso gruppo target»70 . Il risultato finale è che le aziende devono raccontarsi, con schiettezza ed onestà, esattamente come è richiesto fare al candidato in sede di colloquio o di assestment. Presentarsi ai candidati, convincendoli dell’opportunità e della convenienza a prestare il proprio lavoro a quella determinata impresa e non ad un’altra. Un altro degli strumenti utilizzati dalle aziende per implementare il proprio employer branding è il cosiddetto Entreprise Social Network (ESN). Questo strumento, come per esempio Facebook at Work o Yammer di Microsoft, nasce anzitutto per migliorare la comunicazione interna dell’azienda ma, come ricaduta, determina un incremento nell’economia della reputazione dell’impresa a tutti i livelli. Infatti, a livello esterno, una cultura intra-aziendale di questo tipo sarà naturalmente propensa a proiettare una valorizzazione ed una promozione del brand dell’impresa. Oltre all’ESN, una azienda presente sui social (p. es. Linkedin) non può esimersi dal coordinare l’immagine di sè che trasmette tramite i profili dei suoi dipendenti. Infatti «realizzare e alimentare con contenuti di qualità la propria pagina aziendale in Linkedin e poi disinteressarsi di ciò che i propri dirigenti o il proprio staff fanno e dicono sulla piattaforma è come avere a bordo della propria barca rematori che, o se ne stanno con le mani in mano (perché senza remi) o, non avendo istruzioni adeguate, remano in direzioni diverse»71 . In conclusione, circa il senso e le dinamiche connesse alla reputazione (del job seeker, del recruiter e dell’azienda) potremmo riepilogare schematicamente il processo in questo modo: 70 Simon Brunner, Linkedin: come funziona il social recruiting (https://www.credit-suisse.com/it/it/news- and-expertise/topics/innovation.article.html/article/pwp/news-and-expertise/2014/03/it/Linkedin-how- social-recruiting-works.html) 71 Mirko Saini, Linkedin e aziende: l’importanza dei profili dei dipendenti (http://www.webcentrica.it/Linkedin-e-aziende-l-importanza-dei-profili-dei-dipendenti/)
  • 49. 49
  • 50. 50 BIBLIOGRAFIA Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 – Global Report (http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx). Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Job Seekers – Italia (http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx). Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 – Italia (http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx). Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014/Recruiters- Italia (http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx). Adecco, #SocialRecruiting, A global study. Report 2014 (http://www.adecco.com/industry-insights/social-recruiting.aspx). Andrea Malan, La Germania tutela la privacy: stretta sui controlli online, in “Il Sole 24 Ore”, 25 agosto 2010. Andrea Pugliese, lezioni svolte nell’ambito del Management dei Servizi e delle Politiche per il Lavoro (a.a. 2014/15) Chiara Lo Cascio, Economia della reputazione (http://www.dillinger.it/economia-della- reputazione-50141.html). Cipriano Moneta, La rivoluzione dei social media Cipriano Moneta, Business Networking Cipriano Moneta, Reputazione digitale Cipriano Moneta, L’impatto sulle organizzazioni Corporate Leadership Council, Smart Sourcing: How Talent Advisors Use Sourcing Intelligence to Extend Recruiting’s Influence. Eda Gultekin, What’s the Value of Your Employment Brand? (http://lnkd.in/valueofEB). Jobvite - How Do Job Seekers Use Social Media? (http://linkhumans.com/social- recruiting/jobseekers-social-media-study).
  • 51. 51 Jobvite, Job Seeker Nation Study 2015 (http://www.jobvite.com/wp- content/uploads/2015/01/jobvite_jobseeker_nation_2015.pdf). Jobvite, Do You Suffer From Social Recruiting Paranoia? (http://www.jobvite.com/blog/suffer-social-recruiting-paranoia/). Jorgen Sundberg, How Recruiters & Job Seekers Use Social Media (http://jorgensundberg.net/study-recruiters-job-seekers-use-social-media/). Linkedin Italy Global Recruiting Trends 2013 (http://www.slideshare.net/Linkedin- talent-solutions/global-recruiting-trends-2013-italy-italian). Linkedin Talent Trends Italia 2014 (https://business.Linkedin.com/it-it/talent-solutions/c/14/6/talent-trends-report). Linkedin Talent Trends 2014 (World) (https://business.Linkedin.com/talent-solutions/c/14/3/talent-trends/2014). Linkedin Italy Global Recruiting Trends 2013 (http://www.slideshare.net/Linkedin-talent-solutions/global-recruiting-trends-2013-italy- italian). Linkedin, Guida all’employer brand (https://business.Linkedin.com/it-it/talent-solutions/c/14/2/guida-employer-brand). Linkedin Talent Solutions, The State of Employer Branding (http://lnkd.in/stateofeb). Linkedin, L’approccio vincente con i candidati passivi (https://business.Linkedin.com/it- it/talent-solutions/best-practice-recruiting) Linkedin, Come trasformare la cultura del recruiting (https://business.Linkedin.com/it- it/talent-solutions/best-practice-recruiting). Linkedin Talent Solutions, Getting To Know Passive Talent (http://lnkd.in/PT-infographic1). Linkedin Talent Solutions, The State of Employer Branding (http:// lnkd.in/stateofeb). Linkedin Recruiter per le agenzie di ricerca e selezione (https://business.Linkedin.com/it- it/talent-solutions/best-practice-recruiting?u=0) Linkedin, L’approccio vincente con i candidati passivi (https://business.Linkedin.com/it- it/talent-solutions/best-practice-recruiting?u=0)
  • 52. 52 Linkedin, I 5 trend dell’acquisizione di talenti che è bene conoscere (http://www.slideshare.net/Linkedin-talent-solutions/global-recruiting-trends-2013-italy- italian). Mirko Saini, Linkedin & Recruiters: ecco come lo usano in Italia (conoscere per adeguarsi) (https://www.Linkedin.com/pulse/Linkedin-recruiters-ecco-come-mirko- saini) Mirko Saini, Conoscere come viene utilizzato Linkedin in Italia per avvantaggiarsene (http://www.webcentrica.it/come-viene-utilizzato-Linkedin/) Mirko Saini, Linkedin e aziende: l’importanza dei profili dei dipendenti (http://www.webcentrica.it/Linkedin-e-aziende-l-importanza-dei-profili-dei-dipendenti/) NinjaMarketing, Funziona il social recruiting in Italia? (www.ninjamarketing.it/2013/04/07/funziona-il-social-recruiting-in-italia-infografica/) Shawn Levy (regista), Gli Stagisti (titolo originale The internship, USA 2013). Simon Brunner, Linkedin: come funziona il social recruiting (https://www.credit- suisse.com/it/it/news-and-expertise/topics/innovation.article.html/article/pwp/news-and- expertise/2014/03/it/Linkedin-how-social-recruiting-works.html) UnderCover Recruiter, How Employers Use Social Media To Screen Applicants (http://theundercoverrecruiter.com/infographic-how-recruiters-use-social-media-screen- applicants/) David Streitfield, Bigger Settlement Said to Be Reached in Silicon Valley Antitrust Case (http://www.nytimes.com/2015/01/15/technology/silicon-valley-antitrust-case- settlement-poaching-engineers.html?_r=2)